Città del Vaticano — Il 23 ottobre 2025 resterà come una data storica nei rapporti tra la Chiesa cattolica e la Comunione anglicana. Nella Cappella Sistina, sotto lo sguardo del Cristo giudice e Signore della storia, Papa Leone XIV e Re Carlo III, accompagnato dalla Regina Camilla, si sono uniti nella preghiera, rinnovando quel desiderio di unità dei cristiani che san Giovanni Paolo II definì “irreversibile” e che affonda le sue radici nel Decreto sull’Ecumenismo Unitatis Redintegratio, promulgato da san Paolo VI il 21 novembre 1964.
Il segno dell’unità nella Creazione
Sotto la volta di Michelangelo, là dove le dita di Dio e dell’uomo quasi si sfiorano, cattolici e anglicani hanno levato insieme lodi al Creatore. L’inno iniziale, composto da Sant’Ambrogio e tradotto in inglese da San John Henry Newman, ha unito in un solo canto le due tradizioni.
Non un gesto simbolico, ma la traduzione viva di quanto il Concilio Vaticano II affermava nel suo Proemio: “Promuovere il ristabilimento dell’unità fra tutti i cristiani è uno dei principali intenti del Sacro Concilio… poiché Cristo volle che tutti fossero una sola cosa” (Unitatis Redintegratio, 1–2).
Accanto al Papa, l’arcivescovo di York Stephen Cottrell; con i sovrani, il cardinale Vincent Nichols e l’arcivescovo Leo Cushley. I cori della Cappella Musicale Pontificia Sistina, della Cappella Reale di St James’s Palace e di St George’s Chapel a Windsor hanno intrecciato le loro voci nei salmi e nei canti, come un’unica preghiera.
“La grazia del Signore Gesù Cristo…”
Al culmine della celebrazione, Papa Leone XIV e l’arcivescovo Cottrell hanno recitato insieme la benedizione paolina: “La grazia del Signore Gesù Cristo, l’amore di Dio e la comunione dello Spirito Santo siano con noi per sempre.” In quel gesto, sobrio e solenne, si è compiuta una riconciliazione spirituale che la storia attendeva da secoli. Cinquecento anni dopo lo scisma anglicano, la preghiera comune nella Sistina ha rappresentato, in forma visibile, ciò che Unitatis Redintegratio descrive come “l’anima del movimento ecumenico”: la preghiera e la conversione del cuore. Non si è trattato di un semplice atto protocollare, ma di un atto teologico, un richiamo alla “unità nella diversità” che non annulla le differenze ma le riconduce all’unico centro: Cristo Signore.

L’orchidea del creato e il vincolo della speranza
Dopo la liturgia, nella Sala Regia, il Pontefice e Sua Maestà hanno partecipato a un incontro sulla sostenibilità ambientale, introdotto da suor Alessandra Smerilli. Lo scambio di due orchidee Cymbidium ha espresso l’impegno condiviso nella cura del creato, tema che unisce le encicliche Laudato si’ e Caritas in veritate con la sensibilità ecologica della monarchia britannica. È un gesto che parla la lingua di Unitatis Redintegratio quando invita tutti i cristiani a “collaborare per la dignità della persona umana e per la pace” (n. 12). L’ecumenismo, insegna il Concilio, non è un esercizio diplomatico ma una forma di cooperazione evangelica: servire insieme il mondo, perché “tutto ciò che è veramente cristiano non è mai contrario ai beni della fede” (n. 4).
“Ut unum sint”: il titolo e la promessa
Nel pomeriggio, nella Basilica di San Paolo fuori le Mura, Leone XIV ha approvato il conferimento a Re Carlo III del titolo di Royal Confrater di San Paolo, antico segno di fraternità spirituale tra Roma e la Corona inglese. Sullo scranno realizzato per l’occasione, un motto evangelico in latino: Ut unum sint — “Che siano uno” (Gv 17,21).
È lo stesso versetto che san Paolo VI volle porre al centro del suo decreto. Ed è la stessa invocazione che san Giovanni Paolo II avrebbe poi scelto come titolo per la sua enciclica del 1995. Il fatto che oggi quelle parole risuonino nella Basilica di San Paolo, dopo una preghiera comune in Sistina, non è un semplice ritorno alla memoria del passato, ma un passo visibile verso quella speranza conciliare: che “tutti i cristiani, nell’unica celebrazione dell’eucaristia, si trovino riuniti in quella unità dell’unica Chiesa che Cristo fin dall’inizio donò alla sua Chiesa” (UR, 4).
Un nuovo capitolo dell’ecumenismo vissuto
Quello di oggi non è un episodio isolato, ma un segno di continuità nel tempo. È la concretizzazione di quella “riforma della Chiesa” e di quella “conversione del cuore” che il Concilio indicava come condizioni per ogni autentico cammino di unità (UR, 6–7). In un mondo segnato da divisioni, Leone XIV ha voluto ricordare che l’unità non nasce da un compromesso ma da una riconciliazione nella verità e nella carità, la stessa che Unitatis Redintegratio chiama “via dell’umiltà evangelica”.
Una preghiera che attraversa i secoli
L’immagine finale, quella di Papa e Re che escono insieme dalla Cappella Sistina, non appartiene solo alla cronaca ma alla storia della Chiesa. È il compimento, almeno parziale, di quel movimento che il Concilio definì come “opera dello Spirito Santo” e che “supera le forze e le doti umane” (UR, 24). Certo, non si tratta ancora della piena comunione visibile, ma certamente - per usare le parole di Paolo VI - di un “segno della grazia che già opera nei cuori”. Sotto il soffio dello Spirito, nella Cappella dove si eleggono i Papi, oggi si è pregato non per eleggere, ma per unire. E il mondo, come auspicava il Concilio, “potrà credere che il Padre ha mandato il Figlio” (Gv 17,21).
f.D.A.
Silere non possum