Città del Vaticano – L’ideologia ha molti volti, proprio come chi è bipolare o come chi è ubriaco già dopo mezzogiorno. Anche per questo, in Vaticano, accadono cose che sembrano inspiegabili. Da un lato c’è un prefetto di Dicastero che da tempo sostiene che sarà l’ultimo prefetto chierico a guidare il Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, accodandosi a quanti invocano l’emancipazione delle donne nella Chiesa (da chi e da che cosa, non si sa). Dall’altro lato c’è “un altro Prefetto” che, rivolgendosi a una donna con titoli, con incarichi e responsabilità, e per di più consacrata al Signore secondo quel carisma che oggi qualcuno vorrebbe far saltare, la chiama “Signorina”.

Eppure, questo schema non è affatto isolato: lo si vede ripetersi anche nella società, dentro quella ipocrisia che attraversa molti ambienti pronti a farsi promotori di alcune istanze solo quando servono interessi personali. Se sei donna e non agevoli il mio potere, allora non c’è più alcun freno: tornano, senza imbarazzo, terminologie maschiliste e svilenti, usate come strumento di pressione e di riduzione dell’altro.

Questa nona puntata riprende il filo della ricostruzione avviata nelle puntate precedenti e dove Silere non possum ha documentato l’avvio formale della crisi dell’Associazione Memores Domini con Roma. Ora entriamo nel nodo di dicembre 2018 e marzo 2019: la richiesta di cambiare il Direttorio, la risposta immediata della Presidenza, la comunicazione ai membri, e infine la replica del Dicastero che, a distanza di mesi, dichiara insufficiente ciò che i Memores hanno già deliberato.

Il Dicastero scrive a Frongillo e impone la cornice

La lettera del 3 dicembre 2018, indirizzata alla Presidente dell’Associazione Memores Domini che Farrell si permette di appellare “Signorina”, presenta un impianto molto chiaro e lo articola su tre passaggi consecutivi: dopo “un congruo tempo di riflessione” il Dicastero riprende i rilievi già formulati nella missiva del 29 maggio 2018 inviata a don Julián Carrón, già Consigliere ecclesiastico dell’Associazione e Presidente della Fraternità di Comunione e Liberazione, nella quale la dottoressa Antonella Frongillo risultava “in copia per conoscenza”; su questa premessa il Prefetto costruisce una conclusione operativa, affermando la “necessaria modifica” delle norme del Direttorio perché alcune attribuzioni al Consigliere ecclesiastico configurerebbero “spettanze di alta direzione” tali da “pregiudicare la distinzione” tra ambito di governo dell’associazione e ambito della coscienza; infine attiva la leva di pressione, precisando che, finché l’Associazione non avrà recepito le modifiche richieste, il Dicastero non procederà alla nomina del Consigliere ecclesiastico e considererà pertanto l’ufficio “vacante”.



I Memores obbediscono e modificano le norme

La risposta di Frongillo arriva in appena dieci giorni. Nella lettera del 13 dicembre 2018, la Presidente dichiara di aver “immediatamente provveduto a convocare il Consiglio Direttivo” per assumere le deliberazioni richieste e trasmette al Dicastero il verbale dell’incontro, insieme al testo delle modifiche al Direttorio già approvate. Aggiunge poi un elemento decisivo: la stessa comunicazione verrà resa nota agli associati, “unitamente a quanto stabilito dal decreto” che accompagnava la lettera del Dicastero.

È un passaggio tutt’altro che marginale, soprattutto alla luce di quanto verrà contestato in seguito: contestazioni che, di fatto, rivelano una lettura superficiale delle comunicazioni ricevute e una scarsa conoscenza della realtà concreta, con un’agenda che sembra muoversi più per impulso di chi ha alimentato informazioni distorte - mentendo al Dicastero e alla stessa Presidente - che per un esame serio dei fatti. Nelle puntate precedenti di questa inchiesta, Silere non possum ha già mostrato come le dinamiche di potere si nutrano spesso di opacità e di informazione asimmetrica; qui, invece, la Presidenza sceglie una traiettoria opposta: comunicare ai membri, spiegare, documentare. E quando questo non è avvenuto, è stato perché richiesto esplicitamente dal Dicastero oppure, in un caso specifico, perché le affermazioni contenute nella missiva non solo risultavano false, ma finivano per ledere la buona fama delle persone citate. Resta l’amaro dato di fatto: nessuno ha adito il Tribunale competente per chiamare chi di dovere a rispondere, altrimenti ci sarebbe stato ben poco di cui “chiacchierare”.



Che cosa viene modificato nel Direttorio: testo precedente e testo deliberato

Frongillo allega anche la sinossi “Norme vigenti e modifiche deliberate” del 13 dicembre 2018, un documento impostato con intenzionale trasparenza: il testo precedente e quello riformulato vengono affiancati, così che sia possibile controllare riga per riga quali passaggi vengono ritoccati e quali, invece, rimangono inalterati. Dentro questa griglia comparativa si legge il primo intervento, che riguarda l’art. 2.1.1 e quindi la definizione dei compiti del Consigliere ecclesiastico. Nella versione originaria il Consigliere era qualificato come “principale e ultimo garante” e gli veniva attribuita una responsabilità estesa all’incremento della vita associativa “in tutti i diversi aspetti”, includendo la cura dell’itinerario educativo-formativo e la facoltà di avvalersi di laici e chierici “da lui scelti”. Nel testo deliberato, invece, l’asse viene spostato: il Consigliere “assiste a livello generale l’Associazione” per assicurare la comunione con la Chiesa e la fedeltà al carisma e garantisce, “quanto necessario”, l’esercizio del sacro ministero (predicazione, esercizi spirituali, ritiri, momenti formativi), potendo avvalersi di sacerdoti da lui scelti. La riformulazione mira a rendere la figura più chiaramente spirituale, meno sovrapponibile a una funzione di alta direzione che investa l’intera vita associativa.

Il secondo snodo tocca l’art. 2.1.2, dedicato alle riunioni del Consiglio, e soprattutto alla questione più sensibile: che cosa si debba condividere e come si tuteli la riservatezza. Nel testo vigente ricorrevano formule molto ampie, come il dovere di condividere con gli altri membri “qualsiasi problema… di cui fosse venuto a conoscenza” relativo al cammino formativo dei singoli, alle Case e all’Associazione. Nel testo deliberato la previsione viene resa meno perentoria: il consigliere “ha cura di condividere i problemi che vede emergere nella vita dell’Associazione”, e viene ribadita la “massima riservatezza” su quanto affiora durante le riunioni. La direzione è chiara: attenuare l’idea di una circolazione automatica di informazioni personali e, almeno sul piano dichiarativo, rafforzare un presidio di tutela e discrezione.

Il terzo passaggio investe l’art. 2.3, relativo al Responsabile della Casa. Nel testo precedente era previsto l’obbligo di avvertire immediatamente il Consigliere ecclesiastico qualora si venisse a conoscenza di gravi problemi “di salute o vocazionali, affettivi in particolare”. Nel testo riformulato cambia il destinatario della segnalazione: il Responsabile esercita la funzione in dipendenza del Consiglio Direttivo, “informandolo tempestivamente dei problemi che emergono nella vita della Casa”. Nel medesimo sforzo si inserisce la modifica alla parte terza, n. 2, dove il testo riformulato introduce un punto esplicito e, per certi aspetti, controintuitivo rispetto alle accuse: l’associato “deve potere, liberamente e senza alcuna mediazione, rivolgersi al Consigliere Ecclesiastico”. E aggiunge che, qualora l’associato ritenga inadeguati alcuni giudizi sul proprio cammino vocazionale, può rivolgersi al Consigliere per vagliare e verificare con una coscienza illuminata dal riferimento ai criteri ultimi del carisma. È un tentativo di tenere insieme due esigenze: da una parte la tutela della libertà personale, dall’altra la salvaguardia di un riferimento carismatico ritenuto essenziale. Infine, il capitolo più delicato riguarda l’Appendice 4 e la figura dei Visitor. Nel testo vigente l’Appendice attribuiva ai Visitor una fisionomia ampia: presenza nelle Case, riferimento educativo, legame diretto con il Consigliere, con una scelta che restava “ultimamente sua”. Nel testo modificato cambia perfino il titolo, che diventa “Il nesso della Casa con il Consiglio Direttivo”: il nesso può essere assicurato da una persona nominata dal Consiglio Direttivo, con una clausola che impedisce di sostituire il Responsabile della Casa. È una riscrittura che non punta solo a “ridurre” una figura, ma a dichiarare un principio: il collegamento tra Case e governo dell’associazione deve gravare primariamente sul Consiglio Direttivo, mentre l’indirizzo spirituale non può trasformarsi in un canale parallelo di controllo o di governo.

La lettera ai Memores Domini e la lettura ecclesiale della prova

Il giorno successivo, 14 dicembre 2018, Frongillo scrive “a tutti i Memores Domini” e colloca l’intera vicenda dentro una trama identitaria e carismatica, prima ancora che giuridico-amministrativa. La lettera riparte dall’origine: l’associazione nasce quando alcuni laici chiesero a don Luigi Giussani di essere guidati “a condurre una vita di perfezione cristiana e di impegno apostolico” nel proprio ambito di lavoro, come ricorda il decreto di riconoscimento pontificio del 1988. Da qui la Presidenza spiega che, dopo la morte di Giussani, si rese necessario adeguare lo Statutoallo scopo di salvaguardare la continuità dell’esperienza iniziale”, indicando nell’art. 2.2.4 uno snodo decisivo di quel percorso. In questo quadro Frongillo informa i membri che, a fronte della proposta di terna per la nomina del Consigliere ecclesiastico, il Dicastero ha chiesto modifiche legate alla “netta preminenza del Consigliere Ecclesiastico sul Presidente” e ha precisato che, finché non si provvede, l’ufficio resta “vacante”. Aggiunge poi l’altra decisione contenuta nella missiva romana: la deroga all’art. 2.2.4, limitatamente alla parte che richiede l’approvazione del Consigliere, così da consentire al Consiglio Direttivo di svolgere le proprie funzioni. La Presidenza ribadisce, inoltre, l’appartenenza organica all’esperienza di Comunione e Liberazione, richiamando il Direttorio (cfr. 1.2) e chiarendo perché il Consiglio Direttivo abbia chiesto a don Julián Carrón di accompagnare il cammino. Frongillo annota che Carrón si è reso disponibile ma a una condizione: che coloro che si rivolgano a lui lo facciano nella consapevolezza che non è più Consigliere Ecclesiastico”. È un dettaglio cruciale, perché delimita con precisione il perimetro: accompagnamento sì, incarico formale no. Inoltre, Frongillo chiarisce nero su bianco un punto decisivo: non è Carrón a chiedere di intervenire, ma sono i Memores Domini a domandargli un accompagnamento, richiesta che egli accoglie liberamente e con disponibilità.

La lettera, infine, assume il linguaggio della prova e della maturazione: “questa circostanza… ci è stata data per la nostra maturazione”, con un richiamo a Giussani sul rischio educativo e su un mondo che “dice l’opposto”. Si chiude con un invito essenziale e coerente con la chiave spirituale dell’intero testo: chiedere alla Madonna che il cuore resti fisso in Gesù Cristo.



Ma le modifiche “non bastano”, il fine è oltre

A distanza di quasi tre mesi, il Dicastero invia una nuova lettera, datata 6 marzo 2019. Il registro resta quello tipico della corrispondenza curiale, in continuità con la missiva precedente: l’apertura è affidata a una formula di gratitudine per la presenza missionaria dei Memores nella vita pubblica e nel lavoro. Subito dopo, però, arriva il nodo vero: “nonostante il Dicastero apprezzi la revisione dell’art. 2.1.1… ritiene tale modifica pleonastica”, mentre le ulteriori variazioni vengono definite “inadeguate e incomplete”.

Nella lettera il Dicastero concentra i propri rilievi su quattro assi: insiste che “permane” la preminenza del Consigliere ecclesiastico sul Presidente, sostiene che non vi sarebbero “correzioni significative” capaci di garantire la distinzione tra governo dell’associazione e questioni di coscienza con adeguate tutele di libertà e riservatezza, dichiara “disatteso” l’avvio della revisione dello Statuto, e soprattutto denuncia un “forte accentramento decisionale” perché “nulla è stato condiviso con l’Assemblea, né… con i membri dell’associazione”, arrivando a rivendicare che ogni Memor “avrebbe il diritto di conoscere” e di offrire un contributo su questioni così rilevanti.

Qui, però, quanto pubblicato da Silere non possum smentisce il Dicastero in modo documentale: già nella risposta del 13 dicembre 2018, Frongillo aveva scritto testualmente che delle modifiche approvate “provvediamo a dare comunicazione ai nostri Associati unitamente a quanto stabilito dal decreto”, mettendo nero su bianco la scelta di informare i membri e di farlo insieme agli atti ufficiali ricevuti da Roma. È per questo che l’accusa di “non aver condiviso nulla” assume i contorni di un’affermazione che non corrisponde al vero, e diventa un passaggio politico-ecclesiale pesantissimo: l’autorità invoca trasparenza interna mentre ignora - o finge di ignorare - la comunicazione già annunciata dalla Presidenza. Ciò che i Memores Domini e l’intero movimento avrebbero davvero diritto di conoscere è il contenuto, e soprattutto i nomi e cognomi, di chi ha interloquito con il Dicastero riferendo circostanze non vere, non provate e non verificabili. Ancora una volta, le lezioni di trasparenza arrivano da chi, nei fatti, opera nell’ombra: basti pensare agli incontri tra Linda Ghisoni e questi “amici Memores Domini”, passaggi che restano opachi.

7 marzo 2019: Frongillo risponde e ricostruisce il tema della comunicazione ai membri

La replica della Presidente (Milano, 7 marzo 2019) è decisiva perché smonta, punto per punto, l’accusa di “accentramento” e ricostruisce in modo lineare il percorso che conduce alla scelta della pubblicazione. Frongillo ricorda anzitutto che la prima lettera del 29 maggio 2018, indirizzata a Carrón, recava la dicitura “Personale/Riservata” e che, anche nella successiva del 3 dicembre 2018, non vi era alcun invito alla divulgazione, se non nei limiti strettamente funzionali al Consiglio Direttivo. Su questo punto il chiarimento è elementare, ma evidentemente necessario: una corrispondenza qualificata come riservata e personale non può essere trasmessa a terzi se non ai destinatari indicati; per condividerne il contenuto con altri occorre l’espressa autorizzazione del mittente.

È la grammatica minima della buona corrispondenza istituzionale e delle relazioni, che in Vaticano negli ultimi anni è stata trattata con leggerezza, con effetti che poi ricadono sulle persone e sulle relazioni, e non fanno altro che trasformare le nostre istituzioni in luoghi di rifugio per persone non scolarizzate.

Frongillo aggiunge un dettaglio decisivo nella sua lettera: durante l’incontro del 14 dicembre 2018 non è stato formulato alcun invito alla divulgazione; al contrario, ricorda una richiesta ben precisa proveniente dallo stesso Dicastero, cioè di differire perfino la comunicazione della vacanza dell’ufficio di Consigliere ecclesiastico. E qui riemerge uno schema ricorrente in questa, come in altre, vicenda: quello della colpevolizzazione, che ritorna ogni volta che l’Autorità abusa del proprio potere e poi scarica la responsabilità su chi ha obbedito. Prima si chiede prudenza, poi si contesta l’obbedienza; prima si impone una linea, poi si accusa la vittima di averla seguita.

Nonostante ciò - scrive la Presidente - la sua “preoccupazione” è stata dare “immediata notizia” a tutti i Memores non solo della vacanza, ma anche delle riserve del Dicastero sulla preminenza del Consigliere e della richiesta di modifica del Direttorio.
Riferisce inoltre che, nel primo raduno successivo alla lettera del 3 dicembre, la vicenda è stata posta all’ordine del giorno e sono stati richiesti contributi scritti, pervenuti in numero “di circa 300”. Infine, in ottemperanza alla richiesta di divulgazione, annuncia che sul sito riservato ai Memores verrà inserito l’intero carteggio intercorso con il Dicastero.

