Former nuncio Karl-Joseph Rauber has died.

Il 26 marzo 2023, nella diocesi di Rottenburg-Stoccarda, è venuto a mancare l’Eminentissimo Signor Cardinale Karl-Joseph Rauber. È stato nunzio apostolico in Belgio e Lussemburgo dal 2003 al 2009.

Rauber è sempre stato un uomo che ha creato più problemi di quelli che era chiamato a risolvere. Sono numerosi gli scontri che ha avuto con la Segreteria di Stato. L’occasione della sua morta è propizia per tornare su un argomento che fa “piagnucolare” diversi vaticanisti e fedeli porporati. Ogni volta che viene mossa una critica al Sommo Pontefice, la giaculatoria è: “Non si critica il Papa” o, ancor peggio, “Francesco viene attaccato perchè porta avanti una riforma valida”. Non si contano poi, quei soggetti che non sanno neppure dove vivono e si azzardano anche a dire che Francesco viene criticato anche dai membri del clero, cosa che con gli altri papi non accadeva.

Abbiamo spiegato in più occasioni come in questo Pontificato è praticamente impossibile criticare il Papa senza avere ripercussioni sulla propria vita. Cardinali, vescovi e presbiteri non osano aprire bocca altrimenti si aprono le porte delle Nunziature più sperdute del globo-terracqueo.

A conferma di quanto abbiamo scritto, offriamo ai nostri lettori una intervista che S.E.R. Mons. Karl-Joseph Rauber rilasciò ad una rivista che ha toccato dei livelli ormai neppure commentabili. A Il Regno, Rauber nel 2010 fece delle gravissime critiche a Benedetto XVI e si permise di lamentare, addirittura, che il Papa da cardinale lo segnalò diverse volte per le sue affermazioni.

Rauber non aveva ben chiaro cosa fosse il catechismo e la dottrina. Auspichiamo vivamente che si presenti al cospetto di Dio con ben altre idee rispetto a quelle che lo hanno guidato nelle sue scelte in vita. In Paradiso, infatti, le lotte di potere non sono molto apprezzate.

Nell’intervista il Nunzio ha anche affermato diverse cose false. Come quando riferisce che il Re aveva manifestato perplessità per Leonard o quando riferisce di aver rischiato di essere dichiarato persona non grata. Bisogna sottolineare come il Re non avesse alcunché contro Leonard e per le affermazioni di Benedetto XVI il Re non pensò affatto di cacciare il Nunzio dal Belgio.

L’intervistatore del Regno, poi, dovrebbe sapere che non si tratta di “persona non grata” ma “persona non gradita”. Sì, forse è pretendere troppo da una rivista del genere, però almeno le basi, ecco.

Si badi bene, infine, alle affermazioni di Rauber quando parla di Leonard. La critica maggiore è quella di essere “obbediente a Roma”. Non è forse ciò che sta avvenendo ora in tutto l’universo? 

L.M.

Silere non possum

L'Arcivescovo di Malines-Bruxelles

Il 18 gennaio 2010 Benedetto XVI scelse André-Joseph Léonard quale nuovo Arcivescovo di Malines-Bruxelles. Rauber andò su tutte le furie perchè non era assolutamente gradito né a lui né al suo amico Godfried Danneels.

Danneels, come noto, è colui che riferì di far parte della "Mafia di San Gallo". Questo termine "mafia" a noi non piace affatto perchè è tipicamente italiano ma l'esistenza di questo gruppo di prelati che si riuniscono nella cittadina svizzera è comprovato storicamente. Danneels aveva chiesto al suo amico Rauber di "caldeggiare fortemente" la nomina del suo pupillo Jozef De Kesel.

Benedetto XVI, che aveva ben chiaro cosa fosse quel "consiglio di cardinali", fece immediatamente nominare André-Joseph Léonard che non figurava neppure fra gli altri due nomi della terna. Rauber e Danneels non presero bene questa scelta. Tutti i loro piani andarono in fumo. La vendetta non si fece attendere e Rauber rilasciò una intervista ad una rivista utile per dar fuoco alla brace, nella quale criticava il Pontefice in modo gratuito.

