Cardinal Hollerich continues to rant during his speeches at the synod.

Mercoledì 18 ottobre 2023, all’interno dell’Aula Paolo VI nello Stato della Città del Vaticano si è celebrata la XII Congregazione Generale del Sinodo sulla Sinodalità. “Oggi iniziamo il quarto modulo della nostra Assemblea, l’ultimo dedicato all’esame dei contenuti dell’Instrumentum laboris”, ha esordito il cardinale gesuita Jean-Claude Hollerich.

“Sottilmente – ha continuato – questo ci ricorda che ci stiamo avvicinando alla fine. Ma attenzione: questo non deve diventare un motivo per diminuire il nostro impegno nel lavoro, come se fosse l’ultima settimana di scuola. Infatti, la fine di questa prima sessione della XVI Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi coincide con l’inizio di una fase altrettanto importante del processo: il tempo che intercorre tra le due sessioni, che ci vedrà impegnati a restituire alle Chiese di provenienza i frutti del nostro lavoro, raccolti nella Relazione di sintesi, e soprattutto ad accompagnare quei processi locali che ci forniranno gli elementi per concludere il nostro discernimento il prossimo anno. Così, una volta tornati a casa, saremo chiamati a un duplice compito”. 

E ancora: “Sappiamo bene che questo Sinodo sarà valutato sulla base dei cambiamenti percepibili che ne deriveranno. I grandi media, soprattutto quelli più lontani dalla Chiesa, sono interessati ai possibili cambiamenti su un numero molto limitato di argomenti. Non li elencherò perché li conosciamo tutti. Ma anche le persone più vicine a noi, i nostri collaboratori, i membri dei consigli pastorali, le persone impegnate nelle parrocchie si chiedono cosa cambierà per loro, come potranno sperimentare concretamente nella loro vita quel discepolato missionario e quella corresponsabilità su cui abbiamo riflettuto nel nostro lavoro. E si chiedono come questo sia possibile in una Chiesa ancora poco sinodale, dove sentono che la loro opinione non conta e che pochi o una sola persona decidono tutto. Queste persone sono particolarmente interessate alle piccole ma sensibili modifiche ai temi che ci prepariamo ad affrontare in questo Modulo”. 

Le parole del cardinale Hollerich farebbero ridere se non fosse che ci hanno già fatto piangere. Il Sinodo sarà valutato dalla stampa, dalle megere di paese oppure dal Papa e dalla stessa Chiesa? La Chiesa trarrà frutti da questo processo o saranno solo soldi buttati? Questo lo potremo capire solo nella misura in cui si smetterà di fingere e si inizierà a parlare di Gesù Cristo e dei problemi reali. Davvero siamo convinti che c’è bisogno di interpellare i laici, cattolici e atei che siano, per portare un cambiamento nella Chiesa? Continuiamo a parlare di sinodalità quando in realtà ci sono vescovi e vicari generali che ogni giorno progettano la rivoluzione delle loro diocesi e delle parrocchie senza consultare coloro che ogni giorno servono quelle realtà sul campo.

Al Sinodo abbiamo portato una innumerevole camionetta di mezze suore senza velo che ci vengono a spiegare, dall’alto delle loro cattedre della Gregoriana, cosa dovremmo fare noi in Curia, nelle parrocchie, nelle diverse realtà dove operiamo. Queste persone vivono la parrocchia? Sono presenti negli oratori? Ascoltano ciò che la gente, quella semplice non le consorelle delle accademie, chiede alla Chiesa? I fedeli chiedono sacerdoti presenti in parrocchia che amministrino i sacramenti, realtà funzionanti per poter annunciare il Vangelo di Cristo e non le bandierine ideologiche a stelle e strisce o arcobaleno.

La gente chiede che la Chiesa sia una voce che grida nel deserto. Una voce che si batta per la giustizia e per la Verità, non altro.

Ciò che sta emergendo nei “circoletti minori”, però, è ben altro. Si vuole rendere la Chiesa una realtà politica e politicamente corretta. Questo non è ciò che Cristo ci ha chiesto.

d.M.D.

Silere non possum

Riflessione del Rev.do Padre Timothy Radcliffe O.P.

