Giovedì 28 marzo 2024 il vescovo Pierantonio Tremolada ha presieduto la Santa Messa del Crisma nella Chiesa Cattedrale di Brescia con i presbiteri e i diaconi della diocesi. Questa celebrazione è particolarmente importante per la vita dei sacerdoti e dello stesso presbiterio. In questo giorno, infatti, rendiamo grazie a Dio per il dono del sacerdozio ministeriale e dell’Eucarestia. Due elementi vanno certamente sottolineati in questa celebrazione: la rinnovazione delle promesse sacerdotali e la benedizione degli oli santi. Questa Santa Messa vuole significare l'unità della Chiesa locale raccolta intorno al proprio vescovo. Alla celebrazione hanno preso parte anche gli Ecc.mi Vescovi Luciano Monari, Lorenzo Voltolini Esti, Antonio Arcari e Giovanni Battista Piccioli
Gli olii che vengono benedetti saranno utilizzati in tutta la diocesi nel corso dell'anno liturgico per celebrare i sacramenti:
• il crisma verrà utilizzato per amministrare i battesimi, la cresima e nell'ordinazione dei presbiteri e dei vescovi, nelle consacrazioni delle chiese e degli altari;
• l'olio dei catecumeni verrà utilizzato anch'esso nei battesimi;
• l'olio degli infermi verrà utilizzato per l'unzione degli infermi.
Durante l'omelia il vescovo ha annunciato: «Ad una simile rinnovata coscienza del dono battesimale vorrei dedicare la mia prossima lettera pastorale, con un pensiero al Giubileo che celebreremo nell’anno del Signore 2025».
Dopo l'omelia il vescovo ha domandato ai sacerdoti: «Volete essere fedeli dispensatori dei misteri di Dio per mezzo della santa Eucaristia e delle altre azioni liturgiche, e adempiere il ministero della parola di salvezza sull’esempio del Cristo, capo e pastore, lasciandovi guidare non da interessi umani, ma dall’amore per i vostri fratelli?».
Omelia di S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada
Carissimi presbiteri e diaconi,
l’annuale ricorrenza di questa solenne celebrazione ci vede riuniti nella nostra cattedrale all’inizio del Triduo santo. Vorrei anzitutto rivolgere un affettuoso augurio quanti di voi ricordano un significativo anniversario della loro ordinazione e aggiungere un sincero ringraziamento per il tanto bene profuso in questi anni di ministero a favore della Chiesa e in particolare della nostra Chiesa diocesana.
Il cammino quaresimale ci ha condotto – per usare una espressione della liturgia – “ai piedi della santa montagna”, alla soglia del grande mistero della redenzione, che proprio nella liturgia di questi giorni diventa per noi un vivo memoriale. Contempleremo la beata passione del Signore. Ci accompagna un sentimento di profonda gratitudine, un ammirato e silenzioso stupore di fronte all’offerta che il Signore della gloria fa della propria vita per la nostra salvezza. L’Eucaristia che stiamo celebrando – come avviene ogni mattina del Giovedì santo – è caratterizzata dalla benedizione degli oli. Il rito che tra poco compiremo non può non rinviarci con il pensiero e con una certa emozione alla nostra stessa consacrazione: l’unzione battesimale, culminata nella Confermazione, e poi l’unzione ministeriale. Vorrei soffermarmi con voi a meditare un momento su quanto è avvenuto con questa unzione, per richiamarne il valore e far emergere l’istanza che il dono da noi ricevuto ha portato con sé. Ritengo che questo sia utile per noi anche in relazione al momento che stiamo vivendo come Chiesa e come ministri ordinati.
C’è un dato che i Vangeli ci consegnano e che si offre a noi come punto di partenza per la nostra riflessione: il Signore Gesù non ha mai ricevuto nessuna unzione di tipo rituale. A differenza di Aronne e di Davide, l’olio della consacrazione non è mai stato versato sul capo di Gesù, né in vista del sacerdozio, né in vista della regalità. L’unico olio che il corpo di Gesù ha ricevuto fu quello sparso sui suoi piedi da una donna a Betania – secondo il Vangelo si trattò di Maria, la sorella di Lazzaro – e dalla donna peccatrice nella casa di Simone il fariseo – di cui ci dà notizia il Vangelo di Luca.
E tuttavia Gesù stesso ha parlato di una sua unzione. Lo ha fatto all’inizio del suo ministero, nell’occasione che ci è stata ricordata dal brano del Vangelo di Luca che abbiamo appena ascoltato. Recatosi a Nazareth, suo paese natale, alzatosi di sabato nella sinagoga e avendo ricevuto il rotolo del profeta Isaia, egli trovò il passo dove era scritto: “Lo Spirito del Signore è su di me, per questo mi ha consacrato con l’unzione, mi ha mandato ad annunciare ai poveri un lieto messaggio … a proclamare l’anno di grazia del Signore”.