La vittoria per questi prelati è giunta con il conclave del 2013 dove Danneels e i suoi sodali ebbero modo di mettere in atto il loro "gioco di potere".

Nonostante le critiche rivolte al suo predecessore, Francesco, il 14 febbraio 2015 ha insignito della porpora cardinalizia l'ex nunzio Rauber.

Il 06 novembre 2015 Francesco paga il pegno e riporta le cose in regola. Accontenta quella richiesta di Rauber e nomina il pupillo di Danneels, Jozef De Kesel, quale nuovo Arcivescovo di Malines - Bruxelles.

Nel primo concistoro utile lo nomina cardinale (19 novembre 2016), nonostante la sua finta prassi di non creare porpore dove vi erano prima.

INTERVISTA DI S.E.R. MONS. KARL-JOSEPH RAUBER

Il Regno 15/02/2010

Mons. Karl-Josef Rauber, 76 anni ad aprile, tedesco, lasciata la nunziatura di Bruxelles, si è ritirato a Rottenburg, stupenda località del Baden-Württemberg (Germania) nelle vicinanze della celebre università di Tubinga, ospite delle suore dello Schönstattzentrum.

Eccellenza, vorrei partire da un passo del suo contributo al volumetto La cosa più importante per la Chiesa del 2000 (EDB), che dice: «Rendere questa realtà trasparente (l’azione salvifica di Gesù Cristo per il mondo), di fronte a una direzione ecclesiale strutturata gerarchicamente ed eccessivamente piramidale, sarà compito che la Chiesa dovrà porsi anche nel terzo millennio» (75). A distanza di dieci anni è ancora dello stesso avviso?

«Certamente. La Chiesa è oggi eccessivamente piramidale».

Lei ha conosciuto personalmente il card. Ratzinger?

«Lo conosco dal 1962, quando venne a Roma come teologo personale del card. Frings di Colonia e poi come perito conciliare. Alloggiava in un hotel vicino al Collegio teutonico di via dell’Anima e veniva a prendere i pasti da noi. Io ero vicerettore del Collegio. Poi lui tornò in Germania e io rimasi a Roma. Era una persona molto gentile e cordiale. In seguito i nostri contatti divennero meno frequenti. Quando era professore a Regensburg, Paolo VI gli chiedeva pareri su certe questioni e io ero incaricato di tenere i contatti. Una volta non lo vidi così cordiale, forse per influsso del vescovo di Regensburg, un conservatore, che lui stimava molto, tanto da dire: “Questi è il mio modello di vescovo”. Mentre in Vaticano quel vescovo non godeva di troppa simpatia da parte di mons. Benelli e forse neppure dello stesso Papa. Divenuto presidente della Pontificia accademia ecclesiastica ebbi modo di incontrarlo ancora, e più spesso, quando fui membro della Congregazione per i vescovi per tre anni. Fu la Svizzera a raffreddare i nostri rapporti. Una volta, come nunzio, mi invitarono a una riunione di preti e di laici. Erano circa 250 persone. Trattai il rapporto Chiesa universale – Chiesa particolare. Alla fine mi fu posta una domanda sul celibato. Risposi: “Non credo che cambierà qualcosa sotto il pontificato di Giovanni Paolo II, poi lo Spirito Santo ci guiderà”. Tutto qui. Non so in base a quali informazioni l’allora card. Ratzinger mi abbia segnalato alla Segreteria di Stato perché criticavo la disciplina ecclesiastica. La cosa si ripeté quattro volte. Un’altra volta perché avrei parlato male del vescovo di Coira, Haas, denigrando la sua persona. E ancora, in occasione dei 70 anni del vescovo ausiliare di Vienna, mons. Kratzl, perché nell’omelia avevo accennato alle sofferenze del vescovo causate da gruppi conservatori viennesi. Per fortuna che in Segreteria di Stato mi conoscevano bene, altrimenti avrei ricevuto un ammonimento o addirittura sarei stato allontanato».

