Pope Emeritus Benedict XVI has died at the age of 95. He was the longest-serving Pope in history.

Alle ore 9,34 di quest’oggi, 31 dicembre 2022, il Sommo Pontefice Emerito Benedetto XVI è tornato alla Casa del Padre.

Le sue condizioni si erano aggravate nei giorni scorsi. Mercoledì mattina, al termine dell’udienza generale, il Santo Padre Francesco aveva chiesto di pregare per il Papa emerito. Da tutto il mondo si sono elevate preghiere per lui e tutta la Chiesa ha vissuto queste ore in trepidazione.

Ieri, nella Cattedrale della città di Roma è stata celebrata una Santa Messa per la sua salute.

Proprio come ebbe a descriverlo il suo segretario, S.E.R. Mons. Georg Gänswein, Benedetto XVI in queste ultime settimane è stato come una candela che, piano piano, è andata consumandosi. 

Grati al Signore per la sua immensa testimonianza, lo affidiamo alla Sua immensa misericordia. A noi, quaggiù, che piangiamo la sua scomparsa, resta la ricchezza del suo magistero.

Padre Santo, in Paradisum deducant te Angeli; in tuo adventu suscipiant te Martyres, et perducant te in civitatem sanctam Jerusalem! 

La redazione di Silere non possum

Sua Santità Benedetto XVI

Joseph Aloisius Ratzinger

Sua Santità Benedetto XVI, Joseph Aloisius Ratzinger è nato a Marktl (Diocesi di Passau) il 16 aprile 1927. 
Il padre era un commissario di gendarmeria e proveniva da una famiglia di agricoltori della bassa Baviera, le cui condizioni economiche erano modeste. La madre era figlia di artigiani di Rimsting, sul lago di Chiem, e prima di sposarsi aveva fatto la cuoca in diversi alberghi. 
Joseph ha trascorso la sua infanzia e la sua adolescenza a Traunstein, una piccola città vicino alla frontiera con l'Austria, a circa trenta chilometri da Salisburgo. Ha ricevuto in questo contesto, che egli stesso ha definito "mozartiano", la sua formazione cristiana, umana e culturale. 
Il tempo della sua giovinezza non è stato facile. La fede e l'educazione della sua famiglia lo ha preparato alla dura esperienza dei problemi connessi al regime nazista: egli ha ricordato di aver visto il suo parroco bastonato dai nazisti prima della celebrazione della Santa Messa e di aver conosciuto il clima di forte ostilità nei confronti della Chiesa cattolica in Germania. 
Proprio in questo contesto, il Pontefice ha scoperto la bellezza e la verità della fede in Cristo. Molto importante, poi, è stato il ruolo della sua famiglia che ha sempre vissuto una cristallina testimonianza di bontà e di speranza radicata nell'appartenenza consapevole alla Chiesa.  Verso la conclusione della Seconda Guerra Mondiale Ratzinger venne arruolato nei servizi ausiliari antiaerei. 

Alter Christus

Dal 1946 al 1951 ha studiato filosofia e teologia presso la Scuola superiore di filosofia e teologia di Frisinga e presso l'Università di Monaco. 
Il 29 giugno dell'anno 1951 è stato ordinato presbitero per l’arcidiocesi di Monaco e Frisinga. 
Appena un anno dopo, Ratzinger ha iniziato la sua attività didattica nella Scuola di Frisinga dove era stato studente. Nel 1953 si è laureato in teologia con una dissertazione sul tema: "Popolo e Casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di sant'Agostino". 
Nel 1957 ha fatto la libera docenza col noto professore di teologia fondamentale di Monaco, Gottlieb Söhngen, con un lavoro su: "La teologia della storia di san Bonaventura". 
Dopo un incarico di dogmatica e di teologia fondamentale presso la Scuola superiore di Frisinga, egli ha continuato la sua attività di insegnamento a Bonn (1959-1969), a Münster (1963-1966) e a Tubinga (1966-1969). Dal 1969 è professore di dogmatica e di storia dei dogmi presso l'Università di Ratisbona dove ha ricoperto anche l'incarico di Vice Preside dell'Università. 
La sua intensa attività scientifica lo ha portato a svolgere importanti incarichi in seno alla Conferenza Episcopale Tedesca, nella Commissione Teologica Internazionale. 
Dinnanzi all'Accademia cattolica bavarese sul tema: "Perché io sono ancora nella Chiesa?". Ratzinger ebbe a dichiarare, con la sua consueta chiarezza: "Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non accanto alla Chiesa". 
La serie delle sue incalzanti pubblicazioni è proseguita copiosa e puntuale nel corso degli anni, costituendo un punto di riferimento per tante persone e certamente per quanti sono impegnati nello studio approfondito della teologia. Si pensi, ad esempio, al volume "Rapporto sulla fede" del 1985, "Il sale della terra" del 1996 e “Introduzione allo spirito della Liturgia” del 2001.
Di grande valore, centrale nella vita di Ratzinger, è stata la sua partecipazione al Concilio Vaticano II con la qualifica di "esperto" che egli ha vissuto anche come conferma della propria vocazione da lui definita "teologica". 

