Priest celebrates Holy Mass with a helmet on his head. don Mario Dompè and rampant blasphemy.
“Per realizzare un’opera così grande, Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, e in modo speciale nelle azioni liturgiche. È presente nel sacrificio della messa, sia nella persona del ministro, essendo egli stesso che, « offertosi una volta sulla croce, offre ancora se stesso tramite il ministero dei sacerdoti », sia soprattutto sotto le specie eucaristiche”, recita il numero 7 della costituzione Sacrosanctum Concilium del Concilio Vaticano II.
Eppure, negli ultimi tempi, sembra proprio che qualcuno abbia smesso di credere a queste parole. Guardando ad alcune celebrazioni, si ha proprio la sensazione che tutto si stia facendo tranne che celebrare la morte di Cristo in croce.
Perdita del buon senso
Se negli otto anni di pontificato di Benedetto XVI abbiamo assistito ad un tentativo di “rieducazione” di quei soggetti che hanno vissuto il seminario come luogo in cui esprimere tutte le loro problematiche psicologiche, oggi possiamo certamente affermare che qualcuno riesce a sentirsi “assecondato” nella propria follia.
Sì, non si può parlare di altro che di follia. Il Curato d’Ars diceva: “Se il prete sapesse cosa è, morirebbe”. Qui, però, stiamo assistendo ad una chiara volontà di non voler neppure tentare a capire qual è la missione del presbitero.
I seminari sono ormai, in gran parte, governati da persone che hanno un’idea di presbitero che ha fatto venire il voltastomaco a molte persone, sopratutto dopo il Concilio. I risultati sono evidenti. La mancanza di vocazioni non è certo perché non c’è chi vorrebbe impegnarsi e seguire Cristo nel sacerdozio. Il problema sta nel filtro. Mentre, però, coloro che sono dediti alla preghiera e sono obbedienti all’insegnamento della Chiesa vengono redarguiti o, addirittura, cacciati; per coloro che dissacrano lo stesso Divin Sacrificio vi è un trattamento di favore.
Si tratta di un vero e proprio problema psicologico, serio e profondo. Quale capo di una azienda farebbe ciò che sta facendo la Chiesa oggi? Quale manager promuoverebbe chi sputa veleno sull’azienda per cui lavora o chi contravviene alle “regole aziendali”? Nessuno. Nella Chiesa del XXI secolo, invece, questo avviene ed evidenzia un serio problema di identità. Quell’identità che a molti fa paura e viene quindi demonizzata con l’etichetta di “rigidità”.
Ribaltamento della realtà
Come avviene in numerosi ambienti della società, quindi, anche la Chiesa Cattolica sta vivendo una grossa crisi. Non si tratta della “crisi delle vocazioni” ma di una crisi della propria identità. In nome della “vicinanza al popolo”, oggi, si giustifica qualunque cosa. Ogni giorno, quindi, c’è un presbitero che si inventa qualche pazzia. In queste ore, sui social network, sono apparse le immagini di una celebrazione eucaristica (sic!) presieduta dal reverendo sacerdote Mario Dompè della diocesi di Fossano, il quale ha tenuto, per tutto il tempo della Santa Messa, un casco da moto in testa.
In un momento storico in cui lo stesso Pontefice non vuole utilizzare la mitra durante la predicazione, è quantomeno singolare che un sacerdote si metta in testa un casco.
Questo fa parte del ribaltamento della realtà. In una Santa Messa per i motociclisti ha senso mettersi un casco in testa? Sono più vicino alla gente, in questo modo? Assolutamente no. Questo è il risultato di anni e anni in cui abbiamo dato via libera a movimenti ed associazioni che puntano tutto sull’emozione.
Ci si aspetta che in una Santa Messa a cui partecipano prostitute/gigolò, ci si vesta e si facciano le medesime cose che fanno queste persone. Sembra proprio che non ci si renda conto della follia che si sta raggiungendo. Ancora una volta la domanda è: crediamo in ciò che professiamo? Crediamo in ciò che celebriamo? Oggi è venuta meno la fede e tutto ciò che è visto da qualcuno come “rigidità” è semplicemente quello che servirebbe.
Mentre Cristo si sta immolando sulla croce, questo prete indossa un casco. Molti sono i giovani che incontriamo, molti sono coloro che ci scrivono. Le loro parole sono sempre molto dolorose ma dirette: “se non vengo in Chiesa è proprio perché non voglio fare la figura dello sfigato – confida un giovane. Canzoncine da circo, balletti dell’alleluia e altre idiozie varie. La maggior parte delle persone che incontro in parrocchia sembrano uscite da una casa di cura. Chi me lo fa fare? Il prete è lì che sembra non crederci neppure lui”.
Per fortuna si tratta di un ragazzo che, con altri suoi amici, hanno trovato in un parroco giovane una forte testimonianza di fede ed ha così iniziato un cammino di direzione spirituale, partecipazione ai sacramenti e quant’altro. Questo, però, porta sempre più ad un rischio che dobbiamo rifuggire: il fedele non può ritenere un prete essenziale per partecipare ai sacramenti.
Certo, ci sono quei ministri con cui ci si trova meglio. L’aspetto umano non può venire meno. Ma non possiamo assistere a sacerdoti che commettono questi scempi liturgici, i quali scandalizzano coloro che, invece, hanno sempre partecipato a celebrazioni secondo i riti stabiliti dalla Chiesa.
Le contraddizioni
Sono moltissime le contraddizioni di queste persone. Predicano la Chiesa dell’umiltà e della semplicità ma, allo stesso tempo, fanno tutt’altro. Se per scrivere un Messale la Chiesa ha impiegato così tanti anni e dietro ha impiegato il lavoro di numerose persone (magari leggermente più “studiate” di noi), perchè il parroco della campagna deve cambiare quelle parole?
“Chi sei tu per cambiare le parole del messale? Chi sei tu per cambiare le prescrizioni della Chiesa in merito agli abiti e agli oggetti liturgici?”, ci chiediamo.
Eppure, in tutto questo disastro, che ha la sua natura nella mancanza della fede, coloro che attirano l’attenzione del Papa e di molti della sua “corte”, sono coloro che celebrano la Santa Messa secondo il vetus ordo. Francesco ha scelto di scrivere un motu proprio volto a castigare questi sacerdoti e i relativi fedeli. Non si è concentrato affatto sugli abusi liturgici commessi da chi, in nome di una non meglio precisata riforma, commette dei veri e propri atti blasfemi.
Secondo questa folle deriva, anche all’interno della Basilica di San Giovanni in Laterano, a tutti è permesso celebrare: anglicani, copti ortodossi e chi più ne ha più ne metta. Se qualcuno avanza una richiesta di celebrare secondo il vetus ordo, però, rischia la sospensione a divinis e l’esilio.
Qualcosa, chiaramente, non sta funzionando e all’interno dei presbiteri queste problematiche emergono chiaramente anche nel divario generazionale. A Santa Marta, però, sembra non importare.
L.N.
Silere non possum