On his third day in Bahrain, Pope Francis celebrated the Eucharist with the Country's Catholic community and met with young people.

È iniziata con la celebrazione Eucaristica per la pace e per la giustizia, il terzo giorno di Papa Francesco nel Regno del Bahrain. Il Pontefice al Bahrain National Stadium ha invitato i cattolici a riflettere sull’invito “amare sempre e amare tutti”. E ha messo in guardia: “Attenzione però: lo sguardo di Gesù è concreto; non dice che sarà facile e non propone un amore sentimentale o romantico, come se nelle nostre relazioni umane non esistessero momenti di conflitto e tra i popoli non vi fossero motivi di ostilità. Gesù non è irenico, ma realista: parla esplicitamente di malvagi e di nemici”.

L’invito alla concretezza è stato seguito da quello a dilatare “le frontiere della legge e del buon senso”. “Ma che cosa succede, ha chiesto il Papa, se chi è lontano si avvicina a noi, se chi è straniero, diverso o di altro credo diventa nostro vicino di casa? Proprio questa terra è un’immagine viva di convivialità delle diversità, del nostro mondo sempre più segnato dalla permanente migrazione dei popoli e dal pluralismo di idee, usi e tradizioni. È importante, allora, accogliere questa provocazione di Gesù: «se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?»”

Alla celebrazione hanno partecipato circa 30.000 fedeli. “A nome di tutti i fedeli presenti e di coloro che seguono questa celebrazione per mezzo della televisione, ringrazio Vostra Santità per questa Visita in Bahrein, che mostra la Vostra sollecitudine pastorale per una Chiesa piena di vitalità, anche se minoritaria, in un Paese, la cui estensione non è grande” ha detto l’Amministratore Apostolico del Vicariato dell’Arabia del Nord, S.E. Mons. Paul Hinder, O.F.M. Cap.,Vescovo titolare di Macon.

Molti fedeli presenti questa mattina hanno riferito di essere arrivati dalla vicina Arabia Saudita. Presenti anche alcuni lavoratori cattolici che vivono in Kuwait, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti. I cristiani sono una piccola minoranza in Bahrein. Mentre più del 70% della popolazione totale del Bahrein, 1,5 milioni di persone, è musulmana, ci sono circa 161.000 cattolici che vivono nel Paese, secondo le statistiche offerte dalla Santa Sede nel 2020. Il Papa ha voluto visitare questa minoranza, termine che Francesco ha invitato a non usare perchè discriminatorio. “Come il Vostro patrono San Francesco d’Assisi, Lei non ha paura di costruire ponti con il mondo musulmano e di mostrare la Vostra vicinanza fraterna a tutte le persone di buona volontà, indipendentemente dal loro background culturale e credo religioso. Noi cristiani del Medio Oriente – quelli di antica tradizione orientale e quelli che, come migranti, risiedono temporaneamente in questa parte del mondo – cerchiamo di attuare l’invito di San Francesco ai suoi fratelli a “vivere spiritualmente tra i musulmani… per non litigare e (semplicemente) riconoscere che (noi) siamo cristiani” ha detto l’Amministratore Apostolico salutando il Papa.

Francesco, infine, ha espresso la sua gratitudine ai cattolici che hanno viaggiato dall’Arabia Saudita e da altri Paesi della regione per partecipare alla Messa. Ha detto: “Porto oggi l’affetto e la vicinanza della Chiesa universale, che vi guarda e vi abbraccia, che vi ama e vi incoraggia”.

La protesta per i diritti umani

Lungo il corteo che ha visto sfilare le auto che accompagnavano il Sommo Pontefice, erano presenti anche i parenti dei condannati a morte e degli ergastolani del Bahrein. Hanno chiesto la libertà dei prigionieri politici.

A renderlo noto è l'Istituto per i diritti e la democrazia del Bahrein, il quale, nei giorni scorsi aveva esortato il Papa a prendere posizione e ad invitare le autorità a ravvedersi sulla pena di morte e a liberare i prigionieri politici. "Papa Francesco dovrebbe fare pressione su Re Hamad affinché liberi tutte le persone imprigionate per aver esercitato il loro diritto alla libertà di associazione, di riunione pacifica e di espressione, compresi i difensori dei diritti, gli attivisti dell'opposizione e i giornalisti. Dovrebbe fare pressione sulle autorità del Bahrein per porre fine agli abusi contro i lavoratori migranti" hanno detto.