Il 25 marzo 1977 San Paolo VI lo ha nominato Arcivescovo di Monaco e Frisinga.  

Ha ricevuto l’ordinazione episcopale il 28 maggio dello stesso anno: primo sacerdote diocesano ad assumere, dopo ottant’anni, il governo pastorale della grande Diocesi bavarese. Egli ha scelto come motto episcopale: “Cooperatores Veritatis”. Questo motto descriverà per sempre la sua vita.

San Paolo VI lo ha creato Cardinale nel Concistoro del 27 giugno 1977. 

È stato Relatore alla Quinta Assemblea Generale del Sinodo dei Vescovi (1980) sul tema della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo. In quell’occasione, nella sua prima Relazione, ha svolto un’ampia e puntuale analisi sulla situazione della famiglia nel mondo, sottolineando in proposito la crisi della cultura tradizionale di fronte alla mentalità tecnicistica e meramente razionale. Accanto agli aspetti negativi, non ha mancato di evidenziare la riscoperta del vero personalismo cristiano come lievito che feconda l’esperienza coniugale di molte coppie di sposi.

Ne consegue – ha sottolineato – che l’amore dell’uomo e della donna non è cosa privata, né profana, né meramente biologica, ma qualcosa di sacro che introduce ad uno “stato”, ad una nuova forma di vita, permanente e responsabile. Il matrimonio e la famiglia – ha ricordato – precedono in qualche modo la cosa pubblica, e quest’ultima deve rispettare il diritto proprio del matrimonio e della famiglia e il suo intimo mistero. Nella terza parte il Porporato ha affrontato i problemi pastorali legati alla famiglia: da quello della costruzione di una comunità di persone a quello della generazione della vita, dal ruolo educativo dei genitori alla necessità della preparazione dei giovani al matrimonio e alla vita familiare, dai compiti sociali a quelli culturali e morali. La famiglia, ha concluso, può testimoniare dinanzi al mondo una nuova umanità di fronte al dominio del materialismo, dell’edonismo e della permissività. 

Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede

Il 25 novembre 1981 San Giovanni Paolo II lo ha nominato Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede. È divenuto anche Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Commissione Teologica Internazionale. Il 15 febbraio 1982 ha quindi rinunciato al governo pastorale dell’Arcidiocesi di Monaco e Frisinga.  

Fedele collaboratore di San Giovanni  Paolo II, il Cardinale Ratzinger ha garantito fermezza e chiarezza all’interno del Dicastero. Nel 2000 firmò la Dichiarazione Dominus Iesus, circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa. Fu Ratzinger ad avviare il processo di riforma delle norme in merito ai delicta graviora, fra i quali vi sono anche le violenze sessuali a danno dei minori. Nel 2001, infatti, firmò il documento De delictis gravioribus, il quale prevedeva che i vescovi diocesani trasmettessero alla Congregazione tutti i casi che riguardavano i delicta graviora e stabiliva il termine di prescrizione in dieci anni dal compimento del diciottesimo anno del minore. Nel 2010, Benedetto XVI, estese questo termine in venti anni.

Non si può dimenticare la sua fondamentale collaborazione alla stesura del Catechismo della Chiesa Cattolica. Il Cardinale Ratinger fu Presidente della Commissione per la Preparazione del Catechismo della Chiesa Cattolica. 

Il 5 aprile 1993 il Santo Padre Giovanni Paolo II lo ha annoverato fra i cardinali vescovi e gli ha assegnato il Titolo della Chiesa Suburbicaria di Velletri-Segni. 

