Pope Francis opened the 95th Judicial Year of the Tribunal of the Roman Rota
Giovedì 25 gennaio 2024 il Sommo Pontefice ha inaugurato il 95° Anno Giudiziario del Tribunale della Rota Romana. Rivolgendosi ai prelati uditori il Papa ha detto: «Come sapete bene per la vostra esperienza, il compito di giudicare spesso non è facile».
«Il discernimento del giudice - ha sottolineato Francesco - richiede due grandi virtù: la prudenza e la giustizia, che devono essere informate dalla carità. C’è un’intima connessione tra prudenza e giustizia, poiché l’esercizio della prudentia iuris è mira alla conoscenza di ciò che è giusto nel caso concreto. Una prudenza dunque che non riguarda una decisione discrezionale, bensì un atto dichiarativo sull’esistenza o meno del bene del matrimonio; pertanto, una prudenza giuridica che, per essere veramente pastorale, dev’essere giusta».
Poi il richiamo alla preghiera: «Ricordiamoci sempre questo: il discernimento si fa “in ginocchio” – e un giudice che non sa mettersi in ginocchio è meglio che si dimetta –, implorando il dono dello Spirito Santo: solo così si giunge a decisioni che vanno nella direzione del bene delle persone e dell’intera comunità ecclesiale».
d.R.S.
Silere non possum
Discorso del Sommo Pontefice ai prelati uditori della Rota Romana
Cari Prelati Uditori!
Sono lieto di ricevervi, come ogni anno, insieme a coloro che lavorano nell’ambito di questo Tribunale Apostolico. Ringrazio il Decano e tutti voi per il prezioso servizio che rendete al ministero petrino in ordine all’amministrazione della giustizia nella Chiesa.
Vorrei oggi riflettere con voi su un aspetto capitale di questo servizio, un aspetto sul quale sono tornato spesso, anche con un ciclo di catechesi, cioè il tema del discernimento. Intendo mettere a fuoco quel discernimento specifico che tocca a voi realizzare nell’ambito dei processi matrimoniali, concernente l’esistenza o meno dei motivi per dichiarare la nullità di un matrimonio. Penso al vostro giudizio collegiale in Rota, a quello compiuto dai tribunali collegiali locali oppure, dove questo non fosse possibile, dal giudice unico coadiuvato magari da due assessori, nonché alla pronuncia emanata dallo stesso Vescovo diocesano, specialmente nei processi più brevi, consultandosi con l’istruttore e l’assessore.
È un tema sempre attuale, che ha interessato anche l’ambito dell’attuata riforma dei processi di nullità matrimoniale nonché la pastorale familiare, ispirata alla misericordia verso i fedeli che si trovano in situazioni problematiche. D’altra parte, l’abolizione del requisito di una doppia sentenza conforme nelle cause di nullità, l’introduzione del processo più breve davanti al Vescovo diocesano, nonché lo sforzo per snellire e rendere più accessibile l’operato dei tribunali, non devono essere fraintesi e mai deve venir meno l’esigenza di servire i fedeli con un ministero che li aiuti a cogliere la verità sul loro matrimonio. È un servizio, è un servizio che noi diamo. Come ho affermato nel proemio del Motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus, la finalità è di favorire «non la nullità dei matrimoni, ma la celerità dei processi, non meno che una giusta semplicità, affinché, a motivo della ritardata definizione del giudizio, il cuore dei fedeli che attendono il chiarimento del proprio stato non sia lungamente oppresso dalle tenebre del dubbio». Perciò, seguendo le orme dei miei Predecessori, ho voluto «che le cause di nullità del matrimonio vengano trattate per via giudiziale, e non amministrativa, non perché lo imponga la natura della cosa, ma piuttosto lo esiga la necessità di tutelare in massimo grado la verità del sacro vincolo: e ciò è esattamente assicurato dalle garanzie dell’ordine giudiziario».
Allo stesso tempo, l’aver sottolineato l’importanza della misericordia nella pastorale familiare, come ho fatto in particolare con l’Esortazione apostolica Amoris laetitia[1], non diminuisce il nostro impegno nella ricerca della giustizia per quanto riguarda le cause di nullità. Al contrario, proprio alla luce della misericordia, verso le persone e le loro coscienze, è importante il discernimento giudiziale sulla nullità. Esso possiede un valore pastorale insostituibile e si inserisce armonicamente nell’insieme della cura pastorale dovuta alle famiglie. Si realizza così quanto affermato da San Tommaso d’Aquino: «La misericordia non toglie la giustizia, ma è una pienezza della giustizia»[2].
