Pope Francis met with the poor and refugees. In the afternoon he will be with the Jesuits. Will the Pope have the courage to talk about Rupnik?

Il secondo giorno del viaggio apostolico di Papa Francesco in Ungheria inizia con una visita, in forma privata, ai bambini dell’Istituto “Beato László Batthyány-Strattmann”. Incontrando i fanciulli, il Papa ha detto: “Grazie tante a tutti voi per l’accoglienza e la tenerezza. Grazie per i vostri canti, per i gesti, per i vostri occhi. Grazie, Signor Direttore, perché Lei ha voluto cominciare quest’atto con la preghiera di San Francesco, che è un programma di vita. Perché sempre il Santo chiede la grazia che dove non c’è qualcosa che io possa fare qualcosa, quando manca qualcosa io posso fare qualcosa. In un cammino dalla realtà come è, portare avanti, far camminare la realtà. E questo è Vangelo puro. Gesù è venuto a prendere la realtà com’era e portarla avanti. Sarebbe stato più facile prendere le idee, le ideologie e portarle avanti senza tenere conto della realtà. Questo è il cammino evangelico, questo è il cammino di Gesù. E questo è quello che Lei Signor Direttore ha voluto esprimere con la preghiera di San Francesco. Grazie. E grazie a tutti voi!” 

Al termine dell’incontro, Francesco ha donato alla comunità di bambini ipovedenti una statua della Vergine Maria che scioglie i nodi. Il Papa è particolarmente legato a questa devozione che ebbe modo di conoscere nel 1986, quando venne esiliato in Germania, visitò la Chiesa di San Pietro ad Augusta, per la quale intorno al 1700 il pittore tedesco Johann Georg Melchior Schmidtner aveva realizzato una tela con la Virgen Maria Knotenlöserin, ossia “che scioglie i nodi”.

Nel lasciare l’Istituto “Beato László Batthyány-Strattmann”, il Papa si è fermato anche a salutare individualmente un gruppo di circa 100 bambini e giovani di una parrocchia vicina, dedicata a San Laszlo, che lo attendevano con preghiere e canti lungo la strada. 

Incontro con i poveri

Il secondo appuntamento di questa giornata, Francesco lo ha vissuto nella la Chiesa dedicata a Santa Elisabetta d’Ungheria dove ha incontrato i poveri e i rifugiati. Il Pontefice si è scagliato contro la peste dell’indifferenza. Ha detto: “Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile. L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa”.

E ancora: “L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza – è una peste l’indifferenza! – e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa”.

L’incontro con la Compagnia di Gesù

Come di consueto, Francesco incontrerà, questo pomeriggio, i membri della Compagnia di Gesù presenti sul territorio. Nell’ottica della franchezza, di cui il Papa ha spesso parlato, siamo certi che i gesuiti (fra cui anche Antonio Spadaro) non avranno paura di affrontare con Bergoglio il tema: Marko Ivan Rupnik

Già nel Viaggio Apostolico del Santo Padre nella Repubblica Democratica del Congo e in Sud Sudan (31 gennaio – 5 febbraio 2023), i gesuiti non affrontarono questo tema con il Papa. La questione, però, era ancora fresca e molte cose sono emerse solo dopo. Francesco ha detto più volte: «Abbiate i “pantaloni”, siate uomini e dite le cose in faccia». 

È evidente che in tutta la Compagnia di Gesù ha destato particolare stupore l’atteggiamento del Papa nei confronti di quest’uomo che, ancora oggi, sta continuando ad agire contro le disposizioni canoniche. Siamo certi che questi temi emergeranno e il Papa non avrà paura di riferire chi, come e perchè ha firmato quella remissione della scomunicaBergoglio spiegherà anche perchè ritiene che per tutti non si debba applicare la prescrizione, in materia di abusi, ma per Rupnik, invece, sì. 

Anche Antonio Spadaro, che ha fatto di questo pontificato il suo giocattolo per la visibilità, non ha mai preso parola in merito a questa ferita indelebile all’interno dell’ordine religioso di cui fa parte. Come è noto, il contenuto di questi incontri riservatissimi saranno pubblicati dalla Civiltà Cattolica solo giorni dopo il rientro in Vaticano. Anche in questo, Francesco, ha dimostrato la propria confusione. Seppur in Vaticano abbiamo un mega dicastero per la comunicazione che ci toglie dalle casse milioni di euro l’anno, il Papa preferisce affidare “a destra e a manca” le proprie parole. Questo rientra nei tanti “favori” che Bergoglio concede, in modo da ottenere un racconto edulcorato del suo operato“Io ti offro le mie parole in esclusiva, tu vendi, guadagni e quindi poi mi sei debitore”, questo è il ragionamento alla base di tutto.