Il 6 novembre 1998 è stato nominato Vice-Decano del Sacro Collegio Cardinalizio.

Il caso Maciel e la determinazione di Ratzinger

Quale Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Joseph Ratzinger, «ricevette accuse, già in parte rese pubbliche, contro il Rev.do Marcial Maciel Degollado, fondatore della Congregazione dei Legionari di Cristo, per delitti riservati all’esclusiva competenza del Dicastero».

Il sacerdote, una macchia indelebile nel pontificato di San Giovanni Paolo II, era stato accusato di violenza sessuale su minori, di violenza sessuale su seminaristi e di aver assolto il complice nel peccato contro il sesto comandamento. Maciel commise tali delitti in modo plurimo e continuativo tra gli anni quaranta e gli anni sessanta.

Nonostante Joseph Ratzinger aveva chiesto al Pontefice di agire contro quest’uomo, le amicizie di Maciel gli garantirono sempre protezione e il Cardinale dovette tornare in ufficio, dopo una riunione alla quale partecipò anche Giovanni Paolo II, mettendo in archivio il fascicolo senza poter proseguire oltre. Divenuto Papa, il 19 maggio 2006 Ratzinger diede disposizione alla Congregazione per la Dottrina della Fede di imporre una vita riservata al sacerdote non potento più processarlo per via dell’avanzata età.

Da Papa, Benedetto XVI definì Maciel «un falso profeta» che ha condotto una vita «al di là di ciò che è morale: un’esistenza avventurosa, sprecata, distorta».

Decano del Sacro Collegio

Il 30 novembre 2002 è divenuto Decano ed ha preso possesso del Titolo della Chiesa Suburbicaria di Ostia, come da tradizione.

In occasione del suo cinquantesimo di ordinazione sacerdotale, San Giovanni Paolo II gli inviò un messaggio nel quale, riferendosi alla coincidenza del suo giubileo con la solennità liturgica dei Santi Pietro e Paolo, gli ricordava che “in Pietro risalta il principio di unità, fondato sulla fede salda come roccia del Principe degli Apostoli; in Paolo l’esigenza intrinseca del Vangelo di chiamare ogni uomo ed ogni popolo all’obbedienza della fede. Queste due dimensioni si congiungono alla comune testimonianza di santità, che ha cementato la generosa dedizione dei due apostoli al servizio della immacolata Sposa di Dio. Come non scorgere in queste due componenti – si è chiesto San Giovanni Paolo II – anche le coordinate fondamentali del cammino che la Provvidenza ha disposto per Lei, Signor Cardinale, chiamandola al Sacerdozio?”. Queste parole sono suonate profetiche.

Al Cardinale Ratzinger sono state affidate le meditazioni della Via Crucis dell’anno 2005 celebrata al Colosseo. In quell’indimenticabile Venerdì Santo, Giovanni Paolo II, stretto, quasi aggrappato al Crocifisso, in una struggente “icona” di sofferenza, ha ascoltato in silenzioso raccoglimento le parole di colui che sarebbe divenuto il suo Successore sulla Cattedra di Pietro.

Scriveva Ratzinger: “Non dobbiamo pensare anche a quanto Cristo debba soffrire per la sua stessa Chiesa? A quante volte si abusa del santo sacramento della sua presenza, in quale vuoto e cattiveria del cuore spesso egli entra! Quante volte celebriamo soltanto noi stessi senza renderci conto di lui! Quante volte la sua Parola viene distorta e abusata! Quanta poca fede c’è in tante teorie, quante parole vuote! Quanta sporcizia c’è nella Chiesa, e proprio anche tra coloro che, nel sacerdozio, dovrebbero appartenere completamente a Lui! Quanta superbia, quanta autosufficienza!”. “Signore – è stata la preghiera del cardinale -, spesso la tua Chiesa ci sembra una barca che sta per affondare, una barca che fa acqua da tutte le parti. E anche nel tuo campo di grano vediamo più zizzania che grano. La veste e il volto così sporchi della tua Chiesa ci sgomentano. Ma siamo noi stessi a sporcarli! Siamo noi stessi a tradirti ogni volta, dopo tutte le nostre grandi parole, i nostri grandi gesti. Abbi pietà della tua Chiesa… Ti sei rialzato, sei risorto e puoi rialzare anche noi. Salva e santifica la tua Chiesa. Salva e santifica tutti noi”. 



