The General Assembly of the Synod continues. Work resumed on Monday 9 October

Lunedì 9 ottobre 2023 sono ripresi i lavori della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo. Si tratta della seconda settimana, la quale è iniziata concentrandosi sul punto B1 dell’Instrumentum Laboris, ovvero “Una comunione che si irradia. Come essere più pienamente segno e strumento di unione con Dio e di unità del genere umano?”. 

Prima di iniziare la quarta Congregazione Generale, alla quale il Papa non ha partecipato “per impegni imprevisti”, i membri dell’Assemblea hanno partecipato alla Santa Messa in rito bizantino presieduta dal patriarca Youssef Absi all’altare della cattedra. L’omelia è stata pronunciata da Sua Beatitudine il Cardinale Béchara Boutros Pierre Raï, patriarca di Antiochia dei Maroniti (Libano), il quale ha sottolineato che Gesù provava compassione per la grande folla che lo seguiva e così disse ai suoi discepoli: “Il raccolto è abbondante ma gli operai sono pochi; quindi chiedi al padrone del raccolto di inviare lavoratori per il suo raccolto”.

Il patriarca ha affermato che le parole di Gesù offrono un punto di partenza per comprendere la situazione nella quale si trova la Chiesa e le sfide che la società deve affrontare. Ha riflettuto prima sull’abbondante raccolto come simbolo di varie pressanti questioni globali che richiedono attenzione e azione da parte della Chiesa e di tutti i cristiani. Queste questioni, ha sottolineato, includono la ricerca della pace giusta in mezzo alle guerre in corso, affrontare il cambiamento climatico e proteggere l’ambiente, sfidare i sistemi economici di sfruttamento, aiutare gli individui perseguitati e guarire le ferite inflitte da varie forme di abuso.

In sostanza la Chiesa è una organizzazione umanitaria non la sposa di Cristo. Addirittura ha riferito che “i lavoratori che sono chiamati a raccogliere il raccolto”, alla luce dell’ Instrumentum Laboris sono “ogni persona inviata da Cristo e guidata dallo Spirito Santo”. 



Quarta Congregazione del Sinodo

Negli interventi, anche all'interno dei circoli minori, spesso si nota una certa incoerenza e contraddittorietà. Il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich, ad esempio, ha offerto una riflessione a tutti dicendo: "Gesù estese questa comunione a tutti i peccatori. Siamo pronti a fare lo stesso? Siamo pronti a farlo con gruppi che potrebbero irritarci perché il loro modo di essere potrebbe sembrare minacciare la nostra identità?" Sembra, però, che questi inviti arrivino a senso unico, ovvero bisogna aprire la porta a tutti coloro che vogliono star fuori e insultare la Chiesa, mettere in discussione il suo operato e dettano la moda del momento. Allo stesso tempo, e lo ha ricordato anche padre Radcliffe nel suo intervento, in realtà coloro che sono ritenuti "fastidiosi" da questi "uomini e donne sinodali" sono proprio i cattolici di sempre.

Anche nei circoli minori, quando prendono la parola questi laici o queste finte suore come Nathalie Becquart, si parla solo e soltanto di ciò che dicono e ciò che vogliono coloro che non sono mai stati interessati al messaggio evangelico e alla Chiesa di Cristo. Anzi, quelli vengono tacciati come rigidi. Se la Chiesa deve essere aperta a "todos, todos, todos", allora bisogna tenere in considerazione le migliaia di persone, chierici e laici, che chiedono di ritornare all'essenza.

Ha poi proposto una meditazione il Rev.do P. Timothy Radcliffe, O.P. il quale è partito dal racconto della samaritana al pozzo fatto nel Vangelo di San Giovanni. Si è soffermato su alcune questioni interessanti: in primis ha sottolineato come sia necessario imparare ad amare in modo gratuito, non possessivo ed abusante. "L’amore di Gesù per questa donna la libera e ma poi non sentiamo più parlare di lei - ha detto. "In una Chiesa sinodale siamo chiamati ad un amore non possessivo, un amore che non fugge l'altro né se ne impossessa, un amore che non è abusivo né freddo".