Quindi: "Partecipazione, governo e autorità: Quali processi, strutture e istituzioni sono necessari in una Chiesa sinodale missionaria?".

Luca, di cui oggi celebriamo la festa, ci racconta in Atti 15 del cosiddetto Concilio di Gerusalemme, chiamato ad affrontare la prima grande crisi della Chiesa dopo la Pentecoste. La Chiesa è profondamente spaccata. In primo luogo, tra la Chiesa di Gerusalemme e Paolo, con il suo vangelo di libertà dalla legge; all'interno della Chiesa di Gerusalemme i farisei convertiti sono divisi dagli altri; e gli apostoli guidati da Pietro sono probabilmente divisi dagli "anziani" che guardavano a Giacomo, il fratello del Signore. Così, la Chiesa ha affrontato una crisi di identità che supera qualsiasi cosa possiamo immaginare oggi.

Papa Francesco ha detto quest'estate a Lisbona: "Una vita senza crisi è una vita asettica... una vita senza crisi è come l'acqua stagnante, non serve a niente, non sa di niente". Noi maturiamo attraverso le crisi, dalla crisi della nostra nascita alla crisi della morte. Se accogliamo le crisi con speranza, fioriamo. Se cerchiamo di evitarle, non cresciamo mai. I miei confratelli americani mi hanno regalato una maglietta che diceva: "Buona crisi!".

Leggiamo che: "Gli apostoli e gli anziani si riunirono per esaminare la questione" (At 15,6) La Chiesa è sempre riunita, come lo siamo noi oggi nel Sinodo. Nella terza preghiera eucaristica diciamo: "Tu non cessi mai di radunare a te un popolo, perché dal sorgere del sole al suo tramonto sia offerto al tuo nome un sacrificio perfetto". La parola greca che indica la Chiesa, ekklesia, significa "raduno". Siamo disposti a riunirci, non solo fisicamente, ma anche con i nostri cuori e le nostre menti? Guardando Gerusalemme prima della sua morte, Gesù disse: "Quante volte ho desiderato radunare i vostri figli come una gallina raduna la sua nidiata sotto le ali, ma voi non avete voluto". (Luca 13.24). Siamo disposti a lasciarci trascinare oltre l'incomprensione e il sospetto reciproco? O saremo come il fratello maggiore nella parabola del figliol prodigo che rimane ai margini, rifiutando di essere raccolto nella gioia del ritorno del fratello?

I discepoli si riunirono a Gerusalemme per essere inviati ad Antiochia e in tutto il mondo. Noi siamo riuniti nell'Eucaristia per essere inviati. È il respiro dello Spirito Santo nei nostri polmoni, che ci raccoglie e ci invia, ossigenando la linfa vitale della Chiesa. Siamo riuniti per scoprire la pace tra di noi e mandati ad annunciarla al nostro povero mondo, crocifisso da una violenza sempre maggiore, in Ucraina, in Terra Santa, in Myanmar, in Sudan e in tanti altri luoghi. Come possiamo essere un segno di pace se siamo divisi tra di noi?

Il Concilio di Gerusalemme si riuniva "nel nome di Gesù", come lo siamo anche noi. Nel Sinodo preghiamo ogni giorno: "Siamo davanti a te, Spirito Santo, mentre ci riuniamo nel tuo nome". Essere riuniti nel nome del Signore significa avere la certezza che la grazia di Dio è potentemente all'opera in noi. Pietro disse allo zoppo alla porta del Tempio: "Non ho né argento né oro, ma quello che ho te lo do: nel nome di Gesù Cristo il Nazoreo, [alzati e] cammina" (At 3,6). Spesso le persone mi hanno detto: "Questo Sinodo non cambierà nulla". Chi con speranza e chi con paura. È una mancanza di fede nel nome del Signore, "il nome che è al di sopra di ogni nome" (Filippesi 2.9). Un antico inno inizia con "Oggi lego a me il nome forte della Trinità". Se siamo riuniti nel nome forte della Trinità, la Chiesa sarà rinnovata, anche se forse in modi non immediatamente evidenti. Non si tratta di ottimismo, ma della nostra fede apostolica.

