The Italian bishops approved the document on formation in Italian seminaries

Si è conclusa la sessione autunnale del Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana che si è svolta a Roma dal 25 al 27 settembre 2023 sotto la guida del Cardinale Matteo Maria Zuppi.

Fra i temi più importanti vi è stata la Ratio Fundamentalis Institutionis sacerdotalisovvero il documento che il Dicastero per il Clero ha predisposto (l'ultimo nel 2016 a firma del Cardinale Mauro Piacenza) per la formazione all'interno dei seminari cattolici.

RFIS recita: "Secondo il prudente giudizio di ogni Conferenza Episcopale, l'iter per l'elaborazione e per i successivi aggiornamenti della Ratio Nationalis potrebbe prevedere i seguenti passaggi: innanzitutto la Conferenza Episcopale, tramite appositi incaricati, potrebbe consultare direttamente i Seminari e, ove fosse presente, anche l'Organizzazione nazionale dei Seminari; essa potrebbe poi affidare alla Commissione Episcopale per il Clero e per i Seminari l'elaborazione di un testo base; infine, nel segno della collegialità e con spirito di collaborazione, la medesima Conferenza Episcopale deve procedere alla stesura finale del testo". 

Al momento la Conferenza Episcopale Italiana ha approvato il documento sulla formazione dei sacerdoti secondo le osservazioni che verranno recepite dalla Commissione Episcopale per il clero e la vita consacrata in vista della presentazione all'Assemblea Generale Straordinaria che avrà luogo ad Assisi dal 13 al 16 novembre 2023. Il tema dell'Assemblea sarà: "Ratio formationis sacerdotalis per i Seminari in Italia".

Il testo si compone di cinque capitoli ed è stato concepito grazie al contributo dei vescovi e dei formatori dei seminari, ha il fine di offrire orientamenti comuni e indicazioni condivise affinché ogni singola Conferenza Episcopale Regionale possa costruire il progetto formativo dei propri Seminari.

"Alla base del documento – affermano i vescovi – c'è la convinzione che per il prete, discepolo permanentemente in cammino sulle orme del Maestro, la formazione sia un processo che inizia in Seminario e continua per tutta la vita. Per questo, la Ratio Nationalis cerca di colmare il divario esistente fra i due momenti dell'unica formazione, evidenziando la stretta connessione tra pastorale vocazionale e formazione permanente, che necessita di essere maggiormente coordinata con quella iniziale. Il ministero del sacerdote, infatti, si inserisce nella comunione ecclesiale e da questa trae forza per rapportarsi con le altre ministerialità. Il presbitero è chiamato a pensarsi sempre più dentro una coralità, in relazione al territorio in cui opera e con un respiro diocesano, in una dimensione di fraternità che va costruita fin dal Seminario". 

"Divide et impera" nella Chiesa Italiana

I vescovi italiani continuano a parlare attraverso documenti che poco hanno di pratico e, soprattutto, non vi è una comune visione in merito alla formazione sacerdotale. Uno degli intenti di Papa Francesco è stato proprio questo negli ultimi dieci anni. Il Papa ha completamente rivoluzionato l'episcopato italiano e lo ha "gestito" secondo quella locuzione latina "divide et impera". 

Lo si può evincere anche dal fatto che in questa sessione autunnale il Consiglio Permanente ha addirittura recepito una bozza, presentata da chi non si sa,  di un progetto volto alla riforma della strutturazione e dell'organizzazione degli Uffici e dei Servizi della CEI, "secondo i principi della sinodalità, della missionarietà e della diaconia".

Questo avviene "in linea con quanto avvenuto nella Curia Romana e nel Vicariato di Roma". Proviamo ad immaginare lo sconforto nel volto di Angelo De Donatis, il quale fa parte del Consiglio, che si vede propagandata la riforma del Vicariato come "cosa buona e giusta", addirittura utile per pensare ad una riforma della CEI. 

Possibile che questi vescovi non si rendano conto di quanto Praedicate Evangelium sia fatta male e non sia applicabile in numerosi punti? Possibile che questi vescovi non si rendano conto di come il Vicariato di Roma abbia perso qualunque sua utilità e funzione pastorale a seguito della Costituzione In ecclesiarum communione?

Chiaramente non può mancare la chiosa dove si fa presente che "il percorso di riforma vedrà coinvolti non soltanto i Presuli, ma anche tutti coloro che, a vario titolo, già operano secondo la propria professionalità negli Uffici e nei Servizi della CEI: uomini e donne, laici, religiosi e sacerdoti". Chiaro? Sulla vita dei vescovi, delle diocesi, dei preti e delle parrocchie decideranno i laici. Provate ad andare al ministero delle finanze italiano a dire che noi preti dobbiamo decidere quanto prenderanno di stipendio "donne e uomini" italiani. Vedrete come vi risponderanno.