Citando Padre Pedro Arrupe, il domenicano ha scherzato dicendo: “Sono molto ecumenico”.

Radcliffe ha parlato dell'importanza della franchezza e della trasparenza:La Santa Sede [la Chiesa Cattolica ndr] si fonda sull’incontro appassionato, arrabbiato ma reale incontro fra due persone. Le persone che San Paolo non poteva sopportare erano le spie insidiose che mormoravano e lavoravano in segreto. Il disaccordo aperto non è un problema", ha sottolineato.

E ancora ha offerto un esempio simpatico ma molto reale: "Molte persone si sentono escluse o emarginate perché gli abbiamo appiccicato loro delle etichette: divorziati e risposati, gay, poligami, rifugiati, africani”. E poi ha scherzato dicendo: “Gesuiti”.

"Un mio amico - racconta il domenicano - l'altro giorno mi ha detto: "odio le etichette odio mettere la gente nelle caselle. E ha continuato dicendo: “Non sopporto questi conservatori”.Questo esempio è molto emblematico e ci fa comprendere come spesso, mentre ci lamentiamo del comportamento degli altri, stiamo facendo la stessa cosa con loro. Questo è il comportamento quotidiano di determinati giornalisti, determinati soggetti che si definiscono “liturgisti” e “teologi”.

Chiudendo ha ribadito che l’amore con il Signore è un amore che non controlla ma che libera, non un amore possessivo.

Anche l'intervento del canadese Job di Pisidia, metropolita ortodosso orientale del Patriarcato ecumenico e rappresentante permanente del Patriarcato ecumenico presso il Consiglio mondiale delle Chiese, è stato molto interessante. Ormai sono gli ortodossi a fare scuola a noi e a spiegarci che i laici hanno un ruolo e i chierici un altro.

Chiaramente il suo intervento è da "prendere con le pinze" tenendo conto di qual è la sua fede. Ha detto: "Un sinodo è una riunione deliberativa di vescovi, non un'assemblea consultiva clero-laicale. Non può esserci un sinodo senza un primate e non può esserci un primate senza un sinodo". Ed ha aggiunto che per loro, a parte alcune eccezioni, "la pratica della sinodalità implica esclusivamente un'assemblea di vescovi".

Di seguito è possibile leggere gli interventi integrali di Timothy Radcliffe e di Job di Pisidia in lingua italiana.

d.D.S.

Silere non possum

Cos'è un Sinodo. Per gli ortodossi, sia chiaro

Intervento di Sua Eminenza il Metropolita Job di Pisidia

Santità, cari fratelli e sorelle in Cristo,

vorrei innanzitutto esprimere la mia gratitudine per l'onore concesso alla Chiesa ortodossa di partecipare a questo Sinodo dei vescovi e al primo trono dell'ortodossia, il Patriarcato ecumenico, di essere qui rappresentato e di potersi esprimere per testimoniare la pratica della sinodalità nella Chiesa ortodossa.

Per gli ortodossi, la sinodalità corrisponde alla prassi stabilita dal primo concilio ecumenico (Nicea, 325) di riunire i vescovi di una regione almeno due volte l'anno sotto la presidenza del loro protos (cfr. canone 5). Questa sinodalità è descritta al meglio dal canone apostolico 34: "I vescovi del popolo di una provincia o di una regione [ethnos] devono riconoscere colui che è il primo [protos] tra loro, e considerarlo come il loro capo [kephale], e non fare nulla di importante senza il suo consenso [gnome]; ogni vescovo può fare solo ciò che riguarda la propria diocesi [paroikia] e i suoi territori dipendenti. Ma il primo [protos] non può fare nulla senza il consenso di tutti. Perché così prevarrà la concordia [homonoia] e Dio sarà lodato per mezzo del Signore nello Spirito Santo".

