Pope Francis inaugurated the Judicial Year at the Vatican. What did the pope forget to say?
Sabato 25 febbraio 2023, nell'Aula delle Benedizioni, il Sommo Pontefice ha inaugurato il
94°Anno Giudiziario dello Stato della Città del Vaticano.
Al mattino, l'Eminentissimo Signor Cardinale Pietro Parolin ha
celebrato la Santa Messa per i partecipanti all'interno della Cappella
Paolina nel Palazzo Apostolico. L'inaugurazione solenne dell'Anno
Giudiziario è un momento molto importante e Francesco, da diverso tempo,
ha scelto di presiederlo. Solitamente, il Promotore di Giustizia
utilizza questo evento per
"fare il punto della situazione".
Diversamente dal solito, però, quest'anno a prendere la parola è stato l'avvocato romano Alessandro Diddi. Il 22 settembre 2022, infatti, Diddi è stato nominato dal Sommo Pontefice quale nuovo Promotore di Giustizia dello Stato della Città del Vaticano. Tale nomina è stata molto criticata dal Sacro Collegio e dagli Eccellentissimi Arcivescovi e Vescovi che vivono questo Stato. Alessandro Diddi, infatti, non ha mai ottenuto il titolo di studio necessario per poter esercitare all'interno dello Stato della Città del Vaticano.
Fin da quando è stato portato all'interno dell'Ufficio del Promotore di
Giustizia, l'avvocato ha dimostrato di non avere alcuna competenza in
diritto canonico e vaticano.
Questo, nonostante il Pontefice non lo accetti, ha portato la magistratura di questo Stato ad essere bersaglio facile di attacchi. Non si tratta, quindi, di "attacchi mediatici", ma critiche che giungono da chi, quei titoli li ha, e li ha ottenuti con fatica e dedizione. Persone
che questo Stato lo vivono, lo conoscono e ne comprendono la stessa
natura. Pertanto, le lamentele alle quali Francesco si lascia andare,
sono la semplice
conferma che quando dice ai collaboratori di
rivolgergli critiche "de visu", queste non sortiscono alcun effetto e
lui continua a fare ciò che vuole
. Del resto, questa
caratteristica era già stata messa in risalto dai formatori del giovane
gesuita. Nessuno, però, diede ascolto ed ora ne paghiamo le conseguenze.
Il Promotore di Giustizia, durante il suo intervento, ha richiamato i principi del giusto processo, dicendo che il compito dell' "l'Ufficio che rappresento" lavora "schivando i condizionamenti derivanti dai pregiudizi e dalle seduzioni mediatiche". Ciò
che l'avvocato romano fatica a comprendere, però, è che l'ordinamento
vaticano non ha alcun problema. Tutte le norme rispettano i diritti
fondamentali dell'uomo ed anche le procedure.
Faremo un esempio
che è comprensibile anche a queste persone che, italiani medi, non sanno
rapportarsi con altri ordinamenti se non il loro.
Ordinamento che, peraltro, fa acqua da tutte le parti.
ESEMPIO:
Se il Pubblico Ministero di Orvieto viola le norme di procedura penale,
la narrativa non potrà essere: "Lo Stato italiano viola i diritti
umani". Chiaro? Il problema è il Pubblico Ministero di Orvieto, il quale
dovrà essere cacciato.
Bene, ora torniamo in questo Stato.
Il problema non è l'ordinamento vaticano ma chi non applica le norme.
Qui, il problema è ancor più grave. Il Promotore di Giustizia non
conosce questo ordinamento. Il discorso, poi, deve essere
necessariamente esteso al Presidente del Tribunale Vaticano. Giuseppe
Pignatone, proprio come Alessandro Diddi, non ha mai ottenuto una
licenza, un dottorato o delle certificazioni con i punti dei cereali,
che dicano che ha competenza in diritto canonico o vaticano. In merito
alla vicenda di Cecilia Marogna, ad esempio,
il giudice italiano ha esplicitamente scritto che Alessandro Diddi non conosceva la differenza fra sequestro e consegna. È chiaro perché il Collegio Cardinalizio sta continuando a dire che questa persona non deve stare qui?
"Altri impegni, non meno delicati di quelli già affrontati, si affacciano all'orizzonte – ha continuato Diddi -. La crescente attenzione che l'opinione pubblica riserva alle nostre attività e il giudizio che molti, ogni giorno, esprimono sul nostro operato, ci rendono consapevoli della grande responsabilità che ci ha affidato e della necessità di adempiere ai nostri doveri con scrupolo e accuratezza, ma, soprattutto, con grande rispetto dei valori sottesi alle garanzie del giusto processo".
Sono molto belle queste parole e, altresì, è molto bello vedere invitati i rappresentanti delle istituzioni italiane.
La garanzia di un giusto processo, però, la si assicura, primariamente, mettendo persone competenti a rivestire i ruoli cardine dell'attività giudiziaria. Il medesimo discorso vale per gli avvocati. Ammettere avvocati che non hanno i titoli per esercitare qui dentro, significa violare le norme del giusto processo. Se l'imputato o la parte lesa non ha un avvocato che conosce il diritto, i suoi diritti di difesa saranno lesi. Non è difficile comprenderlo. Poi è chiaro che al Promotore di Giustizia, al Presidente del Tribunale e agli stessi avvocati piacciono i denari che provengono da queste attività. Lecito. Ciò non vuol dire che sia corretto.
Francesco, in diverse occasioni, anche a Santa Marta ha riferito di voler sradicare la mentalità italiana di potere che si è venuta a creare qui dentro. Beh, che dire,
se sostituiamo la mentalità italiana con quella argentina, stiamo proprio freschi.
Nominare persone del genere a capo di questi uffici, significa distruggere la credibilità di un intero Stato. Alessandro Diddi, poi, parla della Gendarmeria e si complimenta anche con il Comandante. L'avvocato romano, non ha mai abbandonato la mentalità italiana ed anche negli interventi che svolge nei processi, continua a fare richiami alla Corte Costituzionale Italiana. A noi, sinceramente, di ciò che accade oltre il Tevere non importa assolutamente nulla. In Italia la polizia giudiziaria è alle dipendenze dell'organo inquirente, e si vedono i risultati. Qui, assolutamente no. Anche questi aspetti confermano come non vi sia alcuna competenza.
Sono inutili, quindi, le parole che Francesco spende a difesa di queste persone e delle sue stesse opere.
"Qui - ha detto il Papa - bisogna essere chiari ed evitare il rischio di "confondere il dito con la luna": il problema non sono i processi, ma i fatti e i comportamenti che li determinano e li rendono dolorosamente necessari. Infatti, tali comportamenti, da parte di membri della Chiesa, nuocciono gravemente alla sua efficacia nel riflettere la luce divina. Grazie a Dio, però, «non vengono meno […] né il desiderio profondo di questa luce né la disponibilità della Chiesa ad accoglierla e condividerla», perché i discepoli di Cristo sono «chiamati ad essere "luce del mondo" ( Mt 5,14). Questo è il modo con cui la Chiesa riflette l'amore salvifico di Cristo che è la Luce del mondo (cfr Gv8,12)»".
Francesco, però, sembra non voler capire che le critiche che sono giunte a Santa Marta in questi mesi non riguardano affatto la materia del processo. "Il processo, diceva San Giovanni XXIII, è ministerium veritatis perchè tende primieramente alla salvezza dell'anima di chi ha bisogno di questi tribunali". Per raggiungere questo difficile risultato, bisogna agire con competenza e seguendo tutte le procedure previste. Diversamente, anche una condanna inflitta, non sarà accettata dal condannato perché sarà ritenuta ingiusta ed ottenuta con artefizio.
Il Pontefice ha dimostrato, in questi anni, di non amare il diritto e lo tratta come una questione da risolvere in breve tempo, senza troppi fronzoli. Lo ha dimostrato, sia nel governo dello Stato che della Chiesa. Pensiamo alla vicenda di Enzo Bianchi. Il Papa approvò in forma specifica il decreto che infliggeva pene molto pesanti. Approvò in forma specifica per evitare che venisse appellato e per "fare alla svelta". Nonostante il Regolamento preveda che il Papa, prima di approvare in forma specifica, legga attentamente il fascicolo, Bergoglio approvò quel decreto con due parole all'interno della sagrestia della Basilica di San Pietro prima di una celebrazione eucaristica. Il Cardinale Parolin disse: "Santità questo è il decreto". Lui rispose: "Sì, lo approvo in forma specifica e portalo là".