L.M.

Silere non possum

Discorso di Sua Santità Francesco

Chiesa di Santa Elisabetta di Ungheria - Incontro con poveri e rifugiati

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Sono felice di essere qui in mezzo a voi. Grazie, Mons. Antal, per le sue parole di benvenuto e grazie per aver ricordato il generoso servizio che la Chiesa ungherese svolge per e con i poveri. I poveri e i bisognosi – non dimentichiamolo mai – sono al cuore del Vangelo: Gesù, infatti, è venuto, «a portare ai poveri il lieto annuncio» (Lc 4,18). Essi, allora, ci indicano una sfida appassionante, perché la fede che professiamo non sia prigioniera di un culto distante dalla vita e non diventi preda di una sorta di “egoismo spirituale”, cioè di una spiritualità che mi costruisco a misura della mia tranquillità interiore e della mia soddisfazione. Vera fede, invece, è quella che scomoda, che rischia, che fa uscire incontro ai poveri e rende capaci di parlare con la vita il linguaggio della carità. Come afferma San Paolo, possiamo parlare tante lingue, possedere sapienza e ricchezze, ma se non abbiamo la carità non abbiamo niente e non siamo niente (cfr 1 Cor 13,1-13).

Il linguaggio della carità. È stata la lingua parlata da Santa Elisabetta, verso la quale questo popolo nutre grande devozione e affetto. Arrivando stamani, ho visto nella piazza la sua statua, con il basamento che la raffigura mentre riceve il cordone dell’ordine francescano e, contemporaneamente, dona l’acqua per dissetare un povero. È una bella immagine della fede: chi “si lega a Dio”, come fece San Francesco d’Assisi a cui Elisabetta si è ispirata, si apre alla carità verso il povero, perché «se uno dice: “Io amo Dio” e odia suo fratello, è un bugiardo. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede» (1 Gv 4,20).Santa Elisabetta, figlia di re, era cresciuta nell’agiatezza di una vita di corte, in un ambiente lussuoso e privilegiato; eppure, toccata e trasformata dall’incontro con Cristo, ben presto sentì un rigetto verso le ricchezze e le vanità del mondo, avvertendo il desiderio di spogliarsene e di prendersi cura di chi era nel bisogno. Così, non solo spese i suoi averi, ma anche la sua vita a favore degli ultimi, dei lebbrosi, dei malati fino a curarli personalmente e a portarli sulle proprie spalle. Ecco il linguaggio della carità.

Ce ne ha parlato anche Brigitta, che ringrazio per la sua testimonianza. Tante privazioni, tanta sofferenza, tanto duro lavoro per cercare di andare avanti e di non far mancare il pane ai suoi figli e, nel momento più drammatico, il Signore le è venuto incontro per soccorrerla. Ma – l’abbiamo ascoltato dalle sue stesse parole – come è intervenuto il Signore? Egli, che ascolta il grido di chi è povero, «rende giustizia agli oppressi, dà il pane agli affamati» e «rialza chi è caduto» (Sal 146,7-8), non arriva quasi mai risolvendo dall’alto i nostri problemi, ma si fa vicino con l’abbraccio della sua tenerezza ispirando la compassione di fratelli che se ne accorgono e non restano indifferenti. Brigitta ce l’ha detto: ha potuto sperimentare la vicinanza del Signore grazie alla Chiesa greco-cattolica, a tante persone che si sono prodigate per aiutarla, incoraggiarla, trovarle un lavoro e sostenerla nei bisogni materiali e nel cammino della fede. Questa è la testimonianza che ci è richiesta: la compassione verso tutti, specialmente verso coloro che sono segnati dalla povertà, dalla malattia e dal dolore. Compassione che vuol dire “patire con”. Abbiamo bisogno di una Chiesa che parli fluentemente il linguaggio della carità, idioma universale che tutti ascoltano e comprendono, anche i più lontani, anche coloro che non credono.

E a questo proposito esprimo la mia gratitudine alla Chiesa ungherese per l’impegno profuso nella carità, un impegno capillare: avete creato una rete che collega tanti operatori pastorali, tanti volontari, le Caritas parrocchiali e diocesane, ma anche gruppi di preghiera, comunità di credenti, organizzazioni appartenenti ad altre Confessioni ma unite in quella comunione ecumenica che sgorga proprio dalla carità. E grazie per come avete accolto – non solo con generosità ma pure con entusiasmo – tanti profughi provenienti dall’Ucraina. Ho ascoltato con commozione la testimonianza di Oleg e della sua famiglia; il vostro “viaggio verso il futuro” – un futuro diverso, lontano dagli orrori della guerra – è iniziato in realtà con un “viaggio nella memoria”, perché Oleg ha ricordato la calorosa accoglienza ricevuta in Ungheria anni fa, quando venne a lavorare come cuoco. La memoria di quella esperienza lo ha incoraggiato a partire con la sua famiglia e a venire qui a Budapest, dove ha trovato generosa ospitalità. Il ricordo dell’amore ricevuto riaccende la speranza, incoraggia a intraprendere nuovi percorsi di vita. Anche nel dolore e nella sofferenza, infatti, si ritrova il coraggio di andare avanti quando si è ricevuto il balsamo dell’amore: e questa è la forza che aiuta a credere che non è tutto perduto e che un futuro diverso è possibile. L’amore che Gesù ci dona e che ci comanda di vivere contribuisce allora a estirpare dalla società, dalle città e dai luoghi in cui viviamo, i mali dell’indifferenza – è una peste l’indifferenza! – e dell’egoismo, e riaccende la speranza di un’umanità nuova, più giusta e fraterna, dove tutti possano sentirsi a casa.

Tante persone, purtroppo, anche qui, sono letteralmente senza casa: molte sorelle e fratelli segnati dalla fragilità – soli, con vari disagi fisici e mentali, distrutti dal veleno della droga, usciti di prigione o abbandonati perché anziani – sono colpiti da gravi forme di povertà materiale, culturale e spirituale, e non hanno un tetto e una casa da abitare. Zoltàn e sua moglie Anna ci hanno offerto la loro testimonianza su questa grande piaga: grazie per le vostre parole. E grazie per aver accolto quella mozione dello Spirito Santo che vi ha portato, con coraggio e generosità, a costruire un centro per accogliere persone senza fissa dimora. Mi ha colpito sentire che, insieme ai bisogni materiali, prestate attenzione alla storia e alla dignità ferita delle persone, prendendovi cura della loro solitudine, della loro fatica di sentirsi amate e benvenute al mondo. Anna ci ha detto che «è Gesù, la Parola vivente, che guarisce i loro cuori e le loro relazioni, perché la persona si ricostruisce dall’interno»; rinasce, cioè, quando sperimenta che agli occhi di Dio è amata e benedetta. Questo vale per tutta la Chiesa: non basta dare il pane che sfama lo stomaco, c’è bisogno di nutrire il cuore delle persone! La carità non è una semplice assistenza materiale e sociale, ma si preoccupa della persona intera e desidera rimetterla in piedi con l’amore di Gesù: un amore che aiuta a riacquistare bellezza e dignità.

Fare la carità significa avere il coraggio di guardare negli occhi. Tu non puoi aiutare un altro guardando da un’altra parte. Per fare la carità ci vuole il coraggio di toccare: tu non puoi buttare l’elemosina a distanza senza toccare. Toccare e guardare. E così tu toccando e guardando incominci un cammino, un cammino con quella persona bisognosa, che ti farà capire quanto bisognoso, quanto bisognosa sei tu dello sguardo e della mano del Signore.

Fratelli e sorelle, vi incoraggio a parlare sempre il linguaggio della carità. La statua in questa piazza raffigura il miracolo più famoso di santa Elisabetta: si racconta che il Signore una volta trasformò in rose il pane che portava ai bisognosi. È così anche per voi: quando vi impegnate a portare il pane agli affamati, il Signore fa fiorire la gioia e profuma la vostra esistenza con l’amore che donate. Fratelli e sorelle, vi auguro di portare sempre il profumo della carità nella Chiesa e nel vostro Paese. E vi chiedo, per favore, di continuare a pregare per me.