È chiaro che stiamo raggiungendo dei livelli mai visti prima. Dal pulpito diciamo che l'eutanasia è peccato, noi però, la stiamo mettendo in atto. 

Formazione sacerdotale

Anche nella formazione sacerdotale sentiamo spesso il Papa parlare della presenza dei laici, in particolare delle donne. Questa patologia non è nuova ed è particolarmente presente all'interno del percorso dei gesuiti. Il tutto parte dalla convinzione, purtroppo ancora presente in larga misura, che la donna serve al seminarista per scongiurare l'omosessualità. 

Tralasciando l'assurdità di queste teorie che nulla hanno di scientifico ma sono solo nella testa di questi personaggi con evidenti problemi psichiatrici (si veda Amedeo Cencini), la questione del laicato all'interno del seminario è cosa seria. Se i seminaristi avranno modo di fare esperienza pastorale all'interno delle parrocchie, non si vede quale sia l'utilità dei laici all'interno delle strutture seminariali. 

Inoltre, non è necessaria la presenza dei laici in seminario proprio perchè bisognerebbe concentrarsi su un altro tema fondamentale: l'affettività e la sessualità.

Se il seminarista venisse formato in modo serio, gli sarebbe permesso (e quindi fortemente consigliato) di coltivare le proprie amicizie, sia all'interno che all'esterno del seminario. In questo modo, senza imposizioni di sorta, il candidato al presbiterato avrebbe la possibilità di sperimentare, coltivare e migliorare la propria capacità relazionale. All'interno dei documenti sulla formazione sacerdotale bisognerebbe forse concentrarsi su questioni molto più pratiche, pensiamo ad esempio, alla capacità del giovane in formazione di riconoscere i propri sentimenti, saperli esprimere e quindi anche governare. 

I vescovi, durante il Consiglio Permanente, hanno parlato ancora della fraternità presbiterale. Chiediamoci come è possibile raggiungere questo traguardo che poche diocesi, in Italia, possono dire di aver raggiunto. Fraternità sacerdotale significa vivere insieme? significa mangiare insieme? Assolutamente no. Questo non è ciò che è richiesto a chi ha una vocazione al sacerdozio secolare. 

Per fraternità sacerdotale deve intendersi quella capacità di comprendersi, aiutarsi, confrontarsi ed amarsi come confratelli nel sacerdozio. Questo è possibile alla luce di formatori narcisisti che continuano ad ammettere in seminario personaggi problematici per potersi "gongolare" giocando a fare gli psicologi? Assolutamente no.

Solo ammettendo in seminario persone mature, affettivamente e culturalmente, si potrà pensare di formare un clero che sia compatto. Non si può pensare di ammettere solo chi rientra "negli schemi" del rettore e che abbia le medesime posizioni teologiche o convinzioni liturgiche, o che contribuisca ad incensare il suo "io".

Uomini che siano anche capaci di critica ma che contribuiscano vivamente al presbiterio che andranno a formare. Del resto, seppur negli ultimi anni anche qui in Vaticano abbiamo chi pensa di creare dei robot che lo incensino da mattino a sera, la Chiesa non è fatta di amebe che eseguono ordini ma di persone dotate, chi più chi meno, di raziocinio.

« Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e ciascuno per la sua parte siamo membra gli uni degli altri», scrive San Paolo ai Romani.

Senza dimenticare che la maggior parte dei presbitèri divisi sono formati da soggetti che negli anni sono stati promossi a suon di "chiacchiericcio". Parlando male dei loro confratelli, denunciando chissà quali illeciti, hanno raggiunto le più alte vette delle sfere ecclesiastiche. Il "Papa Francesco della teoria" li chiamerebbe giustamente "arrampicatori". Quello "della pratica", invece, li continua a promuovere facendo rotolare altre teste.

Solo formando ad un sano spirito di fratellanza, di "camerata", si potrà permettere una vera fraternità che porti i sacerdoti ad aiutarsi fra loro e a respingere gli attacchi che, giorno dopo giorno, continuano ad arrivare. Si pensi, fra i tanti esempi, quando veniamo chiamati a celebrare l'Eucarestia nella parrocchia del nostro "confratello viciniore". Quella è l'occasione perfetta per le megere di Paese (a proposito delle sante donne che vengono proposte come modelli da seguire) di sparlare del loro parroco. Sono episodi quotidiani che ognuno di noi si ritrova ad affrontare. Sono pochi, purtroppo, coloro che hanno il coraggio di stroncare queste donne magari raccontando loro la storiella della gallina di san Filippo Neri. 

Spesso, piuttosto, si contribuisce al chiacchiericcio facendosi sedurre dai complimenti (spesso falsi ed interessati) di queste persone che rivolgono al prete sconosciuto e appena arrivato. "Eh Lei è bravo, ma il nostro parroco...", "Ah ma come celebra Lei nessuno. Il nostro parroco, invece...."