Quindi, alla luce di questo testo, risulta che:

1. Un sinodo è una riunione deliberativa di vescovi, non un'assemblea consultiva clero-laicale.

2. Non può esserci un sinodo senza un primate/proto e non può esserci un primate/proto senza un sinodo.

3. Il primate/proto è parte del sinodo; non ha un'autorità superiore al sinodo, né ne è escluso.

4. La concordia/omonoia che si esprime attraverso il consenso sinodale riflette il mistero trinitario della vita divina.

È attraverso questa pratica della sinodalità, come descritta dai Canoni Apostolici e dai Canoni del Primo Concilio Ecumenico, che la Chiesa ortodossa è stata amministrata nel corso dei secoli fino ai giorni nostri, sebbene la frequenza e la costituzione dei sinodi possano variare da una Chiesa locale autocefala all'altra.

Alla luce di ciò, potremmo dire che la comprensione della sinodalità nella Chiesa ortodossa differisce molto dalla definizione di sinodalità data dalla vostra attuale assemblea del Sinodo dei vescovi.

Tuttavia, bisogna ammettere che in alcune circostanze storiche la Chiesa ortodossa ha coinvolto clero e laici nel processo decisionale sinodale. Nell'impero ottomano, l'elezione dei primati veniva effettuata da assemblee clero-laiche. Nel XVII secolo, il Patriarcato ecumenico prescrisse che il Metropolita di Kiev fosse eletto da un'assemblea clero-laici a Kiev. Due secoli dopo, in Russia, gli slavofili, ispirati dalla teologia della communio della scuola di Tubinga, forgiarono il concetto di sobornost, volendo coinvolgere tutte le componenti della Chiesa nella sua amministrazione. Questo culmina all'inizio del XX secolo nel Concilio locale della Chiesa di Russia (Mosca, 1917-1918) che propone che le decisioni ecclesiali siano prese da un consiglio (sobor) composto da rappresentanti dell'episcopato, del clero, dei monaci e dei laici. Tuttavia, la rivoluzione bolscevica non permise l'attuazione di questa nuova modalità di amministrazione nella Chiesa. Tuttavia, nella Chiesa di Cipro, fino ad oggi, i vescovi non sono eletti esclusivamente dall'episcopato, ma anche dal clero e dai laici: in una prima fase, l'intera popolazione dell'isola vota dalla lista di tutti i candidati, poi, in una seconda fase, il sinodo dei vescovi sceglie uno dei tre candidati che hanno ottenuto la maggioranza dei voti.

Tuttavia, il caso della Chiesa di Cipro costituisce un caso eccezionale nell'Ortodossia contemporanea, dove, altrimenti, la pratica della sinodalità implica esclusivamente un'assemblea di vescovi. Così, il Santo e Grande Concilio (Sinodo) della Chiesa ortodossa riunitosi a Creta nel 2016 era composto da 162 vescovi delegati, mentre i 62 consiglieri (clero, monaci e laici) presenti non avevano diritto né di parola né di voto.

Grazie per l'attenzione!

Meditazione del Rev.do Padre Timothy Radcliffe, OP

La Samaritana al pozzo: Giovanni 4,7-30

 

Oggi cominciamo a riflettere sul punto B.1 dell’Instrumentum Laboris, “Una comunione che irradia”. Il tema emerso più frequentemente nei nostri incontri della scorsa settimana è stato la formazione. Allora come possiamo tutti essere formati alla comunione che trabocca nella missione?

In Giovanni capitolo 4 sentiamo parlare dell’incontro di Gesù con la donna al pozzo. All’inizio del capitolo è sola, una figura solitaria. Alla fine, Ella si trasforma nella prima predicatrice del vangelo, così come la prima predicatrice della risurrezione sarà un’altra donna, Maria Maddalena, l’Apostola degli Apostoli: due donne che lanciano innanzitutto la predicazione della buona notizia che Dio è giunto a noi, e poi la risurrezione.

Come fa Gesù a superare il suo isolamento? L’incontro si apre con poche parole brevi, solo tre in greco: “Dammi da bere”. Gesù ha sete e non è solo acqua. Tutto il vangelo di Giovanni è strutturato attorno alla sete di Gesù. Il suo primo segno fu l’offerta di vino agli invitati assetati alle nozze di Cana. Quasi le sue ultime parole sulla croce sono “Ho sete”. Poi dice: “Tutto è compiuto” e muore.

