The Pope met with the bishops, priests and seminarians present in Lisbon.

Al termine degli incontri istituzionali che lo hanno visto impegnato nella sua prima giornata in Portogallo, Papa Francesco si è recato presso il monastero dos Jerónimos per la recita del Vespro con i vescovi, sacerdoti, religiosi e seminaristi. In Portogallo sono 47 i vescovi, 2.389 i sacerdoti diocesani e 878 quelli religiosi. A loro si aggiungono 215 religiosi. I seminaristi sono 562 in tutto il Paese. La partecipazione all'evento, però, non è stata molta. La Chiesa è stata riempita di laici che partecipano alla Giornata Mondiale della Gioventù. Pochi i sacerdoti e i religiosi. Alcuni preti, dal Santuario di Fatima, hanno riferito: "Preferiamo stare con i nostri ragazzi, piuttosto che andare a sentire, ancora una volta, il Papa che scaglia la propria rabbia sul clero. Immobilismo, mondanità, cose del passato, clericalismo, ecc... Sempre le solite cose. Siamo stanchi di essere i bersagli del Papa che, invece, dovrebbe incoraggiarci e ringraziarci". Le aspettative dei preti, infatti, non sono state deluse. Il Papa, nel suo discorso, ha detto: "Non è tempo di sostare e arrendersi, di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato" e ancora: "La Chiesa è sinodale, è comunione, aiuto reciproco, cammino comune". 

Le parole pronunciate da Francesco sono state tante. Si è presentato in talare, ha presieduto il vespro con una stola, senza cotta. Il momento di preghiera è durato poco, il momento dell'omelia molto. Gli argomenti sono stati sempre i soliti. Sarebbe stato utile, piuttosto, fare un momento di adorazione eucaristica? Il silenzio avrebbe sicuramente aiutato, piuttosto che le solite frecciatine al clero. Francesco ha riparlato del Sinodo ma non ha ancora capito che questo evento non interessa ai ragazzi, piuttosto è un momento nel quale i vecchi repressi possono manifestare le proprie ambizioni ed ideologie. In queste ore, coloro che in mezzo ai giovani ci stanno e non vivono la GMG dalle sale stampa, dalle camerette delle nunziature, si rendono conto che ai giovani non interessano le ideologie ma vogliono incontrare Gesù Cristo. 
Infine, il Papa si è scagliato anche contro chi "fa proselitismo". C'è da chiedersi cosa avrebbe detto Francesco di San Paolo. Lo avrebbe definito rigido? Anche perché “proselitismo” deriva dalla parola greca προσήλυτος, che nell’Antico Testamento viene usata per indicare lo straniero che si converte all’ebraismo. Nel Nuovo Testamento, la parola “proselytos” appare quattro volte. Una nel Vangelo di Matteo (Mt 23, 15) e tre negli Atti degli Apostoli (At 2, 11; 6, 5; 13, 43). Negli Atti degli Apostoli si riferisce sempre ai pagani convertiti al cristianesimo. I primi cristiani facevano proselitismo per “guadagnare” anime a Cristo (1 Cor 9, 19­-23), e San Paolo, nella lettera ai Corinzi, dice: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!”
Il testo di San Paolo (1 Cor 9, 16­-19) è chiaro: evangelizzare è un dovere, perché se evangelizzo non è per me motivo di gloria, visto che si tratta di un compito che mi spetta. Dopo dieci anni, Francesco non ha ancora capito che questo suo atteggiamento ha stancato i sacerdoti e molti fedeli.
S.I.
Silere non possum - Lisbona

Il discorso del Papa 

Cari fratelli Vescovi, cari sacerdoti e diaconi, consacrate, consacrati e seminaristi, cari operatori pastorali, fratelli e sorelle, buonasera!