Francesco ha solo fatto un riferimento al diritto alla vita, senza mai citare espressamente la pena di morte, durante il suo primo discorso nel Paese. "Penso anzitutto al diritto alla vita, alla necessità di garantirlo sempre, anche nei riguardi di chi viene punito, la cui esistenza non può essere eliminata” ha detto. Per tutta risposta un poliziotto ha minacciato i manifestanti: "Se voglio vi arresto tutti, anche i bambini". 

Il Papa ai giovani:  “non temete di fare rumore”

Nel pomeriggio Francesco è arrivato alla Scuola del Sacro Cuore di Awali, situata a Isa Town, un sobborgo di classe media nel centro-nord del Bahrein. L'istituto accoglie circa 1.215 studenti che comprendono 29 nazionalità. Tra loro ci sono cattolici, musulmani e giovani di altre fedi.

Fondata negli anni '40, dal 2003 la scuola è gestita dalle religiose dell'istituto Sisters of the Apostolic Carmel. 

"Santità: i volti sorridenti dei giovani qui presenti oggi esprimono la loro gioia nel vederLa di persona. Le Sue parole li rafforzeranno affinché possano essere la speranza di un futuro luminoso per il nostro mondo, dove saranno cittadini attivi che si adopereranno per rendere il nostro mondo un luogo migliore". Con queste delicate parole, Suor Roselyn ha accolto il Santo Padre alla Scuola del Sacro Cuore di cui è direttrice.

Dopo due testimonianze, Merina Joseph Motha, ha rivolto tre domande al Pontefice. “C’è qualche consiglio che può darci a partire dalla sua esperienza personale di quand’era adolescente? Come possiamo comunicare efficacemente con Dio attraverso la preghiera silenziosa? Pensa che le nostre convinzioni siano abbastanza forti da aiutarci a combattere problemi sociali come ansia, stress, bullismo e pressione dei nostri compagni o colleghi?”.

In risposta, il Papa ha detto che queste domande si riferiscono tutte a una questione cruciale: quale direzione prendere nella vita?

"Posso parlare per esperienza personale", ha detto il Papa. "Anch'io sono stato un adolescente come voi, come tutti, e la mia vita era quella di un giovane normale. Come sappiamo, l'adolescenza è un processo, quel periodo della nostra crescita in cui cominciamo ad affrontare la complessità della vita e a confrontarci per la prima volta con alcune sfide".

"Il mio consiglio è di andare avanti senza paura, ma di non andare mai da soli! Dio non vi lascia mai soli; aspetta che gli chiediate di darvi una mano. Ci accompagna e ci guida, non con segni e miracoli potenti, ma parlando dolcemente attraverso i nostri pensieri e sentimenti" ha concluso.

"Vi ringrazio di essere qui, da tante nazioni diverse e con tanto entusiasmo!" ha esordito il Papa nel suo discorso. Le testimonianze dei giovani hanno ispirato il discorso del Papa che ha rivolto loro tre inviti, "non tanto per insegnarvi qualcosa, quanto per incoraggiarvi", ha detto.

Bergoglio li ha quindi esortati ad abbracciare la cultura della cura,seminare fraternità e afare delle scelte nella vita. "A voi giovani, ha detto, che siete più diretti e più capaci nel generare contatti e amicizie, superando i pregiudizi e gli steccati ideologici, vorrei dire: siate seminatori di fraternità e sarete raccoglitori di futuro, perché il mondo avrà futuro solo nella fraternità".

Ha poi invitato alla riflessione: "io sono aperto agli altri? Sono amico o amica di qualche persona che non rientra nel mio giro di interessi, che ha credo e usanze diversi da me? Cerco l’incontro o resto sulle mie? La strada è quella che in poche parole ci ha detto Nevin: “creare buone relazioni”, con tutti". 

Domani, domenica 06 novembre 2022, il Papa terminerà il suo 39° viaggio apostolico con l'incontro di Preghiera e Angelus con i Vescovi, i Sacerdoti, i Consacrati, i Seminaristi e gli Operatori Pastorali presso la Chiesa del Sacro Cuore a Manama. Poi la partenza per Roma e il rientro nello Stato della Città del Vaticano.

F.G.

Silere non possum

Di seguito i discorsi integrali pronunciati dal Pontefice e dalle Autorità durante la giornata odierna.