Come sapete bene per la vostra esperienza, il compito di giudicare spesso non è facile. Raggiungere la certezza morale sulla nullità, superando nel caso concreto la presunzione di validità, implica portare a termine un discernimento a cui tutto il processo, specialmente l’istruttoria, è ordinato. Tale discernimento costituisce una grande responsabilità che la Chiesa vi affida, perché influisce fortemente sulla vita delle persone e delle famiglie. Bisogna affrontare questo compito con coraggio e lucidità ma, prima di tutto, è decisivo contare sulla luce e la forza dello Spirito Santo. Cari giudici, senza preghiera non si può fare il giudice. Se qualcuno non prega, per favore, si dimetta, è meglio così. Nell’Adsumus, la bella invocazione al Paraclito che viene recitata nelle adunanze del vostro Tribunale, si dice: «Siamo qui dinanzi a te, Spirito Santo, siamo tutti riuniti nel tuo nome. Vieni a noi, assistici, scendi nei nostri cuori. Insegnaci tu ciò che dobbiamo fare, mostraci tu il cammino da seguire tutti insieme. Non permettere che da noi peccatori sia lesa la giustizia, non ci faccia sviare l’ignoranza, non ci renda parziali l’umana simpatia, perché siamo una sola cosa in te e in nulla ci discostiamo dalla verità». Ricordiamoci sempre questo: il discernimento si fa “in ginocchio” – e un giudice che non sa mettersi in ginocchio è meglio che si dimetta –, implorando il dono dello Spirito Santo: solo così si giunge a decisioni che vanno nella direzione del bene delle persone e dell’intera comunità ecclesiale.
L’oggettività del discernimento giudiziale richiede poi di essere liberi da ogni pregiudizio, sia a favore sia contro la dichiarazione di nullità. Ciò implica di liberarsi sia dal rigorismo di chi pretenderebbe una certezza assoluta sia da un atteggiamento ispirato alla falsa convinzione che la risposta migliore sia sempre la nullità, quello che San Giovanni Paolo II chiamò il «rischio di una malintesa compassione […], solo apparentemente pastorale». In realtà – proseguiva il Papa – «le vie che si discostano dalla giustizia e dalla verità finiscono col contribuire ad allontanare le persone da Dio, ottenendo il risultato opposto a quello che in buona fede si cercava»[3].
Il discernimento del giudice richiede due grandi virtù: la prudenza e la giustizia, che devono essere informate dalla carità. C’è un’intima connessione tra prudenza e giustizia, poiché l’esercizio della prudentia iuris è mira alla conoscenza di ciò che è giusto nel caso concreto. Una prudenza dunque che non riguarda una decisione discrezionale, bensì un atto dichiarativo sull’esistenza o meno del bene del matrimonio; pertanto, una prudenza giuridica che, per essere veramente pastorale, dev’essere giusta. Il discernimento giusto implica un atto di carità pastorale, anche quando la sentenza fosse negativa. E anche un rischio.
Il discernimento sulla validità del vincolo è un’operazione complessa, rispetto alla quale non dobbiamo dimenticare che l’interpretazione della legge ecclesiastica va fatta alla luce della verità sul matrimonio indissolubile, che la Chiesa custodisce e diffonde nella sua predicazione e nella sua missione. Come insegnò Benedetto XVI, «l’interpretazione della legge canonica deve avvenire nella Chiesa. Non si tratta di una mera circostanza esterna, ambientale: è un richiamo allo stesso humus della legge canonica e delle realtà da essa regolate. Il sentire cum Ecclesia ha senso anche nella disciplina, a motivo dei fondamenti dottrinali che sono sempre presenti e operanti nelle norme legali della Chiesa» [4]. Questo chiedo a voi, giudici: sentire con la Chiesa. E vi domando, a ognuno di voi: voi pregate, per sentire con la Chiesa? Siete umili nella preghiera, chiedendo luce al Signore, per sentire con la Chiesa? Torno su questo: la preghiera del giudice è essenziale al suo compito. Se un giudice non prega o non può pregare, meglio che vada a fare un altro mestiere.
Infine, vorrei ricordare che il discernimento sulla nullità viene sorretto e garantito dal suo essere sinodale[5]. Quando il tribunale è collegiale, come avviene di regola, oppure quando c’è un unico giudice ma egli si consulta con chi di dovere, il discernimento si compie in un clima di dialogo o discussione, in cui sono fondamentali la franchezza e l’ascolto mutuo, per una ricerca comune della verità. È anche uno studio previo e serio. Come ho già detto, in questo servizio è essenziale invocare lo Spirito Santo, mentre ci impegniamo a mettere in atto tutti i mezzi umani per appurare la verità. Per questo è importante che l’istruttoria sia svolta accuratamente, per non incorrere in un giudizio affrettato e aprioristico, così come è necessario che, per adempiere in modo adeguato il suo munus, il giudice coltivi la propria formazione permanente mediante lo studio della giurisprudenza e della dottrina giuridica. Tocca a voi, cari Prelati Uditori, una speciale responsabilità nel giudicare: perciò vi raccomando la docilità allo Spirito Santo, e la disponibilità ad essere in ogni circostanza operatori di giustizia.
Affido il vostro lavoro a Maria Santissima, Virgo prudentissima e Speculum iustitiae, e di cuore vi benedico. Per favore, non dimenticatevi di pregare per me, perché questo lavoro non è facile! A volte è divertente, ma non è facile. Grazie.
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[1] Cfr soprattutto il capitolo VIII.
[2] Summa Theologiae, I, q. 21, a. 3, ad 2. Cfr Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 311.
[3] Discorso alla Rota Romana, 18 gennaio 1990, n. 5.
[4] Discorso alla Rota Romana, 21 gennaio 2012.
[5] Cfr Discorso alla Rota Romana, 27 gennaio 2022.