Sono felice di essere tra voi per vivere insieme a tanti giovani la Giornata Mondiale della Gioventù, ma anche per condividere il vostro cammino ecclesiale, le vostre fatiche e le vostre speranze. Ringrazio Monsignor José Ornelas Carvalho per le parole che mi ha rivolto; desidero pregare con voi perché, come ha detto, possiamo diventare, insieme ai giovani, audaci nell’abbracciare “il sogno di Dio e nel trovare vie per una partecipazione gioiosa, generosa e trasformatrice, per la Chiesa e per l’umanità”. Mi sono immerso nella bellezza del vostro Paese, terra di passaggio tra il passato e il futuro, luogo di antiche tradizioni e di grandi cambiamenti, impreziosito da valli rigogliose e da spiagge dorate affacciate sulla sconfinata bellezza dell’oceano, che costeggia il Portogallo. Ciò mi riporta al contesto della prima chiamata dei discepoli, che Gesù chiamò sulle rive del Mare di Galilea. Vorrei soffermarmi su questa chiamata, che evidenzia quanto abbiamo appena ascoltato nella Lettura breve dei Vespri: il Signore ci ha salvati e ci ha chiamati non in base alle nostre opere, ma secondo la sua grazia (cfr 2Tm 1,9). Questo è accaduto nella vita dei primi discepoli quando Gesù, passando, «vide due barche accostate alla sponda. I pescatori erano scesi e lavavano le reti» (Lc 5,2). Gesù allora salì sulla barca di Simone e, dopo aver parlato alle folle, cambiò la vita di quei pescatori invitandoli a prendere il largo e a gettare le reti. Notiamo subito un contrasto: da una parte, i pescatori scendono dalla barca per lavare le reti, cioè per pulirle, conservarle bene e tornare a casa; dall’altra parte, Gesù sale sulla barca e invita a gettare di nuovo le reti per la pesca. Risaltano le differenze: i discepoli scendono, Gesù sale; loro vogliono conservare le reti, Lui vuole che si gettino nuovamente in mare per la pesca. Anzitutto, ci sono i pescatori che scendono dalla barca per lavare le reti. Questa è la scena che si presenta agli occhi di Gesù e Lui si ferma proprio lì. Aveva da poco iniziato la sua predicazione nella sinagoga di Nazaret, ma i suoi compaesani lo avevano cacciato fuori dalla città e avevano persino cercato di ucciderlo (cfr Lc 4,28-30). Allora Egli esce dal luogo sacro e inizia a predicare la Parola tra la gente, sulle strade dove le donne e gli uomini del suo tempo faticano ogni giorno. A Cristo interessa portare la vicinanza di Dio proprio nei luoghi e nelle situazioni in cui le persone vivono, lottano, sperano, talvolta stringendo tra le mani fallimenti e insuccessi, proprio come quei pescatori che nella notte non avevano preso nulla. Gesù guarda con tenerezza Simone e i suoi compagni che, stanchi e amareggiati, lavano le loro reti, compiendo un gesto ripetitivo, ma anche affaticato e rassegnato: non restava che tornare a casa a mani vuote.

A volte, nel nostro cammino ecclesiale, si può provare una stanchezza simile, quando ci sembra di stringere tra le mani solo delle reti vuote. È un sentimento piuttosto diffuso nei Paesi di antica tradizione cristiana, attraversati da molti cambiamenti sociali e culturali e sempre più segnati dal secolarismo, dall’indifferenza nei confronti di Dio, da un crescente distacco dalla pratica della fede. E ciò è spesso accentuato dalla delusione e dalla rabbia che alcuni nutrono nei confronti della Chiesa, talvolta per la nostra cattiva testimonianza e per gli scandali che ne hanno deturpato il volto, e che chiamano a una purificazione umile e costante, a partire dal grido di dolore delle vittime, sempre da accogliere e da ascoltare. Ma il rischio, quando ci si sente scoraggiati, è quello di scendere dalla barca, restando impigliati nelle reti della rassegnazione e del pessimismo. Invece, dobbiamo portare al Signore le fatiche e le lacrime, per poi affrontare le situazioni pastorali e spirituali confrontandoci con apertura di cuore e sperimentando insieme qualche nuova via da seguire, fiduciosi che Gesù continua a prendere per mano e rialzare la sua amata Sposa.

Infatti, appena gli apostoli scendono a lavare gli strumenti utilizzati, Gesù sale sulla barca e poi invita a gettare di nuovo le reti. Lui viene a cercarci nelle nostre solitudini e nelle nostre crisi per aiutarci a ricominciare. Anche oggi passa sulle rive dell’esistenza per risvegliare la speranza e dire anche a noi, come a Simone e gli altri: «Prendi il largo e gettate le reti per la pesca» (Lc 5,4).

