Diocesi di Tivoli e Palestrina

Sabato 29 marzo 2025 circa cinquemila fedeli della Diocesi di Tivoli e di Palestrina che hanno partecipato al pellegrinaggio giubilare a Roma, guidati dal loro Vescovo, S.E.R. Mons. Mauro Parmeggiani. Un evento vissuto con intensa preghiera e riflessione, preceduto da un cammino di preparazione nelle parrocchie e nelle vicarie della Diocesi, attraverso Lectio Divine, liturgie penitenziali e gli esercizi spirituali quaresimali.

Il pellegrinaggio giubilare è un cammino di conversione e di grazia, un’esperienza di fede che richiama il desiderio dell’uomo di incontrare Dio nel segno del viaggio. Come scriveva San Giovanni Paolo II nella bolla Incarnationis Mysterium (1998), il pellegrinaggio è «simbolo del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza». Non è solo uno spostamento fisico, ma un percorso spirituale che aiuta a riscoprire l’essenziale e a lasciare il superfluo. Il passaggio attraverso la Porta Santa, ricordava Papa Francesco nella bolla Misericordiae Vultus (2015), rappresenta un atto di fiducia nella misericordia di Dio, un ingresso in una vita rinnovata. Il pellegrino giubilare si fa dunque viandante dell’anima, chiamato a lasciarsi trasformare dall’incontro con Cristo. In un’epoca segnata dalla frenesia e dalla distrazione, il pellegrinaggio giubilare diventa un segno profetico: invita a rallentare, a riscoprire il silenzio, a mettersi in cammino con umiltà, portando nel cuore la preghiera e l’attesa di una grazia che solo Dio può donare.

Il pellegrinaggio della diocesi di Tivoli e Palestrina

La giornata è iniziata alle 9:30 in Piazza Pia, da cui i pellegrini si sono mossi verso la Basilica di San Pietro per attraversare insieme la Porta Santa, gesto che ha rappresentato un atto di affidamento alla misericordia di Dio, un impegno a vivere con rinnovata speranza e fede il proprio cammino cristiano. Nel pomeriggio, il pellegrinaggio si è concluso con la solenne celebrazione eucaristica nella Basilica Papale di San Paolo Fuori le Mura, presieduta da Mons. Parmeggiani. Un momento di profonda comunione, arricchito dal canto dei cori diocesani di Tivoli e di Palestrina e dal servizio liturgico curato dai seminaristi.

Mons. Parmeggiani: la misericordia del Padre e la gioia della riconciliazione

Durante l’omelia, il Vescovo ha ripercorso il significato del pellegrinaggio alla luce della Parola di Dio, in particolare del Vangelo del giorno, che narra la parabola del Padre Misericordioso. Mons. Parmeggiani ha sottolineato come spesso l’uomo, come il figliol prodigo, si allontani da Dio inseguendo un’indipendenza illusoria, salvo poi rendersi conto del vuoto lasciato dalla distanza dal Padre. “Abbiamo peregrinato non solo fisicamente, ma soprattutto nel cuore,” ha affermato il Vescovo, invitando tutti a lasciarsi riconciliare con Dio e a vivere con gioia la misericordia che Egli offre. La Porta Santa, attraversata nella mattinata, è stata paragonata alla porta della casa paterna, dietro la quale il Padre attende con amore il ritorno dei suoi figli, pronti a ricevere il dono del perdono e della grazia. Mons. Parmeggiani ha poi esortato i fedeli a non tornare alla quotidianità come se nulla fosse accaduto, ma a portare con sé l’esperienza vissuta, trasformandola in uno stile di vita cristiano autentico, fatto di comunione, servizio e testimonianza. “Non possiamo essere gli stessi di prima,” ha detto, “ma dobbiamo tornare alle nostre parrocchie, alle nostre famiglie, ai nostri ambienti di vita, rinnovati dalla gioia dell’incontro con Dio.”

La celebrazione eucaristica si è così conclusa con un forte invito alla missione: essere testimoni della speranza, della comunione e della carità, vivendo ogni giorno come pellegrini che camminano verso la pienezza della vita in Cristo.

F.P.
Silere non possum

Omelia del Vescovo

Cari sacerdoti, diaconi, fratelli e sorelle nel Signore!
Con la celebrazione di questa Eucaristia nella IV Domenica di Quaresima, domenica Laetare, domenica della letizia che illumina il cammino quaresimale verso l’esultanza pasquale dove celebreremo appieno la Misericordia e l’amore di Dio che, risorto, destina anche tutti noi battezzati che crediamo in Lui alla gioia vera, concludiamo il nostro pellegrinaggio giubilare diocesano.

Un pellegrinaggio al quale ci siamo preparati nelle parrocchie, nelle Vicarie della Diocesi fin dallo scorso anno, anno della preghiera, e poi quest’anno con le Lectio di Vicaria, gli Esercizi spirituali parrocchiali, le liturgie penitenziali di questi giorni e che ora concludiamo con il proposito non di tornare ad essere come prima ma di tornare e vivere nella letizia e nella gioia che oggi abbiamo sperimentato ed ora viviamo in maniera massima nel partecipare alla Pasqua settimanale, all’Eucaristia, dove il Signore offre il suo corpo ed il suo sangue per noi.

Vorrei dunque rileggere, anche alla luce dell’abbondante offerta di Parola di Dio di questa Domenica, l’esperienza che stiamo concludendo ma che dovrà – ripeto – continuare nella vita di ogni giorno.

Abbiamo innanzitutto peregrinato
Siamo partiti dalle nostre case con viaggi più o meno lunghi, più o meno faticosi per recarci insieme verso la Porta Santa che stamane abbiamo attraversato nella Basilica di San Pietro. Lo spirito che ci ha spinti a partire auspico sia stato quello del figlio minore della parabola del Padre Misericordioso che abbiamo ascoltato. Nel cammino della vita tanto spesso camminiamo allontanandoci dal Padre, dall’amore di Dio. Come il figliol prodigo quante volte reclamiamo la nostra indipendenza da Dio, quanto spesso ci sostituiamo a Lui. Ci diciamo uomini e donne di fede ma poi se le cose non vanno come vorremmo noi non ci fidiamo di Dio e così cerchiamo di arrangiarci da soli, ci aggiustiamo le cose da noi e ne vediamo i tristi risultati. I tristi risultati di un mondo sempre più lontano da Dio e per questo sempre più triste, arrogante, in guerra, dove ciascuno spesso cerca soltanto i propri interessi, dove la solitudine e lo smarrimento la fanno da padroni delle nostre vite. Non sperimentiamo più la gioia del sentirci amati perché liberamente ci siamo allontanati, forse senza neppure accorgercene, da Dio che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi e quindi ci siamo allontanati dai fratelli e sorelle in umanità.

Ebbene, oggi abbiamo accolto l’invito a peregrinare verso la Tomba degli Apostoli Pietro e Paolo, testimoni della fede in Cristo fino all’effusione del sangue. Abbiamo accolto l’invito del Papa e della Chiesa intera che indicendo l’Anno Santo ci ha detto, come ha detto l’Apostolo Paolo ai Corinzi: “Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio”. E siamo venuti qui, pellegrini di speranza, speranzosi di fare l’esperienza dell’amore che scaturisce dal Cuore di Gesù trafitto sulla croce e che ci chiama a conversione, desiderosi di ravvivare la grazia di Dio innestata in noi nel giorno del Battesimo e desiderosi che lo Spirito Santo, con la sua perenne presenza nel cammino della Chiesa, irradi nei nostri cuori la speranza che si fonda sulla certezza che niente e nessuno potrà mai separarci dall’amore di Dio.

Siamo venuti qui per ricevere in dono l’Indulgenza plenaria ossia non soltanto il perdono dei peccati che ci dona il Sacramento della Penitenza al quale vi esorto ad accostarvi qualora non lo aveste già fatto ma anche il perdono delle conseguenze, delle tracce esteriori ed interiori che lascia il male commesso in quanto “ogni peccato, anche veniale, provoca un attaccamento malsano alle creature, che ha bisogno di purificazione, sia quaggiù, sia dopo la morte, nello stato chiamato purgatorio” (CCC n.1472) e che la grazia di Cristo, “la nostra indulgenza”, come scrisse San Paolo VI, rimuove.

Siamo così giunti davanti alla Porta Santa
Mi piace pensare che lì, davanti a quella Porta, ci fosse il padre della parabola evangelica che abbiamo ascoltato oggi. Sì, nel segno della porta mi piace vedere il padre che ci attende per farci entrare alla festa con Lui. È un padre che ama e che per questo lascia liberi i suoi figli, anche il figlio che gli chiede la sua parte di eredità e si allontana da lui, dissipando la sua esistenza e perdendo il senso di essa. È un padre che sta sulla porta, che non sta ad aspettarci in casa ma esce da se stesso come è uscito da se stesso dal momento dell’Incarnazione quando tramite il Figlio Gesù è entrato nella nostra condizione umana fino a morire come muore ciascuno di noi, per riportarci alla comunione piena con Lui. È un padre che sta sulla porta ad attenderci con pazienza pronto a riabbracciare chi è andato lontano e che per tornare alla sua casa ha dovuto percorrere un faticoso pellegrinaggio. Un padre che esce dalla porta anche per invitare nella sua comunione, in casa, alla festa, coloro che si ritengono bravi figli solo perché hanno fatto il loro dovere.

Davanti alla Porta Santa oggi ci siamo presentati noi
In tanti, e in ciascuno di noi penso convivano entrambi i figli della parabola.

I figli che come il prodigo si sono allontanati da Dio preferendo vivere come se Lui non esistesse, cercando la loro felicità nel denaro, nella ricchezza, nel potere, nel lavoro che fa trascurare anche gli affetti più belli come sono quelli familiari, dissipando il dono prezioso del tempo sui social o nella ricerca della felicità in una vita sessualmente disordinata, nel gioco d’azzardo, nell’alcool, nelle sostanze stupefacenti …

Ed i figli primi. Quelli che come il primogenito della parabola non si sono mai allontanati dalla casa paterna, hanno sempre fatto il loro dovere, sono sempre stati fedeli ai comandamenti di Dio, alla pratica religiosa, a quel “si è sempre fatto così” che ci fa credere che basta rispettare le tradizioni, i precetti della Chiesa, per essere in regola con le norme ed essere considerati buoni cristiani salvo poi rinunciare ad entrare alla festa che il Padre prepara per chi è giunto da lontano, per il fratello che era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato. I figli primi: esteriormente perfetti ma senza capirne il perché, senza comprendere che la vera perfezione cristiana non nasce solo dalla nostra buona volontà ma soprattutto come risposta d’amore a Colui che ci ama tanto, ci ama fino a dare la sua vita per noi sulla croce e condurci alla Vita eterna.

Ebbene il Padre, oggi, desidera accoglierci tutti
Accogliere chi è stato lontano da Lui per tanto tempo e che desidera tornare a vivere nella casa del Padre. Il desiderio del figlio prodigo è un desiderio che nasce dalla fame, dalla necessità. È un desiderio ancora bisognoso di scoprire a fondo quel Padre che lo attende ma che intanto lo fa tornare. Lo porta all’incontro di un Padre che ci attende sulla porta a braccia aperte e non lascia nemmeno terminare la frase che il figlio aveva preparato per chiedergli perdono, essere riaccolto e trattato come l’ultimo dei suoi salariati … perché il Padre non ci tratta da salariati ma da figli amati e quando ci riabbraccia ci ridona la dignità perduta con il peccato. Ci rimette l’anello al dito, segno della appartenenza al suo casato; i sandali ai piedi, segno della libertà anche di riandarcene, se lo desideriamo; il vestito bello perché ci riveste della sua stessa dignità, del suo amore e della sua grande misericordia.

Ma il Padre desidera accogliere anche quella parte di noi che si sente a posto con Dio e che caso mai non tollera che Dio sia misericordioso anche verso i figli apparentemente più lontani. Se qualcuno tra noi oggi avesse questi sentimenti si lasci dire da Dio: non giudicare i tuoi fratelli che hanno sbagliato perché Dio Padre li ama come ama te, entra alla festa con loro e sii lieto, condividi con loro la gioia dell’amore del Padre che Cristo crocifisso e risorto offre a tutti perché tutti si sfamino e si dissetino al banchetto della Sua infinita misericordia! Certo, tu non vieni da lontano, sei sempre stato nei pressi della porta di casa ma se ci sei stato per dovere più che per corrispondenza di amore, se ci sei stato con una religiosità che non è fede, che non ti ha mai portato a guardare agli altri come fratelli e sorelle da amare perché amati da Dio come te, allora devi anche tu metterti in cammino, peregrinare, domandarti se la tua fede è vera o è apparenza e, senza paura, tornare al Padre che ti abbraccia e invita anche te ad entrare alla festa della Misericordia e del perdono.

Cari fratelli e sorelle, con il cuore lieto, pieni di speranza che ci viene dalla certezza che Dio ci ama, ci attende sempre con il suo amore che perdona purché rientriamo in noi stessi e ricordandoci del suo grande amore torniamo a Lui, accogliamo l’invito alla festa.

La festa che ora per noi è celebrare insieme l’Eucaristia che non può essere, oggi più che mai, una delle tante eucaristie celebrate con lo spirito del figlio che è sempre bravo ma mai libero di dire grazie a Dio perché sperimenta la sua pazienza, la sua misericordia, il suo perdono, la sua Pasqua!

Bensì deve essere una Eucaristia durante la quale ci sentiamo tutti accomunati dall’essere destinatari della medesima misericordia di Dio. Fratelli e sorelle che appartengono ad un’unica Chiesa universale che per noi vive e si realizza nella Chiesa di Tivoli e di Palestrina in comunione con il suo Vescovo, con i presbiteri e diaconi in comunione con il Vescovo e insieme al servizio del popolo santo di Dio, che si realizza nella carità, nell’accoglienza, nel servizio verso tutti i fratelli e le sorelle che ci vivono accanto. Una Chiesa che cammina unita, concorde, così come da stamane stiamo vivendo questa esperienza di pellegrinaggio giubilare. Che insieme ora rende grazie a Dio per il dono del suo amore di Padre e si impegna a corrispondere a questo amore seminando nel mondo segni di speranza a partire dalla comunione più intensa tra noi, dalla disponibilità al servizio verso tutti ed in particolare i più poveri e soli, dalla trasmissione della fede ai più piccoli fatta insieme dalle comunità, dalle famiglie, dai catechisti e dai loro accompagnatori, dalla attenzione ai giovani e alle famiglie in crisi per mancanza di ascolto, pazienza, capacità di empatia, capacità di educare ossia tirar fuori il bene che c’è nel cuore di ogni uomo.

Cari fratelli e sorelle, la festa che il Padre ci ha preparato è l’Eucaristia che ora condividiamo

Se mangiamo lo stesso pane e beviamo allo stesso calice che sono il corpo e il sangue del Signore potremo mai essere separati da Lui? Potremo mai essere divisi tra noi? No.

Quindi al termine di questa Eucaristia torniamo alle nostre case, alle nostre parrocchie, nei nostri luoghi di studio, lavoro, gioia e sofferenza rinnovati dentro, pieni di fiducia e di speranza. Sì, il Padre della misericordia non abbandona nessuno purché tutti tendiamo a Lui che ci tende per primo le sue braccia per renderci una Chiesa viva, gioiosa nello sperimentare come sperimentiamo oggi la comunione; e pronta per la missione di annunciare a tutti con i fatti più che con le parole, con creatività ed insieme, che Cristo, nostra speranza, è risorto, è vivo e dà senso alla vita di tutti coloro che ritornano a Lui con cuore puro e sincero. Amen.

+ Mauro Parmeggiani
Vescovo di Tivoli e di Palestrina