L’antica profezia che Gesù legge davanti ai presenti si riferisce a un personaggio misterioso, di cui parlano – sempre nel libro di Isaia – anche quattro canti detti del servo del Signore. L’ultimo di questi canti verrà citato espressamente nel racconto lucano della passione di Gesù. Al servo del Signore viene affidata – per divina misericordia – una missione di salvezza a favore del suo popolo. Egli la porterà a compimento percorrendo una via precisa, quella dell’umiliazione e del martirio, giungendo poi alla glorificazione.
Quanto all’unzione di cui parla il profeta, essa consiste chiaramente nell’effusione dello Spirito di Dio sul servo obbediente. In questa direzione si deve intendere anche il pieno compimento della profezia nella persona di Gesù. L’evangelista Luca fa capire chiaramente che l’unzione di Gesù venne a coincidere con l’effusione su di lui dello Spirito santo, avvenuta al momento del suo battesimo al Giordano.
La figura di riferimento per comprendere il senso dell’unzione di Gesù non è dunque quella di Aronne, con il suo sacerdozio cultuale, e neppure quella di Davide, con la sua regalità dinastica. È piuttosto la figura del servo sofferente e glorificato, che prelude alla morte e risurrezione del Messia di Dio.
Nella liturgia cristiana il rito dell’unzione è stato ripristinato ed è entrato a far parte della celebrazione del Battesimo e della Confermazione. Alla luce dell’intero mistero di Cristo, questa unzione con il crisma domanda tuttavia di essere mantenuta nel suo orizzonte originario, che è quello della invisibile effusione dello Spirito santo. L’atto liturgico – potremmo dire – sorge da un mistero eterno, cioè dall’amore trinitario che si è rivelato nella Pasqua del Signore. Per l’opera dello Spirito santo – questa è l’unzione - si diviene partecipi della vita stessa del Figlio di Dio, servo obbediente, e della sua opera di redenzione. L’unzione battesimale, che si presenta visibilmente in forma rituale, assume una valenza invisibilmente sacramentale.
Questa è per noi l’unzione per eccellenza, l’atto originario che si pone alla base della nostra fede. Cosa veramente accade nella sobria semplicità della liturgia battesimale è descritto nelle pagine di tutto il Nuovo Testamento. È suggestivo coglierne le risonanze. Questa unzione inaugura una forma nuova di vita, apre la via della salvezza a coloro che in Cristo Gesù hanno vinto il mondo, hanno ricevuto l’adozione a figli, sono stati segnati dal sigillo dello Spirito, sono entrati nel Regno dei cieli, hanno sancito con Dio un’alleanza nuova. Sono gli uomini e le donne delle beatitudini, poveri nello spirito, miti e misericordiosi, assetati di giustizia e operatori di pace. Sono coloro che hanno gustato il frutto dello Spirito, che – come ricorda san Paolo – è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà. Nella loro esistenza si è accesa una luce trascendente, che consente loro di presentarsi al mondo come testimoni di una invincibile speranza.
Nel semplice segno dell’unzione battesimale si nasconde tutto questo, la forma della vita in tutta la sua verità. Una potenza santificante investe il credente e, come l’olio che penetra e scompare alla vista, si trasforma in una sorgente interiore di grazia. Così pensa l’apostolo Giovanni quando nella sua prima lettera scrive: “Quanto a voi, l'unzione che avete ricevuto da lui rimane in voi e non avete bisogno che alcuno vi ammaestri; ma come la sua unzione vi insegna ogni cosa, è veritiera e non mente, così state saldi in lui, come essa vi insegna» (1Gv 2,27).
Sono personalmente convinto che qui vada ricercato il nostro primo compito di credenti nel momento epocale che stiamo vivendo: crescere nella consapevolezza del dono che con il Battesimo abbiamo ricevuto, di ciò che siamo per grazia in forza dell’unzione dello Spirito santo. È il modo in cui potremo fissarci su ciò che nella nostra fede va considerato essenziale, come ci ha esortato a fare Papa Francesco nella sua Lettera Apostolica Evangelii Gaudium. Ad una simile rinnovata coscienza del dono battesimale vorrei dedicare la mia prossima lettera pastorale, con un pensiero al Giubileo che celebreremo nell’anno del Signore 2025.