Ritorniamo all’immagine della piramide.

«Il papa è uno studioso, una personalità limpida. Ma non s’interessa delle questioni amministrative, che lascia al card. Bertone. Non ne sono meravigliato. Era così anche a Monaco. Penso che sia a conoscenza dell’apparato curiale e potrebbe fare una seria riforma della curia. Ma il suo interesse è sempre stato quello di studiare e scrivere».

Però interviene di persona nella nomina di certi arcivescovi e vescovi.

«Questo sì. Anche Giovanni Paolo II lo faceva. Ad esempio, in Ungheria, dove sono stato nunzio, intervenne personalmente per nominare mons. Erdö arcivescovo di Esztergom-Budapest. Lo creò cardinale mentre il predecessore, il card. Paskai, non aveva ancora ottant’anni. Certamente mons. Erdö, ausiliare di Szekesfehervar, era brillante, ottimo rettore dell’Università cattolica di Budapest; ma io avrei atteso un po’. Questo sembra ripetersi oggi con mons. André Léonard, nominato di recente arcivescovo di Malines-Bruxelles».

Volevo parlarne con lei, nunzio in Belgio e Lussemburgo fino a poco tempo fa.

«Mons. Léonard non era entrato nella terna. Dalle nostre inchieste vi erano altri più graditi. Quando dalla prima terna è stata tolta una persona perché ritenuta troppo anziana, non è entrato neppure nella seconda terna. È chiaro allora che “in alto” hanno voluto così».

Lei lo conosce bene?

«Molto bene. Personalmente non ho niente contro di lui. Ha un forte ascendente sui laici, sui giovani, meno sul clero, tanto che, fatto vescovo di Namur, gli hanno posto accanto il vescovo ausiliare, mons. Pierre Warin, molto benvoluto dai preti. A Namur ha incontrato molte difficoltà. È certamente una persona fedele a Roma, fedelissima. È intelligente, sa parlare molto bene, conosce molte lingue, è un filosofo interessante, manda sempre i suoi libri al Papa. Personalmente, tuttavia, non lo vedo del tutto adatto per Bruxelles. Avrei preferito un ausiliare di Danneels».

E in questa vicenda, che ruolo ha giocato il card. Danneels? «Con il card. Danneels ho parlato molte volte, conosceva i nomi della terna e sapeva che non vi figurava il nome di Léonard».

Dunque una sorpresa?

«Ha fatto buon viso a cattivo gioco, come si dice. Certamente avrebbe preferito un altro, uno dei suoi ausiliari, molto stimato dal clero, con il quale Léonard potrà avere difficoltà d’intesa, essendo un accentratore».

Il Papa l’ha voluto per cambiare il corso di Danneels? «Questo non lo so. Danneels e Benedetto XVI hanno certamente orientamenti diversi».

E quali sono state le reazioni in Belgio alla nomina di Léonard?

«Non sono molto al corrente. So che il Re ha manifestato perplessità. Ma credo che Léonard si darà da fare per cambiare la sua immagine. Sa stare in pubblico. D’altronde è stato un bravo professore e sa proporsi alla gente. Roma ha collocato sul posto una persona obbediente».

Da quanto so, come nunzio lei non ha avuto sempre fortuna nella nomina dei vescovi.

«È vero. In Ungheria ho sbagliato la nomina dell’ordinario militare. Si trattava di una brava persona, di un personaggio interessante e carismatico, ma poi, innamoratosi, ha lasciato l’ordine sacro e si è sposato. In Svizzera ho avuto il caso del vescovo di Basilea, Vogel, che ha lasciato anche lui. La diocesi è stata punita. Per un anno è stata lasciata senza vescovo. Ho avuto tante difficoltà per la nomina del successore, il teologo Kurt Koch. Io lo conoscevo bene, ma Ratzinger no, e dovetti mandargli tutti i suoi libri. Finalmente Koch fu nominato vescovo ed è una persona eccellente».

Siamo a Rottenburg, dove fu vescovo dal 1989 al 1999 Walter Kasper, oggi in primo piano tra i cardinali di curia.

