What has Pope Benedict XVI done to combat sexual abuse in the Church?
Una delle accuse più frequenti mosse nei confronti di Benedetto XVI in questi anni è quella di non aver lottato contro la pedofilia nel clero e di aver insabbiato i casi che si sono verificati. Ma è vero ciò che viene detto?
Per poter comprendere se queste affermazioni sono vere o false, bisogna guardare ai documenti e a fatti concreti. Lo facciamo oggi per rispondere a tutti coloro che si pongono sinceramente questa domanda e approfittiamo dell'occasione per dare uno sguardo a ciò che dice S.E.R. Mons. Georg Gänswein nel suo libro in merito all'argomento.
I primi documenti contro la pedofilia
Contrariamente a una certa tolleranza presente nella società greca e negli imperi romani, la tradizione giudaico-cristiana ha sempre condannato e percepito l'abuso sessuale sui bambini come un grave peccato. Brendan Daly sottolinea giustamente che l'insegnamento della Chiesa sui crimini sessuali contro i minori è risalente nei secoli. La Didachè del II secolo richiedeva ai cristiani di non uccidere, di non commettere adulterio, di non praticare la pederastia e di non fornicare. Allo stesso modo, Policarpo, secondo vescovo di Smirne, nella sua lettera ai Filippesi (69-155 d.C. circa), esigeva che i giovani fossero irreprensibili in tutto, che si preoccupassero della purezza sopra ogni cosa e che si tenessero liberi dalla prostituzione e dalla contaminazione con bambini per poter ereditare il Regno di Dio. Atenagora di Atene (133-190 d.C. circa) fu un importante apologeta e pensatore cristiano del II secolo. Nel suo appello ai cristiani,nel capitolo XXXIV, ha difeso il concetto cristiano di purezza e descrive i pederasti come nemici della Chiesa. Inoltre, il libro 17, capitolo 35 del Collectarium canononum di Burchard nel Medioevo prevedeva pene severe (prigione, perdita della tonsura) per il chierico o il monaco colpevole di comportamenti indecenti con un bambino o un adolescente. Questo decreto prevedeva già che il chierico o il monaco colpevole non potesse più avere colloqui privati con i giovani.
Un'allusione agli abusi sui bambini la troviamo già nel Sinodo di Elvira (305-306 d.C.), quando al c. 71 viene proibito l'accesso alla comunione agli "stupratoribus puerorum ". L'espressione "nec in finem" in questo canone suggerisce l'idea della permanenza della scomunica, come a segnare la completa disapprovazione di questo tipo di atti sui bambini. Sebbene il Concilio di Trento non sia entrato nel dettaglio dei diversi tipi di reati sessuali, nella sessione 21, De ref. canone VI si parla di uno stile di vita depravato, scandaloso e vergognoso. Possiamo dedurre che l'abuso sessuale sui minori rientra in questa norma.
Sostanzialmente, fino alla codificazione del 1917, il diritto penale canonico consisteva, da un lato, nelle leggi penali sparse nel Corpus luris Canonici e, dall'altro, in una casistica basata sui precedenti delle decretali e sulla giurisprudenza di casi simili risolti in passato. Nella prassi giudiziaria dell'epoca, era necessario ricorrere a leggi sparse nel Corpus, parzialmente abrogate, derogate o cadute in disuso. Una delle leggi penali fu la Costituzione Sacramentum Poenitentiae di Benedetto XIV.
La Costituzione Sacramentum Poenitentiae del giugno 1741, trattava il delitto di sollecitatio ad turpia, ovvero dell'utilizzo del sacramento della penitenza per compiere atti sessuali. Questo documento si occupò anche dell'assoluzione del complice nel peccato contro il de sexto e della falsa denuncia da parte del penitente.