Dio appare in mezzo a noi come colui che ha sete soprattutto di ciascuno di noi. Il mio maestro quando ero studente, Geoffrey Preston OP, ha scritto: “La salvezza riguarda Dio che desidera noi ed è tormentato dalla sete di noi; Dio ci vuole molto più di quanto noi potremo mai volere lui”. Giuliana di Norwich, mistica inglese del quattordicesimo secolo, disse: “Il desiderio e la sete spirituale di Cristo dura e durerà fino al giorno del giudizio”.

Dio aveva così tanta sete di questa donna caduta che divenne umano. Ha condiviso con lei ciò che c’è di più prezioso, il nome divino: “IO SONO è colui che ti parla”. È come se l’Incarnazione fosse avvenuta proprio per lei. Anche lei impara ad avere sete. Anzitutto per l’acqua, in modo che non debba venire tutti i giorni al pozzo. Poi scopre una sete più profonda. Finora è passata da uomo a uomo. Ora scopre colui che aveva sempre desiderato senza saperlo. Come diceva Romano il Melodista, spesso la vita sessuale irregolare delle persone è un brancolare dietro la loro sete più profonda, quella di Dio. I nostri peccati, i nostri fallimenti, sono solitamente tentativi sbagliati di trovare ciò che desideriamo di più. Ma il Signore ci aspetta pazientemente presso i nostri pozzi, invitandoci ad avere più sete.

Perciò la formazione a “una comunione che irradia” è imparare ad avere sete e fame sempre più profondamente. Iniziamo con i nostri desideri ordinari. Quando ero malato di cancro in ospedale, non mi è stato permesso di bere nulla per circa tre settimane. Ero pieno di una sete furiosa. Niente è mai stato così buono come il primo bicchiere d’acqua, addirittura meglio di un bicchiere di whisky! Ma lentamente ho scoperto che c’era una sete più profonda: “O Dio, tu sei il mio Dio, a te bramo, come una terra arida e stanca, senz’acqua” (Salmo 62).

Ciò che ci isola tutti è rimanere intrappolati nei piccoli desideri, nelle piccole soddisfazioni, come battere i nostri avversari o avere uno status, indossare un cappello speciale! Secondo la tradizione orale, quando a Tommaso d’Aquino fu chiesto dalla sorella Teodora come diventare santo, egli rispose con una sola parola: Velle! Voglilo ! Costantemente Gesù chiede alle persone che si avvicinano a lui: “Vuoi, vuoi?”; “Cosa posso fare per te?” Il Signore vuole donarci la pienezza dell’amore. Lo vogliamo?

Quindi la nostra formazione alla sinodalità significa imparare a diventare persone appassionate, piene di desiderio profondo. Pedro Arrupe, il meraviglioso superiore generale dei gesuiti, scriveva: “Niente è più pratico che trovare Dio, cioè innamorarsi in modo assolutamente assoluto e definitivo. Ciò di cui sei innamorato, ciò che cattura la tua immaginazione, influenzerà tutto. Deciderà cosa ti farà alzare dal letto la mattina, cosa farai la sera, come trascorri i fine settimana, cosa leggi, chi conosci, cosa ti spezza il cuore e cosa ti stupisce con gioia e gratitudine. Innamorati, resta innamorato e tutto deciderà». Quell’uomo appassionato, sant’Agostino, esclamò: «Ti ho assaggiato e ora ho fame e sete di te; mi hai toccato e ho bruciato per la tua pace».

Ma come possiamo diventare persone appassionate – appassionate del Vangelo, piene di amore reciproco – senza disastri? Questa è una questione fondamentale per la nostra formazione, soprattutto per i nostri seminaristi. L’amore di Gesù per questa donna senza nome la rende libera. Diventa la prima predicatrice ma non sentiamo mai più parlare di lei. Una Chiesa sinodale sarà quella in cui saremo formati all’amore non possessivo: un amore che non fugge dall’altro né si impossessa di lui; un amore che non sia né offensivo né freddo.

Innanzitutto è un incontro intensamente personale tra due persone. Gesù la incontra così come è veramente. «Hai ragione nel dire “non ho marito”. Perché hai avuto cinque mariti e quello che hai adesso non è tuo marito. Quello che hai detto è vero». Lei si arrabbia e risponde beffarda: «Ah, allora sei un profeta».

