Londra – Canberra. Domenica 21 settembre 2025 entrerà nei libri di storia della diplomazia internazionale. Regno Unito e Australia hanno annunciato, con dichiarazioni separate ma coordinate, il riconoscimento ufficiale dello Stato di Palestina. Una scelta che si accompagna a quella del Canada e che segna una svolta netta, dopo decenni in cui i governi occidentali si erano limitati a ribadire a parole il sostegno alla soluzione dei due Stati.
La decisione di Londra
Il governo britannico, attraverso il Primo Ministro e la ministra degli Esteri Yvette Cooper, ha sottolineato che la mossa risponde a una duplice urgenza: proteggere la fattibilità della soluzione dei due Stati e dare respiro a un processo di pace che appare ormai sull’orlo del collasso.
Il comunicato del Foreign Office parla senza mezzi termini di un quadro drammatico: la situazione sempre più insostenibile a Gaza, l’espansione degli insediamenti illegali israeliani in Cisgiordania, e la permanenza degli ostaggi nelle mani di Hamas. Londra ribadisce il sostegno alla sicurezza di Israele, ma chiede esplicitamente a Tel Aviv di fermare l’offensiva a Gaza, consentire l’ingresso degli aiuti umanitari e interrompere l’espansione degli insediamenti. Al tempo stesso, viene riaffermata la linea dura verso Hamas, definita “un’organizzazione terroristica barbara” che non avrà alcun ruolo nel futuro della Palestina. Gli obiettivi restano chiari: cessate il fuoco, rilascio immediato e incondizionato degli ostaggi, disarmo. La ministra Cooper ha ricordato che “riconoscere la Palestina significa affermare il diritto inalienabile di un popolo all’autodeterminazione” e ha insistito sulla necessità di un piano di pace credibile, che sarà portato all’ONU già questa settimana.
L’annuncio di Canberra
Poche ore dopo, dall’altra parte del mondo, il primo ministro australiano Anthony Albanese ha diffuso un comunicato con toni simili. L’Australia riconosce la sovranità e indipendenza dello Stato di Palestina, inserendo la decisione in un quadro di cooperazione con Canada e Regno Unito. Per Canberra, l’atto di riconoscimento non è soltanto un gesto politico, ma il segnale di un impegno concreto verso un processo di pace che inizi da due punti fermi: cessate il fuoco a Gaza e rilascio degli ostaggi catturati il 7 ottobre 2023. Anche l’Australia pone condizioni chiare all’Autorità Palestinese: nuove elezioni, riforme sostanziali in materia di finanza, governance ed educazione. Allo stesso tempo, ribadisce che Hamas non deve avere alcun ruolo nella costruzione dello Stato palestinese.
Albanese ha aggiunto che ulteriori passi — come l’apertura di ambasciate e lo stabilimento di relazioni diplomatiche — dipenderanno dai progressi effettivi dell’Autorità Palestinese.
Una mossa coordinata con Canada
Il fatto che Londra e Canberra abbiano agito simultaneamente non è casuale. Entrambi i comunicati richiamano esplicitamente la scelta annunciata a Ottawa, in un gioco di diplomazia concertata che mira a imprimere un’accelerazione al quadro internazionale. Non a caso, i tre governi parlano di un “sforzo comune” per costruire un nuovo consenso globale sulla soluzione dei due Stati.
Le implicazioni
L’annuncio congiunto apre uno scenario nuovo. Dopo anni in cui la retorica della pace è rimasta lettera morta, tre Paesi occidentali di primo piano scelgono di riconoscere formalmente uno Stato che esiste solo sulla carta. Ma la realtà sul terreno - Gaza sotto assedio, la Cisgiordania frammentata dagli insediamenti - rende il passaggio tanto necessario quanto fragile. Nonostante questo, chi continua a favorire e compiere un genocidio, senza timore di ammettere che i palestinesi rappresentano per lui un pericolo, è il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. È lui a ribadire che non ci sarà mai alcuna soluzione dei due Stati. Ecco perché, se davvero si vuole aprire un varco verso la pace, l’unica possibilità rimane quella che Netanyahu lasci il suo incarico.
F.M.
Silere non possum