Il mio primo grande maestro è stato un domenicano dello Sri Lanka, Cornelius Ernst. Egli scrisse del potere della grazia di Dio di fare nuove cose. Cito: "È l'alba, la scoperta, la primavera, la nuova nascita, il venire alla luce, il risveglio, la trascendenza, la liberazione, l'estasi, il consenso nuziale, il dono, il perdono, la riconciliazione, la rivoluzione, la fede, la speranza, l'amore.... è il potere di trasformare e rinnovare tutte le cose: "Ecco io faccio nuove tutte le cose" (Ap 21,5)[2]". La Chiesa è sempre nuova, come Dio, l'Antico dei Giorni e il bambino appena nato.

I discepoli si riuniscono perché vedono che Dio sta già facendo qualcosa di nuovo. Dio li aveva preceduti. Dovevano raggiungere lo Spirito Santo. Pietro proclama che "Dio, che conosce il cuore dell'uomo, ha testimoniato [ai gentili] dando loro lo Spirito Santo, come ha fatto con noi; e purificando i loro cuori mediante la fede non ha fatto distinzione tra loro e noi" (At 15,8).

Per San Giacomo, il fratello del Signore, questo è stato sicuramente il più difficile da accettare. La sua identità era fondata su un rapporto di sangue con il Signore. È meraviglioso che sia lui a proclamare questa nuova identità. "È parso bene allo Spirito Santo e a noi". Che coraggio e che fede ci devono essere voluti per dire "noi", un'identità che raccoglie tutta la Chiesa divisa. Chiama ancora Pietro con il suo vecchio nome di famiglia, Symeon. Si sta risvegliando solo lentamente a questa nuova identità, una Chiesa di ebrei e gentili. C'è voluto del tempo, come per noi.

Durante la guerra civile in Burundi, ho girato il Paese con due miei fratelli, un hutu e un tutsi. La sera noi tre celebravamo insieme l'Eucaristia. Un inglese e due africani, un hutu e un tutsi: Un nuovo senso del "noi". Abbiamo ricevuto l'Eucaristia prima di coglierla nella nostra mente e nel nostro cuore.

Oggi il nostro Dio sta già facendo nascere una Chiesa che non è più principalmente occidentale: una Chiesa cattolica orientale, asiatica, africana e latinoamericana. È una Chiesa in cui le donne stanno già assumendo responsabilità e stanno rinnovando la nostra teologia e spiritualità. I giovani di tutto il mondo, come abbiamo visto a Lisbona, ci stanno già portando in nuove direzioni, nel Continente digitale. Nel Prefazio di Uomini e Donne Santi, ringraziamo Dio perché "rinnovi la Chiesa in ogni tempo suscitando uomini e donne eccellenti nella santità". Essi sono già tra noi. Ci chiediamo giustamente: cosa dobbiamo fare? Una domanda ancora più fondamentale è: cosa sta facendo Dio? Accettiamo la graziosa novità di Dio? Ci credete, alcuni domenicani si sono opposti persino a sant'Ignazio di Loyala! Nostra culpa.

È affascinante notare che Giacomo riesce a comprendere il nuovo solo come una ricostruzione del vecchio. Cita Amos: "Dopo questo tornerò e ricostruirò la dimora di Davide, che è caduta; dalle sue rovine la riedificherò e la metterò in piedi, perché tutti gli altri popoli cerchino il Signore, anche tutte le genti sulle quali è stato chiamato il mio nome". Il nuovo è sempre un rinnovamento inaspettato dell'antico. Ecco perché ogni opposizione tra tradizione e progresso è del tutto estranea al cattolicesimo.

Ora valuteremo quali nuovi processi, istituzioni e strutture sono necessari. Non si tratterà di soluzioni a problemi di gestione, ma di espressioni più complete di ciò che siamo. La storia della Chiesa è caratterizzata da un'infinita creatività istituzionale. Dopo che il cristianesimo è diventato una religione riconosciuta dall'Impero romano, sono emerse nuove forme di vita cristiana nei padri e nelle madri del deserto, per controbilanciare i nuovi pericoli della ricchezza. Nel XIII secolo, sono sorte nuove Università per sostenere una nuova visione di ciò che è essere umano. Durante la rivoluzione industriale, sono nate centinaia di nuove forme di vita religiosa, per esprimere chi siamo come fratelli e sorelle dei nuovi poveri urbani.