«Ratzinger e Kasper sono teologicamente diversi, non so se vi sia amicizia tra loro, ma certo grande rispetto».

Vorrei ritornare ancora alla sua attività nella diplomazia vaticana. Per quanti anni è stato al suo servizio?

«Sono stato in servizio per ben 43 anni, di cui 26 come nunzio. Il più bel periodo l’ho trascorso con mons. Benelli, di cui sono stato segretario per dieci anni. Era un uomo eccezionale e strano. Urlava, ma aveva un grande cuore. Conosceva bene l’arte della diplomazia, un conservatore intelligente».

Come giudica l’attuale stato della diplomazia vaticana?

«Ritengo la diplomazia vaticana molto importante, ma vedo che oggi nelle organizzazioni internazionali il suo ruolo è diminuito. L’Europa, l’America non sembrano darle molto ascolto, forse anche perché è la Chiesa stessa che in questo momento sta attraversando un po’ di turbolenza. Si vedano i casi di pedofilia negli USA, in Irlanda e adesso anche a Berlino. Il card. Bertone non viene dalla diplomazia anche se è stato un ottimo segretario della Congregazione per la Dottrina della Fede. Certo non sono più i tempi di Casaroli e Silvestrini, che hanno fatto la storia della diplomazia vaticana di fronte alla sfida del comunismo e al muro di Berlino».

Quando, anni fa, le feci visita a Budapest, lei mi parlò di un confronto duro con il card. Sodano, allora segretario di stato.

«È stato per l’affare Haas. A parere di Sodano, Haas era giusto per Coira, nonostante l’opposizione del clero. Mi ero consultato con tutti i vescovi e avevo sentito cinquecento persone. Sodano si arrabbiò perché mi ero permesso di consultare i vescovi, ricordandomi un passo di Gregorio Magno, che diceva che non si deve interferire nelle diocesi. E io, come nunzio, che dovevo fare? Gli ho risposto citandogli Papa Giovanni XXIII che diceva che le difficoltà non erano dovute ai bulgari, ma alle autorità vaticane. Adirato mi spedì a Budapest. Si trattava di punti di vista. Adesso con me è molto gentile. A Natale, con mia grande sorpresa, mi ha persino telefonato. Si sa come sono andate

le cose con Haas».

In Belgio ha dovuto affrontare ostilità a motivo delle espressioni del Papa riguardo alla prevenzione dell’HIV/AIDS. Come ne è uscito?

«Il papa si era pronunciato contro l’uso dei condom nel viaggio in aereo verso l’Africa. Fui preso di mira, tanto che si voleva dichiararmi persona “non grata”. Quando lasciai Bruxelles, a fine mandato, non diedi neppure il saluto ufficiale. Andai dal re, ma non dal presidente del Parlamento. Me ne andai in silenzio».

Che cosa pensa di tutti gli anni passati a servizio della Santa Sede?

«Sono stati anni interessanti».

E allo scadere dei 75 anni se ne è andato.

«Per la verità in Segreteria di Stato volevano che restassi ancora per un po’, ma non ho accettato. E mi trovo qui dalle suore. Devo tanto alla Santa Sede, anche se non sempre sono stato ascoltato, soprattutto riguardo alle nomine dei vescovi. Certo sono rimasto dolorosamente sorpreso per alcuni avvenimenti. Penso al caso dei lefebvriani, alla non trasmissione al Papa delle informazioni su Williamson. Qualcuno è stato davvero superficiale».

Vogliamo terminare questa conversazione con quello che lei scriveva dieci anni fa: «La Chiesa, in quanto popolo di Dio e misterioso corpo di Gesù Cristo, ma anche in quanto “Ecclesia semper reformanda”, nella sua attività pastorale, missionaria ed ecumenica dovrà rendersi sempre più conto che deve seguire l’umile invito alla partecipazione ad esso, vale a dire alla pienezza dell’amore salvifico di Dio, che si concentra in Gesù Cristo» (La cosa più importante per la Chiesa, 75).

«Ne sono ancora più convinto di allora».