Bishop Domenico Pompili's first pastoral letter to the diocese of Verona (Italy) is about silence.

È stato nominato vescovo della diocesi di Verona da Papa Francesco il 2 luglio 2022. A poco più di un anno dal suo arrivo nella terra di San Zeno, Domenico Pompili indirizza la sua prima lettera pastorale al clero e al popolo di Dio. Il tema è il silenzio.

"Il silenzio è recettivo, non impositivo; è comprendere, non prendere; è contemplativo e proattivo insieme. Vivere concretamente il silenzio, farne l’esperienza, capovolge il nostro sguardo sulla realtà perché svela un’altra postura esistenziale e quindi un atteggiamento pratico diverso", scrive Pompili.

E ancora: "Oggi c’è bisogno di silenzio per ritrovare il senso, il gusto della vita. Il rischio o, forse, il fatto è che chi bussa alle nostre porte, alle porte delle nostre comunità, invece troppo spesso non lo trovi. Come se il silenzio sia un bene di prima necessità che abbiamo però consumato, finito, senza farne scorta. [..] Il problema vero è se la ricerca del silenzio viene colmata con l’offerta di cose, di rumore, ma non di ciò che dal silenzio si genera: la Parola. Invece, questo è il nostro compito se qualcuno bussa: il Silenzio e la Parola devono brillare sempre sulle nostre tavole. Nella vita, nella morte, nel dolore, nell’amore, cerchiamo parole e gesti in grado di esprimere qualcosa e non li troviamo. Spesso, anche le nostre stanche liturgie sembrano aver smarrito la sapienza di una ritualità che aiuta a dare forma e senso alla vita e ai suoi momenti topici". 

Pompili offre un invito molto importante alle comunità: "Indispensabile - dice il vescovo - appare garantire almeno alcuni spazi di silenzio: dopo l’omelia, come aveva insegnato Benedetto XVI, e dopo la comunione, invece di aprire il profluvio degli avvisi parrocchiali". 

Poi ha chiesto: "Lascio poi a ciascuna comunità il compito di elaborare due o tre pagine, che sarei contento di poter poi leggere, in cui descrivere il percorso fatto". 

Pompili invita a riaprire le Chiese: “Per quante difficoltà possiamo avere, ci è chiesto anche un supplemento di impegno a riaprire le chiese, perché diventino scuola in cui reimparare il silenzio, luoghi nei quali chiunque possa non solo trovare uno spazio in cui celebrare il mistero di Dio, ma anche semplicemente sostare nella ricerca di un anelito di umanità. Vivere un tempo di sosta e di silenzio, sottratto alla frenesia della corsa e alla schiavitù dell’utile a cui affidarsi può offrire l’occasione di scoprire la storia di fede che quel luogo racconta”. 

Purtroppo, però, si ha sempre paura a parlare di Gesù Cristo. "Anelito di umanità". Cosa vuol dire. La sensazione è sempre la stessa, i cattolici hanno vergogna a pronunciare quel nome. Quell’uomo crea scandalo. Da cinquant’anni si è convinti che parlare di Gesù Cristo allontanerà le persone. Allora? La soluzione è parlare di cose astratte, aleatorie, senza mai citarlo. 

Come se volessimo tendere una trappola alle persone: “vieni in chiesa per riposarti”. Poi, ecco, trovi Gesù Cristo. 

Continua: "Questo impegno comporta che le nostre comunità aiutino a riappropriarsi di quegli spazi meditativi in cui la Parola di Dio e la vita si fecondano a vicenda. Anche pochi minuti al giorno, vissuti con continuità, possono riaccendere uno sguardo nuovo sul momento che si è chiamati a vivere, oltre che ridare fiato a una modalità comunicativa e relazionale, con Dio e con i fratelli, autenticamente sentita.

Quelle che un tempo chiamavamo “meditazione” o “lettura spirituale” potrebbero tornare a essere, in modalità più consone alla sensibilità di oggi, elementi per una più qualificata spiritualità".  Sì, "meditazione, lettura spirituale" possiamo continuare a chiamarle ancor oggi senza vergognarci.

Aspetti critici

Nel testo vengono citati autori come Etty Hillesum, Søren Kierkegaard, Antonio Machado, Mario Luzi e Maria Montessori. Purtroppo, non c'è traccia dei grandi santi cattolici e maestri del Silenzio. Si pensi a San Giuseppe, definito spesso "Dottore del Silenzio" ma anche a San Bruno, San Benedetto. L'idea, però, è sempre la solita che porta a mescolarsi nel vischioso terreno della Poesia senza rendersi conto che molti poeti hanno sempre tratto spunto da Dio stesso. Si pensi a San Giovanni della Croce.

Assente, nella lettera pastorale, l'aspetto delle vocazioni e una parte rivolta ai propri preti. Anzi, scrive Pompili: "In questo anno con la collaborazione delle parrocchie, dello studio teologico, dell’istituto superiore di scienze religiose e degli uffici pastorali, dovrà essere ideato e realizzato una scuola di formazione che accompagni ed educhi ad una sempre più ampia corresponsabilità laicale". Ancora una volta si pensa di rimpiazzare i ministri ordinati con i laici, istituendo scuole teologiche che non vengono frequentate da nessuno se non da quelli che buttiamo fuori dalla porta dei seminari e rientrano dalla finestra. 

Problema di cui sembra essere al corrente il vescovo Pompili, quando scrive: "Le unità pastorali, dunque, così come le vicarie e ancor prima la diocesi, non azzerano la parrocchia, ma questa non è autosufficiente e deve diventare capace di dialogo con il resto. La parrocchia resta fondamentale, ma non può non allearsi con realtà più ampie. Nessuno ha in mente di abolire i campanili. Il campanilismo, però, è ormai decisamente anacronistico". Chiaramente, se non abbiamo ministri ordinati non  è possibile pensare di restare ancorati alla singola parrocchia. Molto spesso nelle comunità questa consapevolezza non arriva ai laici che pretendono che il sacerdote si faccia la peregrinatio di tutte le cappelle per portare loro la Messa a domicilio.

Alla fine, però, non si arriva al punto e non ci si rivolge alla gente con quella chiarezza che caratterizzava Cristo stesso: "La Messe è molta ma gli operai sono pochi". Cosa dovete fare? Pregare! Alla preghiera, poi, deve certamente far seguito tutto un impegno per le vocazioni, per la loro cura e la loro formazione. Purtroppo, però, non sembra essere una preoccupazione. Anzi, i presbiteri che concentrano la loro attività pastorale su preghiera, confessioni, direzione spirituale, ecc..., vengono visti come "non necessari" o "non al passo con i tempi". La convinzione di questi vescovi è che solo "facendo" attività si possa "essere". Non è così. Con questa lettera sul silenzio, auspichiamo vivamente che Domenico Pompili possa riflettere anche sulla vocazione del presbitero al silenzio e alla preghiera. Al sacerdote come uomo "dell'essere" piuttosto che "del fare".

Se quindi il tema faceva ben sperare, la lettera pastorale di Pompili contiene certamente alcuni aspetti interessanti ma il vescovo dimentica di spiegare che il silenzio ci deve aiutare a raggiungere Cristo e Lui solo. Del silenzio dei migranti, delle donne, degli adolescenti e dei carcerati, non ce ne facciamo nulla. Solo il silenzio contemplativo, quello che ci insegnano i grandi padri del deserto, può portarci a raggiungere Cristo.

F.P.

Silere non possum

Lettera Pastorale