Omelia del Santo Padre Francesco 

Del Messia che Dio farà sorgere, il profeta Isaia dice: «grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine» (Is 9,6). Sembra una contraddizione: nella scena di questo mondo, infatti, spesso vediamo che, più si ricerca il potere, più la pace è minacciata. Invece, il profeta dà un annuncio di straordinaria novità: il Messia che viene è sì potente, ma non al modo di un condottiero che muove guerra e domina sugli altri, ma in quanto «Principe della pace» (v. 5), come Colui che riconcilia gli uomini con Dio e tra di loro. La grandezza del suo potere non si serve della forza della violenza, ma della debolezza dell’amore. Ecco il potere di Cristo: l’amore. E anche a noi Egli conferisce lo stesso potere, il potere di amare, di amare nel suo nome, di amare come ha amato Lui. Come? In modo incondizionato: non soltanto quando le cose vanno bene e ci sentiamo di amare, ma sempre; non soltanto nei riguardi dei nostri amici e vicini, ma di tutti, anche dei nemici. Sempre e a tutti.

Amare sempre e amare tutti: riflettiamo un po’ su questo.

Per prima cosa, oggi le parole di Gesù (cfr Mt 5,38-48) ci invitano ad amare sempre, cioè a restare sempre nel suo amore, a coltivarlo e praticarlo qualunque sia la situazione che viviamo. Attenzione però: lo sguardo di Gesù è concreto; non dice che sarà facile e non propone un amore sentimentale o romantico, come se nelle nostre relazioni umane non esistessero momenti di conflitto e tra i popoli non vi fossero motivi di ostilità. Gesù non è irenico, ma realista: parla esplicitamente di «malvagi» e di «nemici» (vv. 38.43). Sa che all’interno dei nostri rapporti avviene una quotidiana lotta tra amore e odio; e che anche dentro di noi, ogni giorno, si verifica uno scontro tra la luce e le tenebre, tra tanti propositi e desideri di bene e quella fragilità peccaminosa che spesso prende il sopravvento e ci trascina nelle opere del male. Sa pure che sperimentiamo come, nonostante tanti sforzi generosi, non sempre riceviamo il bene che ci aspettiamo e, anzi, talvolta incomprensibilmente subiamo del male. E, ancora, vede e soffre vedendo ai nostri giorni, in tante parti del mondo, esercizi del potere che si nutrono di sopraffazione e violenza, che cercano di aumentare il proprio spazio restringendo quello degli altri, imponendo il proprio dominio e limitando le libertà fondamentali, opprimendo i deboli. Dunque – dice Gesù – esistono conflitti, oppressioni e inimicizie.

Di fronte a tutto ciò la domanda importante da porsi è: che cosa fare quando ci troviamo a vivere situazioni del genere? La proposta di Gesù è sorprendente, ardita, audace. Egli chiede ai suoi il coraggio di rischiare in qualcosa che sembra apparentemente perdente. Chiede di rimanere sempre, fedelmente, nell’amore, nonostante tutto, anche dinanzi al male e al nemico. La semplice reazione umana ci inchioda all’«occhio per occhio, dente per dente», ma ciò significa farsi giustizia con le stesse armi del male ricevuto. Gesù osa proporci qualcosa di nuovo, di diverso, di impensabile, qualcosa di suo: «Io vi dico di non opporvi al malvagio; anzi, se uno ti dà uno schiaffo sulla guancia destra, tu porgigli anche l’altra» (v. 39). Ecco che cosa ci domanda il Signore: non di sognare irenicamente un mondo animato dalla fraternità, ma di impegnarci a partire da noi stessi, cominciando a vivere concretamente e coraggiosamente la fraternità universale, perseverando nel bene anche quando riceviamo il male, spezzando la spirale della vendetta, disarmando la violenza, smilitarizzando il cuore. Gli fa eco l’Apostolo Paolo, quando scrive: «Non lasciarti vincere dal male, ma vinci il male con il bene» (Rm 12,21).