Fratelli e sorelle, quello che viviamo è certamente un tempo difficile, ma il Signore oggi chiede a questa Chiesa: “Vuoi scendere dalla barca e sprofondare nella delusione, oppure farmi salire e permettere che sia ancora una volta la novità della mia Parola a prendere in mano il timone? Vuoi solo conservare il passato che hai alle spalle oppure gettare nuovamente con entusiasmo le reti per la pesca?”. Ecco cosa ci domanda il Signore: di risvegliare l’inquietudine per il Vangelo. E possiamo dire che questa è l’inquietudine “buona” che l’immensità dell’oceano consegna a voi portoghesi: spingersi oltre la riva non per conquistare il mondo, ma per allietarlo con la consolazione e la gioia del Vangelo. In quest’ottica si possono leggere le parole di un vostro grande missionario, Padre António Vieira, chiamato “Paiaçu”, padre grande: egli diceva che Dio vi ha dato una piccola terra per nascere ma, facendovi affacciare sull’oceano, vi ha dato il mondo intero per morire: «Per nascere, poca terra; per morire, tutta la terra: per nascere, Portogallo; per morire, il mondo» (A. VIEIRA, Omelie, Vol. III, Tomo VII, Porto 1959, p. 69). Gettare di nuovo le reti e abbracciare il mondo con la speranza del Vangelo: a questo siamo chiamati! Non è tempo di sostare e arrendersi, di ormeggiare la barca a riva o di guardarsi indietro; non dobbiamo fuggire questo tempo perché ci spaventa e rifugiarci in forme e stili del passato. No, questo è il tempo di grazia che il Signore ci dà per avventurarci nel mare dell’evangelizzazione e della missione. Per farlo, però, abbiamo anche bisogno di compiere delle scelte. Ne vorrei indicare tre, ispirate al Vangelo.

Anzitutto, prendere il largo. Per gettare nuovamente le reti in mare, bisogna lasciare la riva delle delusioni e dell’immobilismo, prendere le distanze da quella tristezza dolciastra e da quel cinismo ironico che ci assalgono dinanzi alle difficoltà. Bisogna farlo per passare dal disfattismo alla fede, come Simone che, pur avendo faticato a vuoto tutta la notte, dice: «Sulla tua parola getterò le reti» (Lc 5,5). Ma, per fidarsi ogni giorno del Signore e della sua Parola, non bastano le parole, occorre tanta preghiera. Solo in adorazione, solo davanti al Signore si ritrovano il gusto e la passione per l’evangelizzazione. Allora si supera la tentazione di portare avanti una “pastorale della nostalgia e dei rimpianti” e si ha il coraggio di prendere il largo, senza ideologie e senza mondanità, animati da un unico desiderio: che il Vangelo raggiunga tutti. Avete tanti esempi su questa strada e, visto che siamo immersi tra i giovani, mi piace ricordare un giovane di Lisbona, San João de Brito, che secoli fa, fra tante difficoltà, partì per l’India e cominciò a parlare e vestirsi allo stesso modo di chi incontrava pur di annunciare Gesù. Anche noi siamo chiamati a immergere le nostre reti nel tempo che viviamo, a dialogare con tutti, a rendere comprensibile il Vangelo, anche se per farlo possiamo rischiare qualche tempesta. Come i giovani che da tutto il mondo vengono qui a sfidare le onde giganti di Nazareth, anche noi andiamo al largo senza paura; non temiamo di affrontare il mare aperto, perché in mezzo alla tempesta e ai venti contrari ci viene incontro Gesù, che dice: “Coraggio, sono io, non abbiate paura!” (Mt 14,27)».