A voi, cari presbiteri e diaconi, oggi vorrei ricordare che – come chiaramente ci insegna la Parola di Dio – il nostro ministero ordinato si innesta nella consacrazione battesimale ed ha come fine quello di renderla sempre più efficace nella vita nostra e di tutti i credenti in Cristo. Non è certo senza significato che la vostra – la nostra – ordinazione sia avvenuta mediante lo stesso crisma del Battesimo e della Confermazione. L’olio è lo stesso. Non siamo stati scelti e messi a parte per distinguerci o separarci dal popolo di Dio. La seconda unzione non si aggiunge alla prima, ma vi si integra in piena armonia. Siamo anche noi, come tutti, fratelli e sorelle nella Chiesa, discepoli del Signore, figli amati e redenti; siamo tutti insieme – come abbiamo ascoltato - il sacerdozio regale e la nazione santa. Quando la liturgia ci fa dire: “Ti rendiamo grazie perché ci hai resi degni di stare alla tua presenza a compiere il sacerdotale”, sta pensando a tutta l’assemblea dei fedeli e non soltanto a chi la presiede. Anche noi siamo stati anzitutto battezzati nella potenza santificante dello Spirito di Cristo. Abbiamo ricevuto insieme a tutto il popolo di Dio l’unzione originaria. E questo è l’essenziale.
C’è tuttavia un compito che il Signore ha voluto affidare soltanto ad alcuni dei suoi discepoli, quelli che ha chiamato apostoli. È il compito di spendersi affinché l’unzione battesimale possa mantenersi viva ed efficace in tutti i credenti. “Con voi sono cristiano – diceva sant’Agostino ai suoi fratelli nella fede – per voi sono vescovo”. Ciascuno di voi qui potrà aggiungere: “Per voi presbitero; per voi sono diacono”. L’azione dello Spirito apre, nella prospettiva inaugurata dal Messia servo, lo spazio di un ministero che riceve il sigillo di una seconda unzione, non separata dalla prima. Ce lo dice bene san Paolo, quando scrive ai Corinzi: “È Dio stesso che ci conferma, insieme a voi, in Cristo, e ci ha conferito l'unzione, ci ha impresso il sigillo e ci ha dato la caparra dello Spirito Santo nei nostri cuori (2Cor 1,21-22)”. Egli potrà allora aggiungere: “Noi non annunciamo noi stessi, ma Cristo Gesù Signore: quanto a noi, siamo i vostri servitori a causa di Gesù” (2Cor 4,5).
Non siamo dunque dei privilegiati, non abbiamo una dignità maggiore, non valiamo più degli altri. L’onore che il Signore Gesù ci ha fatto di chiamarci a servirlo con la sua autorità in mezzo al suo popolo non risponde alla logica superba del mondo: viene dalla grazia e domanda la carità. Ogni vanto qui è escluso. Saremo esaltati nella misura in cui sapremo abbassarci per servire, come il Messia crocifisso e risorto.
Votati a suscitare e a far risplendere in ogni vita l’amabile luce della redenzione, noi siamo consapevoli anzitutto della grandezza e della bellezza della Chiesa. Sentiamo viva la gioia di appartenerle. Ci consola il pensiero che, ogni qualvolta il Cristo risorto constata la triste realtà dei nostri personali peccati, può tuttavia guardare – come dice la liturgia – “alla fede della sua Chiesa”, la Chiesa dei santi, degli apostoli e dei martiri, dei grandi dottori e pastori, dei servitori dei poveri, delle vergini contemplative, delle madri e dei padri esemplari, dei generosi costruttori di un giusto ordine sociale. È la Chiesa dei battezzati che hanno consentito all’unzione dello Spirito santo di produrre i suoi frutti; la Chiesa che vive nella storia e lascia impressa l’impronta della sua limpida testimonianza. A questa Chiesa hanno guardato con affettuosa ammirazione le grandi anime dei cristiani di ogni epoca. Come non ricordare da parte nostra quella di san Paolo VI, che nel suo testamento spirituale lasciò scritto: “La Chiesa! L’ho tanto amata e vorrei che lo sapesse!”.
La Chiesa è dunque il corpo vivo del Signore; la nostra casa, il tempio costruito con pietre vive, l’anticipazione storica della sposa dell’agnello che un giorno discenderà dal cielo. In essa riposa e fruttifica il nostro ministero. Oggi, in questa solenne celebrazione, noi vogliamo rinnovare il nostro proposito di fedeltà. Ci dichiariamo felici di spendere la nostra vita per la causa del Vangelo, nella Chiesa del Signore, per la potente unzione dello Spirito, a salvezza nostra e dell’intera umanità sempre cara a Dio.
Ci conceda lo stesso Spirito di comprendere sempre meglio, lungo quali strade dovremo oggi muoverci, su questa terra “dolorosa, drammatica e magnifica” – come la salutò san Paolo VI – perché la nostra testimonianza sia efficace.
+ Pierantonio Tremolada