Dunque, l’invito di Gesù non riguarda anzitutto le grandi questioni dell’umanità, ma le situazioni concrete della nostra vita: i nostri rapporti in famiglia, le relazioni nella comunità cristiana, i legami che coltiviamo nella realtà lavorativa e sociale in cui ci troviamo. Ci saranno frizioni, momenti di tensione, ci saranno conflitti, diversità di vedute, ma chi segue il Principe della pace deve tendere sempre alla pace. E non si può ristabilire la pace se a una parola cattiva si risponde con una parola ancora più cattiva, se a uno schiaffo ne segue un altro: no, serve “disinnescare”, spezzare la catena del male, rompere la spirale della violenza, smettere di covare risentimento, finire di lamentarsi e di piangersi addosso. Serve restare nell’amore, sempre: è la via di Gesù per dare gloria al Dio del cielo e costruire la pace in terra. Amare sempre.

Veniamo ora al secondo aspetto: amare tutti. Possiamo impegnarci nell’amore, ma non basta se lo confiniamo nell’ambito ristretto di coloro da cui riceviamo altrettanto amore, di chi ci è amico, dei nostri simili, familiari. Anche in questo caso, l’invito di Gesù è sorprendente perché dilata le frontiere della legge e del buon senso: già amare il prossimo, amare chi ci è vicino, seppur ragionevole, è faticoso. In generale, è ciò che una comunità o un popolo cercano di fare per conservare la pace al proprio interno: se si appartiene alla stessa famiglia o alla stessa nazione, se si hanno le stesse idee o gli stessi gusti, se si professa lo stesso credo, è normale cercare di aiutarsi e di volersi bene. Ma che cosa succede se chi è lontano si avvicina a noi, se chi è straniero, diverso o di altro credo diventa nostro vicino di casa? Proprio questa terra è un’immagine viva di convivialità delle diversità, del nostro mondo sempre più segnato dalla permanente migrazione dei popoli e dal pluralismo di idee, usi e tradizioni. È importante, allora, accogliere questa provocazione di Gesù: «se amate quelli che vi amano, quale ricompensa ne avete? Non fanno così anche i pubblicani?» (Mt 5,46). La vera sfida, per essere figli del Padre e costruire un mondo di fratelli, è imparare ad amare tutti, anche il nemico: «Avete inteso che fu detto: Amerai il tuo prossimo e odierai il tuo nemico. Ma io vi dico: amate i vostri nemici e pregate per quelli che vi perseguitano» (vv. 43-44). Ciò, in realtà, significa scegliere di non avere nemici, di non vedere nell’altro un ostacolo da superare, ma un fratello e una sorella da amare. Amare il nemico è portare in terra il riflesso del Cielo, è far discendere sul mondo lo sguardo e il cuore del Padre, che non fa distinzioni, non discrimina, ma «fa sorgere il suo sole sui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti» (v. 45).

Fratelli, sorelle, il potere di Gesù è l’amore e Gesù ci dà il potere di amare così, in un modo che a noi pare sovraumano. Ma una simile capacità non può essere solo frutto dei nostri sforzi, è anzitutto una grazia. Una grazia che va chiesta con insistenza: “Gesù, tu che mi ami, insegnami ad amare come te. Gesù, tu che mi perdoni, insegnami a perdonare come te. Manda su di me il tuo Spirito, lo Spirito dell’amore”. Chiediamo questo. Perché tante volte portiamo all’attenzione del Signore molte richieste, ma questo è l’essenziale per il cristiano, saper amare come Cristo. Amare è il dono più grande, e lo riceviamo quando facciamo spazio al Signore nella preghiera, quando accogliamo la sua Presenza nella sua Parola che ci trasforma e nella rivoluzionaria umiltà del suo Pane spezzato. Così, lentamente, cadono le mura che ci irrigidiscono il cuore e troviamo la gioia di compiere opere di misericordia verso tutti. Allora capiamo che una vita beata passa attraverso le beatitudini, e consiste nel diventare operatori di pace (cfr Mt 5,9).

Carissimi, io oggi vorrei ringraziarvi per la vostra testimonianza mite e gioiosa di fraternità, per essere in questa terra semi dell’amore e della pace. È la sfida che il Vangelo consegna ogni giorno alle nostre comunità cristiane, a ciascuno di noi. E a voi, a tutti voi che siete venuti a questa Celebrazione dai quattro Paesi del Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord – Bahrein, Kuwait, Qatar e Arabia Saudita –, nonché da altri Paesi del Golfo, come pure da altri territori, oggi porto l’affetto e la vicinanza della Chiesa universale, che vi guarda e vi abbraccia, vi vuole bene e vi incoraggia. La Vergine Santa, Nostra Signora di Arabia, vi accompagni nel cammino e vi custodisca sempre nell’amore verso tutti.