Nel 1867, il Sant'Uffizio pubblicò un'istruzione su come procedere nei casi di adescamento e ha riaffermato la continuità con la Costituzione Apostolica di Benedetto XIV. Verso la fine del XIX secolo, la Sacra Congregazione del Sant'Uffizio pubblicò altre due istruzioni finalizzate all'applicazione della Costituzione Sacramentum Poenitentiae: quella del 1890 , che contiene lo schema di un interrogatorio per l'esame del penitente più esteso rispetto alla versione del 1867, e quella del 1897, che, rifacendosi al n. 10 dell'Istruzione del 1867, stabilisce che prima di perseguire la persona denunciata è necessario indagare sulla credibilità del denunciante.
Il codice di diritto canonico del 1917
Nel codice piano benedettino, l'abuso sessuale su un minore viene menzionato esplicitamente per la prima volta nel can. 2359 § 2. Il dettato prevedeva che i chierici che si rendevano colpevoli di un reato contro il sesto comandamento con minori di sedici anni, o che si rendevano colpevoli di adulterio, stupro, bestialità, sodomia, incitamento alla prostituzione o incesto con i loro parenti consanguinei o di primo grado, devono essere sospesi, dichiarati infami, privati di qualsiasi ufficio, beneficio, dignità o carica, e nei casi più gravi devono essere dimessi dallo stato clericale. Questo canone riconosce la formula classica "delictum contra sextum decalogi praeceptum", che ha il "vantaggio" di includere nella categoria di questo delitto qualsiasi azione immorale in campo sessuale che coinvolga un minore di sedici anni, senza dover prevedere ed enumerare tutte le "fattispecie" punibili. A differenza del Codice di Diritto Canonico vigente, il canone 2357 del Codice Piano Benedettino, prevedeva la punizione anche dei fedeli laici che si fossero resi colpevoli dei reati abominevoli contro il sesto comandamento commessi con minori di sedici anni. Erano infami per il fatto stesso che, a giudizio dell'Ordinario, potevano essere inflitte loro pene aggiuntive.
Inoltre, questo canone, puniva con la scomunica latae sententiae riservata alla Sede Apostolica chiunque denunciasse falsamente un chierico per adescamento. Anche questo dettato era molto importante perchè si andava a punire con fermezza coloro che strumentalizzavano questa accusa per poter colpire il sacerdote, cosa che ancor oggi avviene molto spesso.
Dal punto di vista della procedura penale, il canone 247 del CJC del 1917 ha posto le basi per il futuro sviluppo della giurisdizione penale del Sant'Uffizio per alcuni delitti riservati, detti più gravi, ovvero quelli contro la fede, la morale e quelli commessi durante la celebrazione dei sacramenti. Così, a differenza degli altri tribunali che erano soggetti alle regole del Libro IV sul processo, il tribunale del Sant'Uffizio poteva seguire le proprie regole nelle cause ad esso riservate (Can. 1555 CJC/17). Dopo la promulgazione del codice piano benedettino, i delitti riservati ("delictis quae sibimet reservantur") e le suddette norme procedurali proprie del Sant'Uffizio erano identificabili solo attraverso la prassi della Congregazione stessa.
L'Istruzione Crimen sollicitationis del 1922 ha specificato queste norme procedurali specifiche per la congregazione e ha definito esplicitamente alcuni dei delitti ad essa riservati.
Crimen sollicitationis
Questo testo venne redatto sotto il pontificato di Pio XI. Poi, nel 1962, con san Giovanni XXIII, il Sant'Uffizio ne curò una nuova edizione per i padri Conciliari, ma ne vennero fatte solo duemila copie e non bastarono per la distribuzione che fu rinviata sine die. Si trattava comunque di norme procedurali da seguire nei casi di sollecitazione durante il sacramento della confessione e di altri delitti più gravi a sfondo sessuale come l'abuso sessuale su minori.