Appena ventiquattr’ore prima della morte di Giovanni Paolo II, ricevendo a Subiaco il “Premio San Benedetto” promosso dalla Fondazione sublacense “Vita e famiglia”, aveva detto: “Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia, che in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce. Ritornò e fondò Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo. Così Benedetto, come Abramo, diventò padre di molti popoli”. 

Venerdì 8 aprile 2005 – come Decano del Sacro Collegio – Ratzinger ha presieduto la Santa Messa esequiale del Pontefice in Piazza San Pietro. Nelle sue parole, durante l’Omelia, traspariva il suo amore per il Papa e per la Chiesa: «”Seguimi” dice il Signore risorto a Pietro, come sua ultima parola a questo discepolo, scelto per pascere le sue pecore. “Seguimi” – questa parola lapidaria di Cristo può essere considerata la chiave per comprendere il messaggio che viene dalla vita del nostro compianto ed amato Papa Giovanni Paolo II, le cui spoglie deponiamo oggi nella terra come seme di immortalità – il cuore pieno di tristezza, ma anche di gioiosa speranza e di profonda gratitudine”. 

Alla vigilia della sua elezione al Soglio Petrino, nella mattina di lunedì 18 aprile 2005, nella Basilica Vaticana, il cardinale Ratzinger ha presieduto la Santa Messa “pro eligendo Romano Pontifice”.

In quest’ora di grande responsabilità – disse con parole profetiche -, ascoltiamo con particolare attenzione quanto il Signore ci dice”. Riferendosi alle letture della Liturgia, ricordò che «la misericordia divina pone un limite al male. Gesù Cristo è la misericordia divina in persona: incontrare Cristo significa incontrare la misericordia di Dio. Il mandato di Cristo è divenuto mandato nostro attraverso l’unzione sacerdotale; siamo chiamati a promulgare – non solo a parole ma con la vita, e con i segni efficaci dei sacramenti, “l’anno di misericordia del Signore”». «La misericordia di Cristo – ha sottolineato – non è una grazia a buon mercato, non suppone la banalizzazione del male. Cristo porta nel suo corpo e sulla sua anima tutto il peso del male, tutta la sua forza distruttiva. Egli brucia e trasforma il male nella sofferenza, nel fuoco del suo amore sofferente”.

Nella Basilica Vaticana tuonarono le parole chiare di Ratzinger: «Non dovremmo rimanere fanciulli nella fede, in stato di minorità. Quanti venti di dottrina abbiamo conosciuto in questi ultimi decenni, quante correnti ideologiche, quante mode del pensiero… La piccola barca del pensiero di molti cristiani è stata non di rado agitata da queste onde – gettata da un estremo all’altro: dal marxismo al liberalismo, fino al libertinismo; dal collettivismo all’individualismo radicale; dall’ateismo ad un vago misticismo religioso; dall’agnosticismo al sincretismo e così via. Ogni giorno nascono nuove sette e si realizza quanto dice san Paolo sull’inganno degli uomini, sull’astuzia che tende a trarre nell’errore(cfr Ef 4, 14). Avere una fede chiara, secondo il Credo della Chiesa, viene spesso etichettato come fondamentalismo. Mentre il relativismo, cioè il lasciarsi portare “qua e là da qualsiasi vento di dottrina”, appare come l’unico atteggiamento all’altezza dei tempi odierni. Si va costituendo una dittatura del relativismo che non riconosce nulla come definitivo e che lascia come ultima misura solo il proprio io e le sue voglie.

Noi, invece, abbiamo un’altra misura: il Figlio di Dio, il vero uomo. È lui la misura del vero umanesimo. “Adulta” non è una fede che segue le onde della moda e l’ultima novità; adulta e matura è una fede profondamente radicata nell’amicizia con Cristo. È quest’amicizia che ci apre a tutto ciò che è buono e ci dona il criterio per discernere tra vero e falso, tra inganno e verità. Questa fede adulta dobbiamo maturare, a questa fede dobbiamo guidare il gregge di Cristo». «Il nostro ministero – ha ricordato in conclusione – è un dono di Cristo agli uomini, per costruire il suo corpo – il mondo nuovo. Viviamo il nostro ministero così, come dono di Cristo agli uomini! Ma in questa ora, soprattutto, preghiamo con insistenza il Signore, perché dopo il grande dono di Papa Giovanni Paolo II, ci doni di nuovo un pastore secondo il suo cuore, un pastore che ci guidi alla conoscenza di Cristo, al suo amore, alla vera gioia».