Questo è avvenuto con diverse realtà: chiusura di monasteri, commissariamenti di diocesi e presbiteri ridotti allo stato laicale. L'approvazione in forma specifica, una eccezione da utilizzare con parsimonia, è divenuta l'ordinarietà.
I diritti fondamentali sono stati calpestati ed il Papa ha ottenuto il risultato voluto.
Il Papa è motivo di sofferenza per la Chiesa
La questione, poi, è molto complessa e si mescolano questioni statuali ed ecclesiastiche. Negli anni passati i vescovi non hanno inviato i propri presbiteri a studiare diritto canonico. Gli stessi vescovi ordinati da Francesco non hanno competenze giuridiche e si vedono i risultati. Se avessimo avuto dei vescovi canonisti, non vi sarebbe stata la folle "svendita della Chiesa" avvenuta in Stati Uniti e Francia.
Ci sono diocesi commissariate e monasteri vessati dagli stessi Dicasteri. Quante sono queste realtà che si fanno assistere da presbiteri? Quanti sono i presbiteri che esercitano attività difensiva in ambito canonico? Non parliamo poi del diritto vaticano. Non esiste una facoltà seria di diritto vaticano. Una facoltà dedicata e guidata da persone competenti.
Quelle tre o quattro persone che si spendono per fare qualcosa non capiscono neppure la differenza fra reato e delitto. Abbiamo lasciato entrare, anche in questi ambiti, la mentalità nefasta delle cerchie di potere delle università italiane. Piuttosto che inserire presbiteri preparati a capo di alcune realtà, abbiamo messo "il figlio del figlio dell'amico dello zio". Ma Francesco era arrivato, "con una valigetta e i biglietti pronti", per poter sradicare tutto questo. Sì, certo.
Mentre il Papa si lamenta, quindi, continua a governare la Chiesa a forza di Rescritti e Motu Proprio. Ieri, il Papa ha nominato
il Cardinale Arthur Roche quale nuovo Membro della Pontificia
Commissione per lo Stato della Città del Vaticano. Tralasciando
l'inopportunità di inserire Roche, ignorante del diritto, in questa
Commissione,
alcuni porporati ci hanno chiesto: "Ah, esiste ancora la Commissione?".
Sì, la Commissione esiste ma chi ne fa parte gioca a fare la bella statuina.
Questa Commissione, infatti, venne istituita con la
legge fondamentale dello Stato della Città del Vaticano di San Giovanni Paolo II il 26 novembre 2000. Il suo compito, recita il testo, è quello di legiferare. Difatti,
seppur lo Stato resta una monarchia assoluta, Giovanni Paolo II scelse
di iniziare a distinguere, seppur in minima parte, la divisione dei
poteri.
Recita la legge all'articolo 3: "Il potere
legislativo, salvi i casi che il Sommo Pontefice intenda riservare a Se
stesso o ad altre istanze, è esercitato da una Commissione composta da
un Cardinale Presidente e da altri Cardinali, tutti nominati dal Sommo
Pontefice per un quinquennio".
Con la Legge del 2000, quindi, diveniva straordinaria l'attività legislativa del Pontefice.
L'ordinarietà era la Commissione. Oggi, come noto, i Motu Proprio non
si contano più e i Rescritti sono più quelli segreti di quelli pubblici.
Se vogliamo guardare alla luna, quindi, e non al dito, sarebbe
necessario che Francesco iniziasse a rispondere a queste critiche che
giungono a Santa Marta da dieci anni, ormai.
Il problema, seppur si vuol far credere questo, non è il Processo Sloane Avenue e la materia di questo "affaire".
Il problema è il trattamento riservato a queste persone, le carte
passate ai giornali per fare hype, le persone scelte per fare attività
giudiziaria, i rescritti firmati per modificare la legge in corso
d'opera e l'attività legislativa "ad personam".
Tutto questo è la luna, il dito non abbiamo capito chi lo stia guardando.
L.M.
Silere non possum