Spesso la stampa ha detto che questo testo era "tenuto segreto" per permettere di "coprire gli abusatori". Non è affatto vero. Una cattiva traduzione in inglese di questo testo ha fatto pensare che la Santa Sede imponesse il segreto per occultare i fatti. Nel diritto canonico, però, su molte questioni viene imposto il segreto istruttorio. Ciò non significa che si vuole nascondere, piuttosto serve per proteggere la buona fama di tutte le persone coinvolte, prima di tutto le stesse vittime, e poi i chierici accusati, che hanno diritto – come chiunque – alla presunzione di innocenza fino a condanna definitiva. L'onere della prova spetta a chi accusa.
Ratzinger e gli abusi
La lotta del Cardinale Joseph Ratzinger contro gli abusi nel clero, è stata sin da subito molto dura. Emblematica è la lettera che il Prefetto della Congregazione della Dottrina della Fede scrisse il 19 febbraio 1988 al presidente della Pontificia Commissione per l'interpretazione autentica del Codice di Diritto Canonico. Si tratta di un documento molto importante, unico nel suo genere, ove emerge chiaramente l'irritazione del cardinale, il quale denuncia le negative conseguenze che stavano producendo nella Chiesa alcune opzioni del sistema penale stabilito appena cinque anni prima.
Perchè Ratzinger scrisse quella lettera? La Congregazione per la Dottrina della Fede era il dicastero competente, in quel momento storico, per studiare le richieste di dispensa dagli oneri sacerdotali assunti con l'ordinazione. La relativa dispensa veniva concessa come gesto di grazia da parte della Chiesa, dopo avere da un lato vagliato attentamente l'insieme di tutte le circostanze concorrenti nel singolo caso e dall'altro soppesato l'oggettiva gravità degli impegni assunti davanti a Dio e alla Chiesa al momento dell'ordinazione sacerdotale. Le circostanze che motivavano alcune delle richieste di dispensa da questi impegni, tuttavia, erano tutt'altro che meritorie di atti di grazia. Ratzinger scrisse: "Eminenza, questo Dicastero, nell'esaminare le petizioni di dispensa dagli oneri sacerdotali, incontra casi di sacerdoti che, durante l'esercizio del loro ministero, si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti, per i quali il CJC, previa apposita procedura, prevede l'irrogazione di determinate pene, non esclusa la riduzione allo stato laicale.
Tali provvedimenti, a giudizio di questo Dicastero, dovrebbero, in taluni casi, per il bene dei fedeli, precedere l'eventuale concessione della dispensa sacerdotale, che, per natura sua, si configura come "grazia" a favore dell'oratore. Ma attesa la complessità della procedura prevista a tal proposito dal Codex, è prevedibile che alcuni Ordinari incontrino non poche difficoltà nell'attuarla.
Sarei pertanto grato all'Eminenza Vostra Rev.ma se potesse far conoscere il Suo apprezzato parere circa l'eventuale possibilità di prevedere, in casi determinati, una procedura più rapida e semplificata".
Sostanzialmente si evince la naturale ripugnanza del sistema di giustizia a concedere come atto di grazia (dispensa dagli oneri sacerdotali) qualcosa che occorre, invece, imporre come pena (dimissione ex poena dal sacerdozio). Volendo evitare le complicazioni tecniche delle procedure stabilite dal Codex per punire condotte delittuose, infatti, si faceva talvolta ricorso alla volontaria richiesta del colpevole di abbandonare il sacerdozio. In questo modo si arrivava allo stesso risultato "pratico" di espellere il soggetto dal sacerdozio, se tale era la sanzione penale prevista, aggirando al contempo "noiose" procedure giuridiche. Era un modo, diciamo "pastorale". Agendo così, però, si rinunciava alla giustizia e – come saggiamente scriveva il prefetto Ratzinger – si lasciava ingiustamente da parte "il bene dei fedeli". Tale era il motivo centrale della richiesta, nonché la ragione per cui occorreva dare priorità, in questi casi, all'imposizione di giuste sanzioni penali per mezzo di procedure più rapide e semplificate di quelle indicate nel Codex.
Bisogna tener conto che, sebbene il Codice di Diritto Canonico (cfr. can. 1362 § 1, 1°) riconoscesse l'esistenza di una giurisdizione specifica della Congregazione per la Dottrina della Fede in materia penale, anche al di fuori dei casi di evidente carattere dottrinale, non era affatto evidente nel contesto normativo di allora quali altri delitti concreti potessero rientrare nella competenza penale del dicastero. Il canone 6 del Codex aveva peraltro abrogato espressamente qualunque altra legge penale prima esistente.
La lettera del cardinale Ratzinger presupponeva, perciò, che la responsabilità giuridica in materia penale ricadesse sugli Ordinari o sui superiori religiosi.
Nel giro di tre settimane arrivò la risposta del cardinale Castillo Lara, con lettera del 10 marzo 1988. La tempestività e il contenuto del responso si capiscono se si tiene conto della particolarità del momento legislativo: essendo appena terminato lo sforzo codificatore che per decenni aveva occupato la Commissione, infatti, erano ancora in fase di completamento tutti gli adeguamenti alla nuova disciplina delle altre norme del diritto universale e particolare. La risposta certo condivideva le motivazioni addotte e la bontà del criterio di anteporre le sanzioni penali alla concessione di grazie; inevitabilmente, però, confermava la necessità prioritaria di dare il dovuto seguito alle norme del Codex appena promulgato:
"Capisco bene la preoccupazione di Vostra Eminenza per il fatto che gli Ordinari interessati non abbiano esercitato prima la loro potestà giudiziaria per punire adeguatamente, anche a tutela del bene comune dei fedeli, tali delitti, scrive Castillo Lara. Tuttavia il problema non sembra essere di procedura giuridica ma di responsabile esercizio della funzione di governo.
Nel vigente Codice sono stati chiaramente determinati i delitti che possono comportare la perdita dello stato clericale: essi sono configurati ai cann. 1364 § 1, 1367, 1370, 1387, 1394 e 1395. Allo stesso tempo è stata semplificata molto la procedura rispetto alle precedenti norme del CIC 1917, resa così più rapida e snella, anche allo scopo di stimolare gli Ordinari all'esercizio della loro autorità, attraverso il necessario giudizio dei colpevoli "ad normam iuris" e l'applicazione delle previste sanzioni.
Cercare di semplificare ulteriormente la procedura giudiziaria per infliggere o dichiarare sanzioni tanto gravi come la dimissione dallo stato clericale, oppure cambiare l'attuale norma del 1342 § 2 che proibisce di procedere in questi casi con decreto amministrativo extragiudiziale (cfr. can. 1720), non sembra affatto conveniente. Infatti da una parte si metterebbe in pericolo il diritto fondamentale di difesa – in cause poi che interessano lo stato della persona –, mentre dall'altra parte si favorirebbe la deprecabile tendenza – per mancanza forse della dovuta conoscenza o stima del diritto – ad un equivoco governo cosiddetto "pastorale", che in fondo pastorale non è, perché porta a trascurare il dovuto esercizio della autorità con danno del bene comune dei fedeli.
Anche in altri periodi difficili della vita della Chiesa, di confusione delle coscienze e di rilassamento della disciplina ecclesiastica, i sacri Pastori non hanno mancato di esercitare, per tutelare il bene supremo della "salus animarum", la loro potestà giudiziaria".
La lettera fa, poi, un excursus sul dibattito che, nel corso dei lavori di revisione del Codex, s'era sviluppato prima di decidere di non inserirvi la cosiddetta dimissione ex officio dallo stato clericale. "Tutto ciò considerato – concludeva la risposta – questa Pontificia Commissione è dell'opinione che si debba insistere opportunamente presso i Vescovi (cfr. can. 1389), perché, ogni volta che ciò si renda necessario, non manchino di esercitare la loro potestà giudiziaria e coattiva, invece di inoltrare alla Santa Sede le petizioni di dispensa".
La Commissione condivideva l'esigenza di fondo di tutelare il "bene comune dei fedeli", ma, allo stesso tempo, riteneva rischioso rinunciare ad alcune concrete garanzie anziché esortare chi ne aveva le responsabilità affinché attuasse le disposizioni del diritto. Lo scambio di lettere si concluse con una cortese risposta, il 14 maggio successivo, del cardinale Ratzinger:
"Mi pregio comunicarLe che è pervenuto a questo Dicastero il Suo apprezzato voto circa la possibilità di prevedere una procedura più rapida e semplificata dell'attuale per l'irrogazione di eventuali sanzioni da parte dei competenti Ordinari, nei confronti di sacerdoti che si sono resi colpevoli di gravi e scandalosi comportamenti. Al riguardo, desidero assicurare l'Eminenza Vostra Rev.ma che quanto da Lei esposto sarà tenuto in attenta considerazione da parte di questa Congregazione".
La prima vittoria di Ratzinger
Seppur la questione poteva sembrare chiusa, il problema per Ratzinger non era risolto. Convincere tutto l'episcopato ad agire non era certamente semplice e richiedeva un lungo lavoro di formazione. Un mese dopo, il Santo Padre Giovanni Paolo II promulgò la Costituzione Apostolica Pastor Bonus (28 giugno 1988), la quale andava a modificare l'assetto complessivo della Curia romana stabilito nel 1967 dalla Regimini Ecclesiae universae, riordinando le competenze dei singoli dicasteri. All'articolo 52, proprio per volontà del cardinale Ratzinger si stabilì chiaramente la giurisdizione penale esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede, non solo rispetto ai delitti contro la fede o nella celebrazione dei Sacramenti, ma anche riguardo ai "delitti più gravi commessi contro la morale", procedendo "a dichiarare o ad infliggere le sanzioni canoniche a norma del diritto".
In un quadro normativo presieduto dai criteri di sussidiarietà e di "decentramento", dunque, la Pastor bonus realizzò un atto giuridico di "riserva" alla Santa Sede (cfr. can. 381 § 1) di un'intera categoria di delitti, che il Pontefice affidava alla giurisdizione esclusiva della Congregazione per la Dottrina della Fede. Chiaramente questa scelta avvenne perchè il sistema non funzionava.
Ma quali erano i "delitti più gravi contro la morale" che la Pastor bonus affidava alla Congregazione sottraendoli alla giurisdizione degli Ordinari? Si rese necessario un chiarimento a tal proposito.
Verso la fine degli anni novanta si procedette a preparare delle Norme sui cosiddetti delicta graviora, che hanno dato effettività all'articolo 52 della costituzione apostolica Pastor bonus, indicando concretamente quali delitti contro la morale fossero da ritenere "particolarmente gravi" e, quindi, di esclusiva giurisdizione della Congregazione per la Dottrina della Fede.
Le norme promulgate nel 2001 sono state spesso etichettate come "accentratrici". Questa accusa è chiaramente frutto di un giudizio formulato da persone che non conoscono ciò che stava avvenendo all'interno delle diocesi.
In primo luogo, questa scelta si rese necessaria per risolvere un serio problema ecclesiale di operatività del sistema penale, in secondo luogo, serviva ad assicurare un trattamento uniforme di queste cause in tutta la Chiesa. A tale scopo la Congregazione stillò le norme interne di procedura e poi riorganizzo l'intero dicastero per consentire questa attività giudicante in accordo con le regole processuali del Codice di Diritto Canonico.
Dopo il 2001, inoltre, il Cardinale Joseph Ratzinger ottenne da Giovanni Paolo II nuove facoltà e dispense per gestire le varie situazioni, giungendo addirittura alla definizione di nuove fattispecie penali. Questi adeguamenti successivi finirono nelle Norme sui delicta graviora pubblicate dalla Congregazione nel luglio 2010. Poi aggiornate da Papa Francesco nel 2021.
Preoccupazione anche per i territtori di missione
Questa non fu l'unica iniziativa del Cardinale Ratzinger. Il Prefetto per la Congregazione per la Dottrina della Fede fece anche un intervento, quale membro della Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, nella preparazione delle facoltà speciali concesse al dicastero per far fronte, in via anche di supplenza, ad altro genere di problemi disciplinari nei luoghi di missione. A causa della scarsità di mezzi di ogni tipo, nei territtori di missione, vi erano evidenti ostacoli nell'attuazione pratica del sistema penale del Codex. Queste realtà dipendevano dalla Congregazione per l'Evangelizzazione dei Popoli, e rappresentano, tutt'oggi, quasi la metà del mondo cattolico.
Per questo motivo, nell'adunanza plenaria del febbraio 1997, la Congregazione ha deciso di richiedere al Papa delle facoltà speciali che le permettessero di potere intervenire per via amministrativa, in determinate situazioni penali. Il relatore, in quella plenaria, era proprio il cardinale Joseph Ratzinger. Quelle facoltà furono aggiornate e ampliate nel 2008, e altre di natura analoga sono state poi concesse alla Congregazione per il Clero.
Il racconto del Segretario particolare
Come noto, in questi giorni è uscito il libro Nient'altro che la Verità, scritto da S.E.R. Mons. Georg Gänswein. In merito a questo tema, Gänswein scrive: "L'orribile questione degli abusi sessuali compiuti da ecclesiastici ha attraversato in filigrana gli anni vaticani di Ratzinger, che combattè energicamente questo crimine sia da cardinale sia da Papa".
In particolare, come prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede (e ancor prima da arcivescovo di Monaco), contribuì alla elaborazione del Codice di Diritto canonico promulgato nel 1983, dove il canone 1395 afferma perentoriamente: «Il chierico che abbia commesso altri delitti contro il sesto precetto del Decalogo […] con un minore al di sotto dei 16 anni, sia pu- nito con giuste pene, non esclusa la dimissione dallo stato clericale, se il caso lo comporti».
"Sin da allora, continua il segretario personale, gli era chiara la diagnosi, che sintetizzò a Peter Seewald in Luce del mondo: «A partire dalla metà degli anni Sessanta [il Diritto penale canonico] semplicemente non è stato più applicato. Dominava la convinzione che la Chiesa non dovesse essere una Chiesa del diritto, ma una Chiesa dell'amore; che non dovesse punire. Si spense in tal modo la consapevolezza che la punizione può essere un atto d'amore». Contemporaneamente vedeva che nel contesto sociale dell'epoca i criteri validi sino a quel momento in tema di sessualità erano totalmente venuti meno, causando conseguenze anche nella formazione e nella vita dei sacerdoti.
Quel giudizio venne poi esplicitato nei famosi "Appunti", inizialmente scritti dal Papa emerito come riflessione personale, che scaturirono da una sua preoccupazione pastorale costante, emersa con forza durante tutto il pontificato, cioè la preoccupazione per la vita e il ministero dei presbiteri. Il dramma degli abusi, infatti, rappresenta una crisi della credibilità sacerdotale dinanzi al mondo, così come dell'identità degli stessi sacerdoti riguardo alla loro missione e alla loro capacità di annunciare il Vangelo".
Non bisogna dimenticare, sottolinea l'arcivescovo, "che Benedetto è stato il primo Papa a incontrare vittime di abuso da parte di sacerdoti durante i suoi viaggi apostolici. Lo fece ben cinque volte: negli Stati Uniti (aprile 2008), in Australia (luglio 2008), a Malta (aprile 2010), nel Regno Unito (settembre 2010) e in Germania (settembre 2011). E sempre lontano dai riflettori, nello stile di riservatezza da lui voluto in quelle circostanze".
L.M. e F.P.
Silere non possum