Benedetto XVI - Sommo Pontefice

Joseph Ratzinger fu eletto Pontefice durante il secondo giorno del Conclave del 2005, al quarto scrutinio, nel pomeriggio del 19 aprile 2005. Alle 18.30 circa, S.E.R. il Sig. Cardinale Jorge Arturo Medina Estévez annunciò al mondo che il nuovo Papa era Benedetto XVI.

«Ho voluto chiamarmi Benedetto XVI – raccontò il Papa il 27 aprile - per riallacciarmi idealmente al venerato pontefice Benedetto XV, che ha guidato la Chiesa in un periodo travagliato a causa del primo conflitto mondiale. Fu coraggioso e autentico profeta di pace e si adoperò con strenuo coraggio dapprima per evitare il dramma della guerra e poi per limitarne le conseguenze nefaste. Sulle sue orme desidero porre il mio ministero a servizio della riconciliazione e dell'armonia tra gli uomini e i popoli, profondamente convinto che il grande bene della pace è innanzitutto dono di Dio, dono purtroppo fragile e prezioso da invocare, tutelare e costruire giorno dopo giorno con l'apporto di tutti.»

“Pregate perché io non fugga davanti ai lupi”

Il 24 aprile 2005 Benedetto XVI ha presieduto la “Santa Messa di imposizione del pallio e consegna dell'anello del pescatore per l'inizio del Ministero petrino del vescovo di Roma”. In quella occasione pronunciò una meravigliosa omelia nella quale, fra le altre cose, disse: “Chi crede, non è mai solo - non lo è nella vita e neanche nella morte. In quel momento noi abbiamo potuto invocare i santi di tutti i secoli - i suoi amici, i suoi fratelli nella fede, sapendo che sarebbero stati il corteo vivente che lo avrebbe accompagnato nell'aldilà, fino alla gloria di Dio. Noi sapevamo che il suo arrivo era atteso. Ora sappiamo che egli è fra i suoi ed è veramente a casa sua”.

“Ed ora, in questo momento, io debole servitore di Dio devo assumere questo compito inaudito, che realmente supera ogni capacità umana. Come posso fare questo? Come sarò in grado di farlo? Voi tutti, cari amici, avete appena invocato l'intera schiera dei santi, rappresentata da alcuni dei grandi nomi della storia di Dio con gli uomini. In tal modo, anche in me si ravviva questa consapevolezza: non sono solo. Non devo portare da solo ciò che in realtà non potrei mai portare da solo. La schiera dei santi di Dio mi protegge, mi sostiene e mi porta”, ha detto Benedetto XVI.

 

 Nel suo primo discorso alla Curia Romana, il 22 dicembre 2005, Benedetto XVI si soffermò subito su un tema a lui molto caro: il Concilio Vaticano II.

“Perché la recezione del Concilio, in grandi parti della Chiesa, finora si è svolta in modo così difficile? – si è chiesto il Papa. Ebbene, tutto dipende dalla giusta interpretazione del Concilio o – come diremmo oggi – dalla sua giusta ermeneutica, dalla giusta chiave di lettura e di applicazione. I problemi della recezione sono nati dal fatto che due ermeneutiche contrarie si sono trovate a confronto e hanno litigato tra loro. L'una ha causato confusione, l'altra, silenziosamente ma sempre più visibilmente, ha portato frutti. Da una parte esiste un'interpretazione che vorrei chiamare “ermeneutica della discontinuità e della rottura”; essa non di rado si è potuta avvalere della simpatia dei mass-media, e anche di una parte della teologia moderna. Dall'altra parte c'è l'“ermeneutica della riforma”, del rinnovamento nella continuità dell'unico soggetto-Chiesa, che il Signore ci ha donato; è un soggetto che cresce nel tempo e si sviluppa, rimanendo però sempre lo stesso, unico soggetto del Popolo di Dio in cammino.