Ecco, se vogliamo parlare di fraternità, partiamo da queste basi. San Giovanni Bosco diceva: "A minimis incipe". Da queste piccole cose bisogna partire per giungere all'alta vetta e sradicare tutti coloro che in seminario sono stati educati a sparlare dei loro confratelli. Ordinati, poi, li ritroviamo oggi nelle parrocchie partenopee a minacciare il loro vescovo se per caso pensa di spostarli da una parrocchia all'altra. Queste sono le preoccupazioni serie che devono interrogarci. Questo è il cancro che non permette la fraternità sacerdotale. 

L'omosessualità e la Ratio

Altra questione importante che però non viene affrontata è quella dell'orientamento sessuale dei candidati. Mentre in Germania, proprio recentemente, la Conferenza Episcopale Tedesca ha pubblicato un vademecum sugli abusi spirituali e di coscienza, all'interno dei documenti troviamo ancora numerosi di questi abusi.

Pensiamo alla Ratio che recita al punto 200: "Peraltro, occorre ricordare che, in un rapporto di dialogo sincero e di reciproca fiducia, il seminarista è tenuto a manifestare ai formatori - al Vescovo, al Rettore, al Direttore Spirituale e agli altri educatori - eventuali dubbi o difficoltà in questo ambito". 

L'orientamento sessuale del candidato non può essere un criterio valutativo e, soprattutto, non è un ambito di cui lo stesso deve parlare con vescovo o rettore. Questo è uno degli ambiti che riguarda il foro interno e non può essere confuso con quello esterno. Tale commistione sarebbe un grave abuso di coscienza.

In generale, l'approccio della Chiesa alla "questione omosessuale", se così vogliamo chiamarla, è completamente viziato. Se noi leggiamo la documentazione delle plenarie e delle audizioni che hanno portato alla formulazione dei documenti che parlano dell'omosessualità, soprattutto per quanto riguarda i seminari, noteremo che la posizione della Chiesa si è formata grazie al contributo di due soggetti: l'abusatore Tony Anatrella e l'omofobo Amedeo Cencini. 

Entrambi, negli anni, hanno dato modo di comprendere chi sono e quanto male hanno fatto a questo corpo mistico che è la Chiesa. Se ciò non bastasse, però, è la stessa comunità scientifica che ha sconfessato questi due soggetti e hanno chiaramente spiegato che la loro posizione è ideologica, ascientifica e non attendibile. 

Recita sempre la Ratio: "In relazione alle persone con tendenze omosessuali che si accostano ai Seminari, o che scoprono nel corso della formazione tale situazione, in coerenza con il proprio Magistero, «la Chiesa, pur rispettando profondamente le persone in questione, non può ammettere al Seminario e agli Ordini sacri coloro che praticano l'omosessualità, presentano tendenze omosessuali profondamente radicate o sostengono la cosiddetta cultura gay. Le suddette persone si trovano, infatti, in una situazione che ostacola gravemente un corretto relazionarsi con uomini e donne. Non sono affatto da trascurare le conseguenze negative che possono derivare dall'Ordinazione di persone con tendenze omosessuali profondamente radicate»".

Grazie a queste assurde idee, negli anni, abbiamo continuato ad ordinare persone che, a parere di Cencini erano eterosessuali DOC, ma che erano incapaci di relazionarsi con gli altri. Difatti, se una persona è incapace di relazione, non lo è per via del suo orientamento sessuale ma per via di problematiche psicologiche che vanno cercate e rinvenute in altre sfere della sua personalità.

Ora, con un Papa che finge di farsi portavoce dei diritti di tutti, con un Presidente CEI che firma le prefazioni ai libri sull'omosessualità, come mai la CEI non inizia a battere i piedi chiedendo che queste norme (peraltro, per fortuna disattese) vengano eliminate? Perchè i rettori dei seminari e i vescovi interpellati non hanno chiesto al Dicastero stesso di rivedere questa posizione sconfessando pubblicamente Anatrella, il quale poi è stato scoperto a "tocchicchiare" i ragazzetti e Amedeo Cencini?

Ciò che fa spece è che qualcuno non si rende conto, o vuol far finta di non rendersi conto, che sono queste le problematiche che arrecano danno alla fraternità, proprio perché "l'omosessualità" è divenuta negli anni il terreno di molte battaglie. Molti, pur non essendo omosessuali, sono spesso stati accusati di esserlo (come se fosse un crimine) per poter essere "squalificati da giochi". Questo avviene nei seminari, nelle diocesi e soprattutto qui in Vaticano. Vogliamo parlare di fraternità? Ecco, partiamo da questi gravi problemi.

d.L.E.

Silere non possum