Ringraziamenti di S.E.R. Mons. Paul Hinder, O.F.M. Cap., Amministratore Apostolico del Vicariato Apostolico dell’Arabia del Nord

Padre Santo,


A nome di tutti i fedeli presenti e di coloro che seguono questa celebrazione per mezzo della televisione, ringrazio Vostra Santità per questa Visita in Bahrein, che mostra la Vostra sollecitudine pastorale per una Chiesa piena di vitalità, anche se minoritaria, in un Paese, la cui estensione non è grande.
Lei è venuto a noi come successore di Simon Pietro, che ha ricevuto da Gesù Cristo l’incarico di rafforzare la fede dei suoi fratelli e sorelle. Siamo un piccolo gregge composto da migranti provenienti da tutto il mondo. In questa gioiosa occasione, Vi assicuriamo la nostra preghiera e rinnoviamo la nostra fedeltà.
Come il Vostro patrono San Francesco d’Assisi, Lei non ha paura di costruire ponti con il mondo musulmano e di mostrare la Vostra vicinanza fraterna a tutte le persone di buona volontà, indipendentemente dal loro background culturale e credo religioso. Noi cristiani del Medio Oriente – quelli di antica tradizione orientale e quelli che, come migranti, risiedono temporaneamente in questa parte del mondo – cerchiamo di attuare l’invito di San Francesco ai suoi fratelli a “vivere spiritualmente tra i musulmani… per non litigare e (semplicemente) riconoscere che (noi) siamo cristiani”.
Desidero ringraziare Sua Maestà lo Sceicco Hamad bin Isa bin Salman Al Khalifa, il Re del Bahrein, insieme alla Famiglia Reale e ai membri del Governo, che generosamente hanno reso possibile questa Visita e ci hanno concesso questo spazio per una Messa pubblica con una così grande folla, non solo di cristiani, ma anche di gente che è vicina al nostro comune sentire. Ringrazio tutte le persone delle chiese di Manama e Awali e di altri Paesi della penisola arabica che hanno lavorato alacremente per rendere possibile questa celebrazione.
Infine, vorrei ringraziare tutti coloro che sono venuti a celebrare con noi – Patriarchi, Cardinali, Vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, donne e uomini impegnati, da vicino e da lontano, e tutti coloro che nel mondo intero ci hanno seguito a mezzo della televisione.
Padre Santo, mentre ci avviciniamo alla conclusione di un evento storico, Le assicuro ancora una volta il nostro amore e la nostra preghiera. A nome di tutta la comunità qui riunita, Vi chiedo di darci la Vostra benedizione.

Saluto della Rev.da Suora Roselyn Thomas, A.C., Direttrice della Scuola del Sacro Cuore

Padre Santo, il mio cuore è colmo di gratitudine per questo privilegio di vederLa faccia a faccia nel corso del Suo Viaggio Apostolico nel Regno del Bahrein e, in particolare, alla Scuola del Sacro Cuore. Tutti noi qui riuniti Le porgiamo il nostro più cordiale benvenuto in questa importante occasione. Grandi sono le opere di Dio e meravigliose sono le Sue vie che, nella Sua infinita bontà, ci ha portato Vostra Santità come ambasciatore di pace, di misericordia e di buona volontà. Santità: Lei è la ragione del nostro essere qui. Esprimiamo la nostra ammirazione e l’apprezzamento per il Suo umile servizio di guida amorevole verso la pace e l’armonia, ed anche per i passi coraggiosi che ha compiuto in questa direzione. La Scuola del Sacro Cuore è un simbolo in miniatura di questa pacifica convivenza e cultura della cura. Abbiamo studenti e personale provenienti da 29 diverse nazionalità, culture, lingue e background religiosi. Tutti vivono e crescono qui sotto il manto benigno del Sacro Cuore. La Sua presenza qui con noi aumenterà sicuramente la consapevolezza della nostra diversità culturale e delle nostre convinzioni condivise, nonché del nostro impegno a stabilire una società vivace e rispettosa per le generazioni presenti e future. Questo è il 74° anno della fondazione della Scuola del Sacro Cuore. In tutti questi anni, Lei è stato l’ospite più prezioso e venerato. