Diocesi di Milano

Sabato 24 agosto 2024 S.E.R. Mons. Mario Enrico Delpini, Arcivescovo di Milano, in occasione del 550° anniversario di fondazione, ha rivolto alle Monache Romite Ambrosiane del Sacro Monte in Varese, una meditazione sul "Monachesimo nella Chiesa oggi". 

  1. L'omologazione

Ogni tradizione religiosa o anche non religiosa ha esperienze di vita solitaria, di vita comunitaria appartata dal resto del mondo. Indubbiamente ci sono analogie tra monaci di diverse tradizioni religiose e tra solitari di diverse epoche e culture. Tutte le manifestazioni di monachesimo e di vita eremitica dicono che c'è nell'animo umano, o almeno in alcuni uomini e donne:

  • un desiderio/bisogno di separazione dal "mondo", con pratiche
ascetiche
  • di rapporto con il divino praticato con forme di preghiera conformi
  • a una regola
  • di cura per la "propria anima", nel silenzio, nella solitudine
  • di una vita alternativa agli affari, preoccupazioni, impegni della famiglia, della società, impegni di lavoro, impegni politici.

Il monachesimo cristiano è quindi esposto al rischio di essere omologato ad altre forme simili di vita in cui è determinante un "senso del religioso" congeniale a una certa sensibilità, a prescindere da un riferimento esplicitamente cristiano.

  1. Immagini evangeliche per il monachesimo cristiano.

Due case offrono immagini per una vita monastica cristiana, cioè ispirata dalle pagine evangeliche e dalla presenza di Gesù: la casa di Nazaret e la casa di Betania.

La casa di Nazaret è un luogo vissuto da Gesù senza opere memorabili, senza discorsi magistrali, senza la fretta di rispondere alla domanda: "a che cosa serve?". Per quello che possiamo immaginare gli anni di Nazaret sono caratterizzati dal "diventare" uomo di Gesù, nella relazione affettuosa e sottomessa con Maria e con Giuseppe, nella presenza ordinaria in un contesto che non è il paese ideale, nell'apprendistato e nell'esecuzione del lavoro quotidiano.

Si può forse dire che a Nazaret Gesù ha imparato ad abitare una casa, ad abitare il tempo, ad abitare la tradizione religiosa della sua gente, ha imparato a stare tra uomini e donne dal suo dimorare con Giuseppe e con Maria. Un monachesimo domestico.

La casa di Betania, la casa di Marta, Maria, Lazzaro può offrire qualche spunto per meditare su aspetti propriamente cristiani del monachesimo e raccoglierne una parola per tutta la Chiesa.

a) La casa di Betania vive intorno a Gesù.

Gesù trova a Betania l'ospitalità dell'amicizia, della confidenza, della condivisione delle prove, degli interrogativi sulla vita e sulla morte. Gesù è presenza reale, è l'amico che parla, che ascolta, che piange, che rimprovera, che si prepara alla Pasqua.

Non sono in primo luogo la fuga dal mondo, la pratica della penitenza, la verginità, la preoccupazione per la propria anima, la regola della vita comune: l'essenziale è il radunarsi intorno a Gesù.

b) La figura di Maria di Betania.

In questa embrionale comunità monastica Gesù elogia la scelta di Maria: ha scelto la cosa migliore. Ascolta Gesù che parla. Non si dice quali siano i contenuti del discorso di Gesù, semplicemente: seduta ai piedi del Signore ascoltava la sua parola (Lc 10,39). L'attenzione a quello che è più necessario non è quindi, in primo luogo, a un aspetto o a un altro dell'insegnamento di Gesù, ma piuttosto a Gesù. La sua parola, si deve immaginare, riguarda quanto Gesù dice in pubblico e quanto Gesù confida ai Dodici, quando li chiama in disparte. Ma i contenuti sono meno importanti di Gesù, che è Parola di Dio.

In molte pratiche monastiche c'è una disciplina, una regola, una consuetudine a proposito di quello che si deve dire al Signore, su come si deve pregare, su come si deve celebrare. Si tratta indubbiamente di indicazioni necessarie per dare ordine e dimensione comunitaria alla preghiera. Ma quello che è essenziale alla preghiera cristiana (presumo a differenza di altre preghiere della tradizione monastica indù, buddista, ecc.) è Gesù che parla.

Quindi il monachesimo cristiano vive di questo stare in ascolto di Gesù, ascoltando la sua parola nella liturgia, nella lectio, nella preghiera dei salmi, nella preghiera personale. Questo può dire alla Chiesa di oggi: ascoltate Gesù!

c) La figura di Marta.

Marta è la "padrona di casa", secondo Luca 10,38. È quindi colei che si prende cura dell'ospitalità.

Questo ruolo la rende affaccendata e preoccupata per molte cose: era distolta per i molti servizi. La vita comune nel monastero, l'ospitalità cordiale richiedono, evidentemente, una sollecitudine per quello che si può chiamare "lavoro" secondo la più consolidata tradizione. Nella pratica del lavoro per la comunità e per gli ospiti si esprime l'obbedienza a Gesù che raccomanda: anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri (Gv 13,14). Nella esperienza ordinaria si vive quindi il lavoro come mezzo di sostentamento, come sollecitudine per le persone della comunità che hanno bisogno di particolari attenzioni per le condizioni di salute o per altre ragioni, per gli ospiti. La raccomandazione di Gesù qualifica il servizio come la prestazione dello schiavo: non valutatevi più di quanto conviene, ma valutatevi in modo saggio e giusto, ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato... gareggiate nello stimarvi a vicenda (Rm 12,3.9).

La vita comune del monastero, quindi, si distingue dalla vita "mondana" anche perché, pur riconoscendo varietà di incarichi, non accondiscende a gerarchie di prestigio per alcuni lavori rispetto ad altri. il lavoro, tuttavia, può essere un "distogliere" dall'essenziale, secondo il rimprovero che Gesù rivolge a Marta. Ci deve essere, insomma, un modo di lavorare che non pone una alternativa tra operare e sostare. Fin dall'inizio la comunità monastica delle Romite ha praticato l'ospitalità come parte integrante della propria vita. Quello che la vita monastica pratica quotidianamente è un messaggio per la comunità cristiana: tutti sono chiamati a vivere il servizio, gli uni verso gli altri, nelle infinite forme possibili.

Nello stesso tempo è opportuno il richiamo a vigilare sulla frenesia dell'operare che rischia di essere vissuto come un "essere distolti" da Gesù, proprio servendo Gesù.

d) La figura di Lazzaro.

Semplicemente vivere di una vita ricevuta: non discorsi, non meriti, non imprese. Il silenzio. Il silenzio di Lazzaro può essere sorprendente. Può, però, anche essere istruttivo a proposito della vita monastica e della vita della Chiesa in genere.

Lazzaro è colui che tu ami, è gratificato di una amicizia intensa, che induce Gesù a provare dolore per la sua morte fino alle lacrime. Nella casa di Betania c'è il silenzio di Lazzaro. Non è una presenza insignificante, anzi si riversa su di lui l'ostilità dei capi dei sacerdoti: decisero di uccidere anche Lazzaro, perché molti Giudei se ne andavano a causa di lui e credevano in Gesù (Gv 12,11).

Il silenzio di Lazzaro può essere istruttivo come consuetudine della vita monastica: la vita quotidiana della comunità in cui si vive per tutta la vita ha bisogno di parole e di silenzi, ha bisogno di discrezione e di relazioni intense e libere. La parola può causare molti danni se non trae origine da Gesù e da un desiderio sincero di edificazione; così come il silenzio può causare molti danni se non trae origine da Gesù e non favorisce la contemplazione e il raccoglimento, ma piuttosto la musoneria e il risentimento. La vita monastica può essere per la Chiesa scuola di silenzio e di purificazione della parola che diventi conversazione edificante.