Città del Vaticano - «The Basilica of Saint Peter is a very large Basilica… but unfortunately not large enough to receive all of you.» Con un saluto in quattro lingue e un ringraziamento “per il coraggio” di chi è rimasto all’aperto, Leone XIV ha voluto aprire così la Notte di Natale 2025: andando a piedi in Piazza San Pietro, poco prima della celebrazione eucaristica, per incontrare i fedeli costretti a seguire la liturgia dai maxi schermo.
Alle 22, nella Basilica Vaticana, il Pontefice ha presieduto la sua prima Santa Messa della Notte nella Solennità del Natale del Signore 2025, mentre migliaia di persone, rimaste fuori per ragioni di capienza, hanno partecipato dalla piazza. «Buonasera. Benvenuti tutti! Bienvenidos! Welcome!», ha esordito, legando subito l’accoglienza alla concretezza di una situazione logistica: una basilica “grandissima”, ma “non abbastanza” per contenere tutti. Da qui, la scelta di valorizzare la presenza dei fedeli in piazza e la loro perseveranza nel “clima” della serata: «Tante grazie per essere qui questa sera… Vogliamo celebrare insieme la festa di Natale.»
Nel breve saluto, Leone XIV ha compattato in poche frasi il nucleo del messaggio natalizio: Cristo nato per noi come dono di pace e amore di Dio, la benedizione alle famiglie, l’invito a seguire la celebrazione sugli schermi e un augurio: «Tanti auguri a tutti!». Un gesto che colpisce ancora per la sua naturalezza e la sua spontaneità.
Simboli e piccole attenzioni
All’arrivo in sagrestia, diversi concelebranti hanno notato un dettaglio non marginale sul piano simbolico: per la prima Leone XIV ha indossato la fascia con lo stemma personale ricamato, consuetudine propria del Pontefice. Il particolare, osservato e commentato nell’immediatezza della preparazione, è stato letto come un segno di attenzione alla forma e alla tradizione del cerimoniale papale. Tale consuetudine era stata messa da parte negli anni precedenti senza una motivazione realmente fondata, dal momento che la presenza dello stemma sulla fascia non veicola alcuna idea di ricchezza o di vanità e, sotto il profilo concreto della preparazione e della concezione dell’abito non comporta differenze sostanziali.

La luce che si cerca in alto e la luce che si trova “chinando il capo”
Nell’omelia, Leone XIV ha costruito l’architettura della meditazione su un contrasto narrativo: l’uomo che per millenni ha “scrutato il cielo” cercando negli astri una verità che mancava “tra le case”, e la notte cristiana in cui la profezia di Isaia si compie: «il popolo che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce». La “stella” che sorprende il mondo, però, non rimanda a un enigma cosmico: «Oggi, nella città di Davide, è nato per voi un Salvatore». La logica dell’Incarnazione viene spiegata dal Papa con una scelta di prospettiva: per trovare il Salvatore non serve alzare lo sguardo, serve contemplare ciò che è posto “in basso”, nel segno povero e concreto: «un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».
Il Santo Padre ha insistito su un punto teologico e antropologico insieme: l’onnipotenza che “rifulge” nell’impotenza di un neonato, il Verbo eterno che si consegna a un vagito, lo Spirito che brilla in un corpo fragile “appena lavato e avvolto in fasce”. È qui che il Papa allarga l’orizzonte alla dignità della vita umana: la luce del Bambino, ha detto, aiuta a “vedere l’uomo in ogni vita nascente”.
“Non c’è spazio per Dio se non c’è spazio per l’uomo”
Nel cuore dell’omelia, Leone ha citato Benedetto XVI, riprendendo un passaggio che collega l’accoglienza di Dio all’accoglienza dell’uomo: quando la notte dell’errore oscura la verità sull’uomo, allora «non c’è neppure spazio per gli altri, per i bambini, per i poveri, per gli stranieri». Il Papa ha rilanciato l’implicazione pratica: la stalla può diventare “più sacra di un tempio” quando si apre un posto reale per l’uomo; e Maria, con il suo grembo, diventa l’“arca” della nuova alleanza.
Da qui, la “sapienza del Natale” viene definita come un evento che coinvolge la storia, non come una soluzione astratta: Dio dona la sua vita “per tutti”, dentro una storia d’amore che chiede risposta. A sostegno, Leone XIV ha evocato Sant’Agostino: «la superbia umana ti ha tanto schiacciato che poteva sollevarti soltanto l’umiltà divina». E ha posto una domanda finale che resta volutamente aperta e concreta: se basta questo amore per cambiare la nostra storia.
Un Natale dentro l’Anno Santo: gratitudine e missione
La prospettiva temporale della celebrazione è stata inserita nel cammino ecclesiale in corso. Leone XIV ha richiamato le parole pronunciate “esattamente un anno fa” dal predecessore, all’avvio dell’Anno Santo: il Natale come impulso a portare speranza dove è perduta, con la gioia che fiorisce e la speranza che non delude. Ora, con il Giubileo “verso il compimento”, il Papa ha indicato due atteggiamenti: gratitudine per il dono ricevuto e missione per testimoniarlo, affidandosi alle parole del Salmo 96: «Annunciate di giorno in giorno la sua salvezza…».
In chiusura, Leone XIV ha definito il Natale come festa delle tre virtù teologali - fede, carità, speranza - legandole a una conseguenza operativa: con queste virtù nel cuore, la Chiesa può attraversare la notte e andare incontro “all’alba del giorno nuovo”.
Il gesto finale: Gesù Bambino portato al presepe
Al termine della celebrazione, il Papa ha compiuto un gesto tradizionale e altamente simbolico: ha portato Gesù Bambino al presepe collocato in fondo alla Basilica di San Pietro, suggellando liturgia e pietà popolare in una continuità di segni che, nella Notte di Natale, tornano a parlare più delle formule.
d.V.N.
Silere non possum