Una seconda scelta: portare avanti insieme la pastorale. Nel testo Gesù affida a Pietro il compito di prendere il largo, ma poi parla al plurale, dicendo «gettate le reti» (Lc 5,4): Pietro guida la barca, ma sulla barca ci sono tutti e tutti sono chiamati a calare le reti. E quando prendono una grande quantità di pesci, non pensano di farcela da soli, non gestiscono il dono come possesso e proprietà privata ma, dice il Vangelo, «fecero cenno ai compagni dell’altra barca, che venissero ad aiutarli» (Lc 5,7). Così riempirono due barche, non una. Uno significa solitudine, chiusura, pretesa di autosufficienza, due significa relazione. La Chiesa è sinodale, è comunione, aiuto reciproco, cammino comune. A questo tende il Sinodo in corso, che avrà il suo primo momento assembleare nel prossimo ottobre. Sulla barca della Chiesa ci dev’essere spazio per tutti: tutti i battezzati sono chiamati a salirvi e a gettare le reti, impegnandosi in prima persona nell’annuncio del Vangelo. È una grande sfida, specialmente nei contesti in cui i sacerdoti e i consacrati sono affaticati perché, mentre aumentano le esigenze pastorali, sono sempre di meno. A questa situazione, però, possiamo guardare come un’occasione per coinvolgere, con slancio fraterno e sana creatività pastorale, i laici. Le reti dei primi discepoli, allora, diventano un’immagine della Chiesa, che è una “rete di relazioni” umane, spirituali e pastorali. Se non c’è dialogo, corresponsabilità e partecipazione, la Chiesa invecchia. Lo vorrei dire così: mai un Vescovo senza il proprio presbiterio e il Popolo di Dio; mai un prete senza i confratelli; e tutti insieme – sacerdoti, religiose, religiosi e fedeli laici – come Chiesa, mai senza gli altri, senza il mondo. Senza mondanità, ma non senza il mondo. Nella Chiesa ci si aiuta, ci si sostiene a vicenda e si è chiamati a diffondere anche fuori un clima di fraternità costruttivo. D’altronde, San Pietro scrive che siamo le pietre vive impiegate per la costruzione di un edificio spirituale (cfr 1 Pt 2,5). Vorrei aggiungere: voi fedeli portoghesi siete anche una “calçada”, siete le pietre pregiate di quel pavimento accogliente e splendente su cui il Vangelo ha bisogno di camminare: neanche una pietra può mancare, altrimenti si nota subito. Ecco la Chiesa che, con l’aiuto di Dio, siamo chiamati a costruire!

Infine, terza scelta: diventare pescatori di uomini. Gesù affida ai discepoli la missione di prendere il largo nel mare del mondo. Spesso, nella Scrittura, il mare è associato al luogo del male e delle potenze avverse che gli uomini non riescono a dominare. Perciò, pescare le persone e tirarle fuori dall’acqua significa aiutarle a risalire da dove sono sprofondate, salvarle dal male che rischia di farle affogare, risuscitarle da ogni forma di morte. Il Vangelo, infatti, è un annuncio di vita nel mare della morte, di libertà nei gorghi della schiavitù, di luce nell’abisso delle tenebre. Come afferma Sant’Ambrogio, «gli strumenti della pesca apostolica sono come le reti: infatti le reti non fanno morire chi vi è preso, ma lo conservano in vita, lo traggono dagli abissi alla luce» (Exp. Luc. IV, 68-79). Ci sono tante oscurità nella società di oggi, anche qui in Portogallo. Abbiamo la sensazione che sia venuto a mancare l’entusiasmo, il coraggio di sognare, la forza di affrontare le sfide, la fiducia nel futuro; e, intanto, navighiamo nelle incertezze, nella precarietà economica, nella povertà di amicizia sociale, nella mancanza di speranza. A noi, come Chiesa, è affidato il compito di immergerci nelle acque di questo mare calando la rete del Vangelo, senza puntare il dito, ma portando alle persone del nostro tempo una proposta di vita nuova, quella di Gesù: portare l’accoglienza del Vangelo in una società multiculturale; portare la vicinanza del Padre nelle situazioni di precariato e di povertà che crescono, soprattutto tra i giovani; portare l’amore di Cristo dove la famiglia è fragile e le relazioni sono ferite; trasmettere la gioia dello Spirito dove regnano demoralizzazione e fatalismo. Un vostro scrittore ha scritto: «Per arrivare all’infinito, e credo che ci si possa arrivare, abbiamo bisogno di un porto, di uno soltanto, sicuro, e da lì partire verso l’Indefinito» (F. PESSOA, Livro do Desassossego, Lisboa 1998, 247). Sogniamo la Chiesa portoghese come un “porto sicuro” per chiunque affronta le traversate, i naufragi e le tempeste della vita!

Vi ringrazio di cuore, fratelli e sorelle, per l’ascolto, per quanto fate, per il vostro esempio e per la vostra costanza.

Molte grazie!

E vi affido alla Madonna di Fatima, alla custodia dell’angelo del Portogallo e alla protezione dei vostri grandi santi, specialmente, qui a Lisbona, di Sant’Antonio di Padova, instancabile apostolo, ispirato predicatore, discepolo del Vangelo attento ai mali della società e pieno di compassione per i poveri: interceda per voi e vi doni la gioia di una nuova pesca miracolosa.

E, per favore, non dimenticatevi di pregare per me.