L'ermeneutica della discontinuità rischia di finire in una rottura tra Chiesa preconciliare e Chiesa postconciliare. Essa asserisce che i testi del Concilio come tali non sarebbero ancora la vera espressione dello spirito del Concilio. Sarebbero il risultato di compromessi nei quali, per raggiungere l'unanimità, si è dovuto ancora trascinarsi dietro e riconfermare molte cose vecchie ormai inutili. Non in questi compromessi, però, si rivelerebbe il vero spirito del Concilio, ma invece negli slanci verso il nuovo che sono sottesi ai testi: solo essi rappresenterebbero il vero spirito del Concilio, e partendo da essi e in conformità con essi bisognerebbe andare avanti. Proprio perché i testi rispecchierebbero solo in modo imperfetto il vero spirito del Concilio e la sua novità, sarebbe necessario andare coraggiosamente al di là dei testi, facendo spazio alla novità nella quale si esprimerebbe l’intenzione più profonda, sebbene ancora indistinta, del Concilio. In una parola: occorrerebbe seguire non i testi del Concilio, ma il suo spirito. In tal modo, ovviamente, rimane un vasto margine per la domanda su come allora si definisca questo spirito e, di conseguenza, si concede spazio ad ogni estrosità. Con ciò, però, si fraintende in radice la natura di un Concilio come tale. In questo modo, esso viene considerato come una specie di Costituente, che elimina una costituzione vecchia e ne crea una nuova. Ma la Costituente ha bisogno di un mandante e poi di una conferma da parte del mandante, cioè del popolo al quale la costituzione deve servire. I Padri non avevano un tale mandato e nessuno lo aveva mai dato loro; nessuno, del resto, poteva darlo, perché la costituzione essenziale della Chiesa viene dal Signore e ci è stata data affinché noi possiamo raggiungere la vita eterna e, partendo da questa prospettiva, siamo in grado di illuminare anche la vita nel tempo e il tempo stesso. I Vescovi, mediante il Sacramento che hanno ricevuto, sono fiduciari del dono del Signore. Sono “amministratori dei misteri di Dio” (1 Cor 4,1); come tali devono essere trovati “fedeli e saggi” (cfr Lc 12,41-48). Ciò significa che devono amministrare il dono del Signore in modo giusto, affinché non resti occultato in qualche nascondiglio, ma porti frutto e il Signore, alla fine, possa dire all'amministratore: “Poiché sei stato fedele nel poco, ti darò autorità su molto” (cfr Mt 25,14-30; Lc 19,11-27). In queste parabole evangeliche si esprime la dinamica della fedeltà, che interessa nel servizio del Signore, e in esse si rende anche evidente, come in un Concilio dinamica e fedeltà debbano diventare una cosa sola”.

Nel 2006 Benedetto XVI firma la sua prima Enciclica: Deus caritas est. Un testo splendido che ancora ha molto da dire oggi. Il Pontefice si concentra sull’essere umano che, creato ad immagine di Dio che è amore, è in grado di fare esperienza dell'amore: dare se stesso a Dio e agli altri (agàpe), ricevendo e vivendo l'amore di Dio nella contemplazione. Questa vita di amore è visibile nell'esempio della vita dei santi come madre Teresa di Calcutta e la Vergine Maria, ed è la direzione che i cristiani abbracciano quando credono che Dio li ami in Gesù Cristo.

Nell’anno del Signore 2007, Benedetto XVI firmò la sua prima esortazione apostolica: Sacramentum caritatis.

Scriveva il Papa: “Conviene mettere in chiaro che con tale parola [actuosa partecipatio] non si intende fare riferimento ad una semplice attività esterna durante la celebrazione. In realtà, l'attiva partecipazione auspicata dal Concilio deve essere compresa in termini più sostanziali, a partire da una più grande consapevolezza del mistero che viene celebrato e del suo rapporto con l'esistenza quotidiana. Ancora pienamente valida è la raccomandazione della Costituzione conciliare Sacrosanctum Concilium, che esortava i fedeli a non assistere alla liturgia eucaristica «come estranei o muti spettatori», ma a partecipare «all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente». Il Concilio proseguiva sviluppando la riflessione: i fedeli «formati dalla Parola di Dio, si nutrano alla mensa del Corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per mezzo di Cristo Mediatore siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro»”.