Sul merito delle modifiche, Frongillo prende atto che alcune (2.1.1, 2.3, parte terza n. 2) non hanno “prestato il fianco a rilievi”, mentre per 2.1.2 e Appendice 4 il Consiglio ha deliberato di cassare le formulazioni contestate, inclusa quella “ha cura di condividere i problemi che vede emergere” e l’intera Appendice 4. La lettera si chiude ribadendo che il “riferimento irrinunciabile alla Chiesa” resta preoccupazione fondamentale dei Memores, testimoniata dall’attenzione puntuale alle indicazioni del Dicastero.

8 marzo 2019: la comunicazione ai membri e la scelta della trasparenza documentale

L’8 marzo 2019, il giorno successivo, Frongillo scrive ai Memores Domini per mettere ordine e fissare i fatti: il Dicastero ha anticipato via mail la lettera del 6 marzo e, “in adesione totale” a quanto richiesto, il Consiglio Direttivoriunito il 7 marzo delibera tre decisioni operative, senza ambiguità. Anzitutto avvia una revisione dello Statuto che coinvolga tutti, con l’obiettivo di far venir meno la necessità dell’approvazione del Consigliere ecclesiastico per le delibere (art. 2.2.4); in secondo luogo decide di cassare le proposte di revisione del Direttorio che non risultano gradite al Dicastero; infine stabilisce di inserire sul sito riservato l’intero carteggio, cioè i documenti nella loro forma integrale, sottraendo la vicenda a riassunti e interpretazioni interessate. La stessa lettera, non a caso, contiene l’indice completo della corrispondenza e ne scandisce la cronologia: 29 maggio 2018, 21 giugno 2018, 25 giugno 2018, 3 dicembre 2018, 13 dicembre 2018, 14 dicembre 2018, 6 marzo 2019, 7 marzo 2019. Frongillo trasmette anche il verbale del Consiglio Direttivo, riunitosi il 7 marzo 2019 alle ore 20, a prova del fatto che quelle decisioni sono state prese dall’organo preposto e nel rispetto di una collegialità.

Questi documenti, letti senza ingenuità, lasciano intravedere un obiettivo che va oltre il lessico di Statuto e Direttorio: si costruisce, passo dopo passo, una delegittimazione. Il Dicastero invoca trasparenza e partecipazione mentre, nei fatti, si appoggia a un circuito di interlocuzioni opache e arriva persino a scrivere che “nulla è stato condiviso” con i membri, quando Frongillo aveva già informato gli associati. Questa non è una svista: è una menzogna documentabile, funzionale a spostare il baricentro dall’accertamento dei fatti alla colpevolizzazione di chi ha obbedito. Sullo sfondo agisce un piccolo gruppo che cerca sponde a Roma per ottenere ciò che non riesce a conquistare nella vita reale del movimento: far cadere don Julián Carrón, perché non lo sopporta proprio là dove la sua azione ha inciso di più, liberando Comunione e Liberazione dalla politica come identità e restituendola al suo centro originario, cioè la fede come esperienza e giudizio sulla vita. Giussani lo ha detto con una formula che qui diventa criterio di discernimento: “il potere tende a possedere”, e proprio per questo la vera religiosità resta “l’unico confine alla schiavitù del potere”; quando un carisma smette di essere utile agli equilibri e torna a essere libero, inevitabilmente diventa scomodo. In questo senso, l’accanimento del “non basta mai” non riguarda davvero una virgola dello Statuto: riguarda il tentativo di neutralizzare un cammino di libertà, perché - come insegnava Giussani - “l’autorità è funzione di coerenza” e non un meccanismo di controllo; quando l’autorità viene piegata a garantire un disegno, allora non custodisce più la comunione, ma diventa lo strumento con cui pochi provano a impadronirsi di molti. E se oggi qualcuno usa Roma per regolare conti interni, la verità dei documenti restituisce almeno un fatto: Carrón, qui, non è il problema da eliminare; è il bersaglio da colpire perché richiama il movimento alla sua origine, sottraendolo alle mani di chi lo vuole ancora come macchina di potere.

d.E.V. e d.L.C.
Silere non possum