Dovremmo essere formati per incontri profondamente personali con gli altri, in cui trascendono facili etichette. L’amore è personale e l’odio è astratto. Cito ancora dal romanzo di Graham Greene Il potere e la gloria: “L’odio era solo un fallimento dell’immaginazione”. Il disaccordo molto personale di San Paolo con San Pietro è stato duro ma è stato davvero un incontro. La Santa Sede si fonda su questo incontro appassionato, rabbioso ma reale. Le persone che San Paolo non sopportava erano le spie subdole, che spettegolavano e lavoravano di nascosto, sussurrando nei corridoi, nascondendo chi erano con sorrisi ingannatori. Il problema non era il disaccordo aperto.

Tante persone si sentono escluse o emarginate nella nostra Chiesa perché abbiamo applicato loro etichette astratte: divorziati risposati, gay, poligami, rifugiati, africani, gesuiti! Un amico mi ha detto l’altro giorno: “Odio le etichette. Odio le persone che vengono messe nelle scatole. Non posso sopportare questi conservatori”. Ma se incontri davvero qualcuno, potresti arrabbiarti, ma l’odio non può essere sostenuto in un incontro veramente personale. Se intravedi la loro umanità, vedrai colei che li crea e li sostiene nell’essere il cui nome è IO SONO.

Il fondamento del nostro incontro amorevole ma non possessivo con l’altro è sicuramente il nostro incontro con il Signore, ciascuno al proprio posto, con i nostri fallimenti, debolezze e desideri. Egli ci conosce come siamo e ci rende liberi di incontrarci con un amore che libera e non controlla. Nel silenzio della preghiera siamo liberati.

Incontra colui che la conosce totalmente. Questo la spinge nella sua missione. “Vieni a vedere l’uomo che mi ha raccontato tutto quello che ho fatto”. Finora ha vissuto nella vergogna e nel nascondimento, temendo il giudizio dei suoi concittadini. Va al pozzo nella calura di mezzogiorno quando non c’è nessun altro. Ma ora il Signore ha illuminato tutto ciò che lei è e la ama. Dopo la Caduta, Adamo ed Eva si nascondono alla vista di Dio, vergognandosi. Ora entra nella luce. La formazione alla sinodalità toglie i nostri travestimenti e le nostre maschere, affinché entriamo nella luce. Che ciò avvenga nei nostri circoli minori!

Allora saremo in grado di mediare il piacere non possessivo di Dio in ognuno di noi, in cui non c’è vergogna. Non dimenticherò mai una clinica per l’AIDS chiamata Mashambanzou alla periferia di Harare, nello Zimbabwe. La parola significa letteralmente “il momento in cui gli elefanti si lavano”, ovvero l’alba. Poi scendono al fiume per sguazzare, spruzzarsi acqua addosso e tra loro. È un momento di gioia e di gioco. La maggior parte dei pazienti erano adolescenti a cui non restava molto da vivere, ma è un luogo di gioia. Ricordo in particolare un giovane ragazzo chiamato Courage, che riempì il posto di risate.

A Phnom Penh, in Cambogia, ho visitato un altro ospizio per l’AIDS gestito da un prete di nome Jim. Lui e i suoi aiutanti raccolgono per strada le persone che muoiono di Aids e le riportano in questa semplice capanna di legno. Era appena stato portato lì un giovane. Era emaciato e non sembrava avere molto da vivere. Gli stavano lavando e tagliando i capelli. Il suo viso era felice. Questo è il figlio di Dio nel quale il Padre si compiace.

I discepoli tornano con il cibo. Sono scioccati nel vedere Gesù parlare con questa donna caduta. I pozzi sono luoghi di incontro romantico nella Bibbia! Come con lei, la conversazione ha un inizio lento. Due sole parole: “Rabbi, mangia”. Ma lei è diventata predicatrice anche prima di loro. Il nostro ruolo come sacerdoti è spesso quello di sostenere coloro che hanno già iniziato a raccogliere il raccolto prima ancora che noi ci svegliamo.