Di quali istituzioni abbiamo bisogno per esprimere chi siamo come uomini e donne di pace in un'epoca di violenza, abitanti del Continente digitale? Ogni battezzato è un profeta. Come riconosciamo e accogliamo il ruolo della profezia nella Chiesa di oggi[3]? E la voce profetica delle donne, ancora spesso viste come "ospiti in casa propria"[4]?

Infine, il Concilio di Gerusalemme sollevò i Gentili da pesi inutili. "Perché è parso bene allo Spirito Santo e a noi di non imporvi un peso maggiore di queste cose necessarie" (v. 28). Essi sono liberati da un'identità data dall'antica Legge.

Come possiamo sollevare i pesi dalle spalle stanche dei nostri fratelli e sorelle di oggi che spesso si sentono a disagio nella Chiesa? Non sarà attraverso qualcosa di così drammatico come l'abolizione della Legge. Né attraverso un cambiamento fondamentale della nostra identità come l'ammissione dei Gentili.

Ma siamo chiamati ad abbracciare un senso più profondo di chi siamo come improbabili amici del Signore, la cui scandalosa amicizia supera ogni confine. Molti di noi hanno pianto quando hanno saputo di quella giovane donna che si è suicidata perché era bisessuale e non si sentiva accolta. Spero che questo ci abbia cambiato. Il Santo Padre ci ha ricordato che tutti sono accolti: todos, todos, todos.

Un uomo si era perso in Irlanda. Chiese a un contadino: "Come faccio ad arrivare a Dublino?". Il contadino rispose: "Se volessi andare a Dublino, non inizierei da qui". Ma ovunque ci si trovi, è lì che inizia il viaggio verso casa, la casa della Chiesa e la casa del Regno.

Partecipazione, compiti di responsabilità e autorità

quali processi, strutture e istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria

Apporto Teologico

Rev. do Sac. Dario VITALI, Coordinatore degli Esperti teologi

1. «La Chiesa è in Cristo come un sacramento, cioè segno e strumento dell’intima unione con Dio e dell’unità del genere umano» (LG 1). Riprendo questa citazione, come cornice per inquadrare la riflessione teologica sul punto B.3, che fissa la sua attenzione su «partecipazione, compiti di responsabilità e autorità». La prima partecipazione che il concilio Vaticano II sottolinea non è infatti quella dei singoli, ma della Chiesa tutta, Popolo di Dio in cammino verso il compimento del Regno. Mai come oggi – e per oggi intendo questi giorni drammatici, quando la pace sembra sospesa a un filo – l’umanità ha bisogno di una testimonianza forte e convinta di una Chiesa che sia segno e strumento di pace tra i popoli. «Una Chiesa sinodale – sono parole di papa Francesco – è come vessillo innalzato tra le nazioni (cfr Is 11,12) ... Come Chiesa che “cammina insieme” agli uomini, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo il sogno che la riscoperta della dignità inviolabile dei popoli e della funzione di servizio dell'autorità potranno aiutare anche la società civile a edificarsi nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più bello e più degno dell'uomo per le generazioni che verranno dopo di noi».

Una Chiesa che voglia essere ad extra, «sacramento universale di salvezza» per il mondo (LG 48), è sempre chiamata a essere e a pensarsi ad intra come «sacramento di questa unità salvifica» (LG 9). Ma può questa categoria, che certamente spiega la dimensione misterica della Chiesa essere applicata a temi come «partecipazione, responsabilità, autorità»? Già il capitolo I apre orizzonti significativi in questa direzione. Basti LG 7, che dice come «nell’edificazione del corpo di Cristo vige una diversità di membra e di funzioni».

2. Ma è nel capitolo II che i temi della partecipazione assumono una fisionomia precisa, a partire dalla descrizione della Chiesa come Popolo di Dio, «stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, il Popolo che Dio si è acquistato» (LG 9).