In merito alla lingua latina, il Pontefice raccomandava: “Penso in questo momento, in particolare, alle celebrazioni che avvengono durante incontri internazionali, oggi sempre più frequenti. Esse devono essere giustamente valorizzate. Per meglio esprimere l'unità e l'universalità della Chiesa, vorrei raccomandare quanto suggerito dal Sinodo dei Vescovi, in sintonia con le direttive del Concilio Vaticano II: eccettuate le letture, l'omelia e la preghiera dei fedeli, è bene che tali celebrazioni siano in lingua latina; così pure siano recitate in latino le preghiere più note della tradizione della Chiesa ed eventualmente eseguiti brani in canto gregoriano. Più in generale, chiedo che i futuri sacerdoti, fin dal tempo del seminario, siano preparati a comprendere e a celebrare la santa Messa in latino, nonché a utilizzare testi latini e a eseguire il canto gregoriano; non si trascuri la possibilità che gli stessi fedeli siano educati a conoscere le più comuni preghiere in latino, come anche a cantare in gregoriano certe parti della liturgia”.

Nello stesso anno firmò il Motu Proprio Summorum Pontificum con il quale ribadiva il diritto di qualunque sacerdote cattolico a poter celebrare utilizzando il "Messale Romano" promulgato da Pio V nella forma rivista da papa Giovanni XXIII nel 1962, anteriore perciò alla riforma liturgica del rito romano del 1970. Tale facoltà veniva così riservata al sacerdote senza dover ottenere alcuna autorizzazione né dall’ordinario né dalla Sede Apostolica.

“Il rapporto tra mistero creduto e celebrato si manifesta in modo peculiare nel valore teologico liturgico della bellezza. La liturgia, infatti, come del resto la Rivelazione cristiana, ha un intrinseco legame con la bellezza: è veritatis splendor”, scriveva Benedetto XVI nell’esortazione Sacramentum Caritatis.

Per questo motivo, in tutta la sua vita, in particolare durante il suo pontificato, Joseph Ratzinger ha sempre riservato particolare attenzione all’utilizzo di vesti sacre curate e oggetti liturgici che dessero gloria a Dio. Proprio come fece San Francesco che si spogliava per essere povero e chiedeva ai propri frati di andare a riservare teche d’oro per il Santissimo Corpo di Gesù.

A novembre 2007, viene pubblicata la seconda enciclica di Benedetto XVI che si concentra sulla speranza. Spe salvi, si chiamerà.

Partendo dalle definizioni presentate nei testi paolini, petrini, e da alcuni padri della Chiesa, Benedetto XVI mette a confronto la speranza cristiana, che consente di sperimentare già nel presente quel che ancora attende dal futuro, con le forme moderne di speranza, basate sulle conquiste tecnologiche o sulla politica, che alla fiducia in Dio hanno sostituito la fede nel progresso. Ma le speranze terrene, oltre ad essere proiettate in un ipotetico quanto incerto futuro, anche una volta realizzate divengono già superate, non riuscendo per loro natura a dare quella gioia che può venire solo da una prospettiva infinita, quale è offerta appunto da Dio tramite Cristo.

Nel 2009 Benedetto XVI firma la sua terza enciclica: Caritas in Veritate.

In questo testo meraviglioso, il Pontefice ha voluto proseguire gli insegnamenti della Chiesa in seno alla giustizia sociale. Ha rilevato che da molto tempo si è aggiunta anche l'economia "all'elenco dei campi in cui si manifestano gli effetti perniciosi del peccato", e ha invitato i cristiani a riscoprire l'etica delle relazioni commerciali ed economiche. Nel contesto dell'enciclica, Benedetto XVI ha duramente criticato gli eccessi dell'accumulazione capitalista e richiamato alla necessità di uno sviluppo integrale degli individui come lavoratori e dell'economia come strumento di contribuzione al bene comune. Nella sua lettura dei cambiamenti socio-economici, che si inserisce in decenni di sviluppi e ragionamenti della dottrina sociale cattolica, l'economia contemporanea rischia di privare l'uomo della sua centralità nel creato, nell'azione sociale e nello sviluppo integrale delle comunità. Compito dell'uomo è proteggere tale centralità e l'impostazione valoriale, di matrice cattolica, che la nobilita, nonché garantire la prevalenza delle logiche di comunità sulla ricerca fine a sé stessa del profitto.

La rinuncia

L'11 febbraio 2013 durante il Concistorio Ordinario Pubblico per la canonizzazione dei martiri di Otranto, ha annunciato di voler rinunciare al ministero petrino a partire dalle ore 20 del 28 febbraio 2013. Questo momento, Benedetto XVI lo ha vissuto nella Residenza estiva di Castel Gandolfo per garantire, anche esteriormente, la libertà al Sacro Collegio di poter eleggere il suo successore.

Il Pontefice espresse un ultimo desiderio prima di lasciare, voleva incontrare i parroci e il clero della diocesi di Roma. In quella occasione tenne un meraviglioso discorso: “È per me un dono particolare della Provvidenza che, prima di lasciare il ministero petrino, possa ancora vedere il mio clero, il clero di Roma, disse. È sempre una grande gioia vedere come la Chiesa vive, come a Roma la Chiesa è vivente; ci sono Pastori che, nello spirito del Pastore supremo, guidano il gregge del Signore. È un clero realmente cattolico, universale, e questo risponde all’essenza della Chiesa di Roma: portare in sé l’universalità, la cattolicità di tutte le genti, di tutte le razze, di tutte le culture”.

Poi, si lasciò andare ad alcuni ricordi in merito alla sua esperienza sul Concilio Ecumenico Vaticano II: “Per oggi, secondo le condizioni della mia età, non ho potuto preparare un grande, vero discorso, come ci si potrebbe aspettare; ma piuttosto penso ad una piccola chiacchierata sul Concilio Vaticano II, come io l’ho visto”.

Papa Emerito

Dopo l’elezione, il 23 marzo 2013 il neo eletto al soglio di Pietro, Papa Francesco, si è recato a Castel Gandolfo per fare visita al Papa emerito Benedetto XVI. Dal 2 maggio 2013 il Santo Padre Emerito Benedetto XVI, ha fatto rientro nello Stato della Città del Vaticano per poter condurre una vita “di preghiera” all’interno del Monastero Mater Ecclesiae.

Nonostante la sua scelta di condurre vita privata, visti i numerosi inviti rivoltigli dal Santo Padre, Benedetto XVI fece alcune apparizioni pubbliche.

Il 5 luglio 2013 prese parte all'inaugurazione della statua di San Michele Arcangelo all’interno dei Giardini Vaticani.

Il 22 febbraio 2014 ha partecipato al primo concistoro per la creazione dei nuovi cardinali del Santo Padre Francesco.

Il 27 aprile 2014 ha concelebrato la Santa Messa per la Canonizzazione di San Giovanni XXIII e San Giovanni Paolo II.

Il 28 settembre 2014 ha partecipato alla festa dei nonni sul sagrato della Basilica di San Pietro in Vaticano.

Il 19 ottobre 2014 ha concelebrato la Santa Messa in occasione della Beatificazione di Paolo VI e della conclusione del Sinodo Straordinario dei Vescovi sulla Famiglia.

Il 14 febbraio 2015 ha preso parte al secondo Concistoro per la creazione dei nuovi cardinali di Papa Francesco.

L'8 dicembre 2015, in occasione dell’apertura del Giubileo straordinario della misericordia, Benedetto XVI ha assistito all'apertura della Porta santa.

Il 28 giugno 2016, in occasione del suo 65º anniversario di ordinazione sacerdotale, ha partecipato alla cerimonia in suo onore nella Sala Clementina del Palazzo Apostolico alla presenza di papa Francesco e di altri membri della Curia romana.

Dal 18 giugno al 22 giugno 2020 Benedetto XVI si è recato a Ratisbona per dare l’ultimo saluto a suo fratello Mons. Georg Ratzinger, il quale è deceduto successivamente. Quella fu l'ultima occasione in cui è apparso pubblicamente, seppur quella fu una visita privata.

Le uscite del Santo Padre Emerito dallo Stato della Città del Vaticano sono state limitate negli ultimi anni, per raggiungere la Residenza di Castel Gandolfo per brevi momenti di riposo. Ha continuato a ricevere alcuni ospiti al Monastero, ma negli ultimi tempi le visite sono diventate sempre meno numerose e brevi.

Il 01 dicembre 2022 ha ricevuto la Fondazione Ratzinger per ringraziare e congratularsi con i premiati 2022. Le ultime fotografie presenti in rete sono riferibili a quel momento.

Nei giorni successivi ha ricevuto visite strettamente private e nelle ultime settimane il Pontefice Emerito ha sentito venire meno le forze per via dell’età.

F.P.

Silere non possum