Sappiamo tutti che il capitolo de Populo Dei costituisce la “rivoluzione copernicana” dell’ecclesiologia conciliare. Il fatto di inserire il capitolo prima di quello sulla gerarchia produce un franamento della piramide ecclesiologica costruita lungo i secoli: prima delle funzioni viene la dignità dei battezzati; prima delle differenze, che stabiliscono gerarchie, sta l’uguaglianza dei figli di Dio. Il titolo più grande di appartenenza alla Chiesa non è essere papa, o vescovo, o prete, o consacrato/a, ma figlio di Dio. Tutti figli nel Figlio, congiunti da vincoli di parentela che sono dallo Spirito. Affermare la pari dignità di tutti non significa negare le differenze: la Chiesa è il corpo di Cristo, vivo e bello per la varietà dei doni, dei carismi, dei ministeri, delle vocazioni.

Il principio che regola questa ricchezza di doni, carismi e ministeri nel corpo ecclesiale è espresso dal concilio nella relazione tra «sacerdozio comune e il sacerdozio ministeriale o gerarchico» come forme distinte di partecipazione al sacerdozio di Cristo (LG 10). La novità di questo passaggio è dirompente per la scelta di rovesciare i due soggetti in gioco: mettere il sacerdozio comune prima del sacerdozio ministeriale significa rompere un rapporto asimmetrico di autorità-obbedienza che strutturava la Chiesa piramidale. Affermare poi due forme di partecipazione al sacerdozio di Cristo ordinate l’una all’altra significa riconoscerne la diversità complementare, che li rende irriducibili l’uno all’altro.

Dentro questa relazione si apre uno spazio amplissimo, che non può e non deve essere occupato dai ministri ordinati. Anzi, questi sono posti a servizio del Popolo santo di Dio, che torna finalmente ad essere soggetto attivo della vita ecclesiale.

3. Ma dire Chiesa-Popolo di Dio non risolve l’intera questione, né garantisce una riforma indolore della Chiesa. Lo dimostra il dibattito infuocato nell’immediato post-concilio sull’ecclesiologia del Vaticano II, che ha contrapposto carisma e istituzione, «chiesa dal basso e chiesa dall’alto», Popolo di Dio e gerarchia.

Questo spiega da una parte l’enfasi sull’ecclesiologia di comunione, declinata soprattutto sul versante della communio hierarchica, che ha prodotto con l’andare del tempo una vera e propria «centralizzazione» della Chiesa; dall’altra la paura che la sinodalità, declinata come il «camminare insieme» del Popolo di Dio, costituisca un’alternativa al principio della communio. In realtà, la sinodalità altro non è che la communio stessa della Chiesa in quanto Popolo santo di Dio. Sinodalità e communio si identificano, a patto di comprendere la Chiesa come Popolo di Dio in cammino.

Dentro la Chiesa sinodale trovano cittadinanza tutte le dimensioni della communio: la communio trinitaria, la communio fidelium, la communio Ecclesiarum, la communio sanctorum. Al servizio di questa Chiesa stanno i Pastori, in una communio hierarchica regolata dal servizio dell’unità del Vescovo di Roma, il quale – sono parole di Papa Francesco – «non sta, da solo, al di sopra della Chiesa; ma dentro di essa come Battezzato tra i Battezzati e dentro il Collegio episcopale come Vescovo tra i Vescovi, chiamato al contempo – come Successore dell'apostolo Pietro – a guidare la Chiesa di Roma che presiede nell’amore tutte le Chiese» (Discorso nel 50° del Sinodo).

4. Proprio il modulo B.3, con i suoi temi, permette di mostrare la via per avviare il rinnovamento dei processi, delle strutture e delle istituzioni in una Chiesa sinodale missionaria, in una progressiva recezione del quadro ecclesiologico disegnato dal concilio Vaticano II. La stretta relazione che intercorre tra il Popolo di Dio, il collegio dei Vescovi e il Vescovo di Roma, ciascuno con la sua funzione, fonda la Chiesa sinodale come «Chiesa dell’ascolto»: «Popolo fedele, Collegio episcopale, Vescovo di Roma: l’uno in ascolto degli altri; e tutti in ascolto dello Spirito Santo, lo “Spirito della verità” (Gv 14,17), per conoscere ciò che Egli “dice alle Chiese” (Ap 2,7)».

La volontà di garantire le rispettive funzioni di questi soggetti ha determinato la trasformazione del Sinodo da evento a processo. Questa scelta non nega, ma integra in una unità superiore l’organismo istituito da Paolo VI, con il quale il papa intendeva dare ai Vescovi «la possibilità di prendere parte in maniera più evidente e più efficace alla Nostra sollecitudine per la Chiesa universale» (AS). Il passo ulteriore da compiere, in linea con tutta l’ecclesiologia conciliare è stato enunciato da Papa Francesco: come «il Sinodo dei Vescovi, rappresentando l’episcopato cattolico, diventa espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale»? (Francesco, Discorso nel 50° del Sinodo). Questo è possibile solo riconoscendo tutti i soggetti in cui si articola il corpo ecclesiale. Nel processo sinodale il Popolo di Dio, il Collegio dei Vescovi e il Vescovo di Roma esercitano le loro specifiche funzioni ecclesiali, componendo in unità dinamica la sinodalità, la collegialità e il primato.

5. Tale processo avviene attraverso un doppio dinamismo, complementare nel suo movimento: in uscita e in entrata.

In uscita: il processo sinodale si può attuare nella Chiesa, perché il Vescovo di Roma la chiama all’azione sinodale. Questo primo movimento corrisponde a una prerogativa del Vescovo di Roma, «visibile principio e fondamento di unità» di tutti i battezzati, di tutti i vescovi, di tutte le Chiese. È Lui che «presiede alla comunione universale della carità, garantisce le legittime diversità e insieme vigila perché il particolare non solo non nuoccia all’unità, ma piuttosto la serva» (LG 13). In ragione del suo servizio di unità alla Chiesa, egli convoca, presiede e conferma il Sinodo, analogicamente a come convoca, presiede e conferma il concilio ecumenico cfr LG 22). A lui spetta stabilire il tema del Sinodo; a lui spetta aprire il processo sinodale; a lui spetta accompagnare il processo attraverso la Segreteria del Sinodo ed è a lui che spetterà concluderlo.

In forza di questa convocazione si avvia un processo in entrata, che coinvolge tutta la Chiesa e tutti nella Chiesa, a partire dalle Chiese particolari, secondo il principio ecclesiologico enunciato dal concilio Vaticano II, che la Chiesa è «il corpo delle Chiese», nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa cattolica» (LG 23).

In forza di tale principio, ad ogni Vescovo, quale principio e fondamento visibile di unità della portio Populi Dei che gli è affidata (cfr LG 23), spetta la responsabilità di aprire il processo sinodale nella sua Chiesa. Proprio perché convocata dal Vescovo, la consultazione nelle Chiese particolari è vera consultazione del Popolo di Dio, soggetto del sensus fidei. Così è accaduto, nella prima fase del Sinodo, che l’ascolto di ogni portio Populi Dei è coinciso con l’ascolto della totalità del Popolo di Dio che vive e cammina nelle Chiese.

Poiché non si dà consultazione del Popolo di Dio nelle Chiese particolari se il suo Pastore non l’avvia, fin dall’inizio i Vescovi hanno realmente partecipato al processo sinodale e hanno svolto in esso un compito necessario e insostituibile. Perciò, è del tutto evidente che non si dà contraddizione tra dimensione sinodale e dimensione gerarchica della Chiesa: l’una garantisce l’altra e viceversa, essendo la Chiesa «“sacramento di unità”, Popolo radunato e ordinato sotto la guida dei vescovi» (SC 26).

6. Il processo sinodale è dunque un luogo privilegiato di esercizio tanto della sinodalità che della collegialità, in quanto garantisce l’esercizio effettivo sia del sensus fidei del Popolo di Dio, sia del discernimento dei Pastori. In forza dell’azione sinodale a cui il Vescovo di Roma ha chiamato tutta la Chiesa, i Vescovi sparsi per il mondo hanno esercitato congiuntamente la loro funzione di discernimento nelle istanze intermedie di sinodalità e collegialità. Il discernimento delle Conferenze episcopali e delle Assemblee sinodali, poiché si applica a una manifestazione del sensus fidei del Popolo di Dio, non si riduce a un atto meramente pastorale; è piuttosto «espressione della collegialità episcopale all’interno di una Chiesa tutta sinodale» (Francesco, Discorso nel 50° del Sinodo), in quanto i Vescovi esprimono realmente in quegli atti «la comunione tra di loro e con il Successore di Pietro» nell’esercizio della funzione di discernimento (LG 25).

7. Si può dunque concludere ribadendo che il Sinodo è il “luogo” e lo “spazio” privilegiato di esercizio della sinodalità, che non enfatizza unilateralmente il ruolo del Popolo di Dio o quello dei Pastori, ma di tutti i soggetti – Popolo di Dio, Collegio dei Vescovi, Vescovo di Roma –, articolando in unità dinamica sinodalità, collegialità, primato. Per queste caratteristiche peculiari, il processo sinodale può essere compreso come l’esercizio più compiuto della sinodalità nella Chiesa Cattolica.

A partire da qui si può mettere mano a un ripensamento delle istituzioni ecclesiali. Lo dimostra la costituzione Praedicate Evangelium, che ripensa il servizio della Curia Romana alla Chiesa in chiave sinodale. E lo fa a partire dalla descrizione conciliare della Chiesa come «corpo delle Chiese», «nelle quali e a partire dalle quali esiste l’una e unica Chiesa Cattolica» (PE 6); il medesimo principio che regola l’intero processo sinodale. Più che indicare singole riforme, si dovranno indicare criteri per la riforma.

Il primo è di carattere teologico: ripensare la Chiesa in chiave sinodale, perché tutta la Chiesa e tutto nella Chiesa – la vita, i processi, le istituzioni – sia ripensato in termini di sinodalità.

Il secondo è di carattere istituzionale: garantire alla Chiesa lo “spazio” per l’esercizio della sinodalità. Il che equivale, a parere di chi parla, a custodire il Sinodo come organismo a servizio di una Chiesa costitutivamente sinodale. Senza Sinodo, l’esercizio della sinodalità finirebbe per dissolversi in mille rivoli e creare un vero e proprio pantano, rallentando se non impedendo il «camminare insieme» del Popolo di Dio. Si può riflettere sulla sua forma istituzionale, ma non bisogna dubitare che questa istituzione garantisca alla Chiesa un vero esercizio della sinodalità, come dimostra ampiamente il processo sinodale in atto.

Un vero esercizio della sinodalità permetterà di pensare – con pazienza e prudenza – alle necessarie riforme istituzionali, a processi decisionali che coinvolgano tutti, a un esercizio dell’autorità che sia davvero adatto a “far crescere” un Popolo di Dio maturo e partecipe.

In questo orizzonte, ripeto qui le parole del Vescovo che mi ha ordinato molti anni fa e alla cui scuola ho imparato la sinodalità. Nel messaggio rivolto alla sua Chiesa nel lontano 1990, in occasione dell’apertura del Sinodo diocesano, scrisse parole che suonano profetiche:

«Il Popolo di Dio, visibile segno dell’invisibile presenza del Regno, si pone in ascolto, in dialogo, a servizio del suo Signore, centro del cosmo e della storia. Accoglie l’invito a camminare insieme con Dio, l’umanità, la creazione. […] Il Sinodo è dichiarazione d’amore alla terra, a questa benedetta terra sulla quale camminiamo, a questo benedetto tempo affascinante e drammatico insieme. Il Sinodo è ancora più forte dichiarazione d’amore alla gente, tutta la gente. Con una preferenza ai più poveri sotto ogni profilo e ad ogni livello. […] Solo l’amore convince. Solo l’amore fa crescere le persone, crea novità. Convinciamoci: il Sinodo è stagione d’amore. Di Dio per noi, di noi per Lui, di tutti fra di noi»

(+ Dante Bernini).

Grazie.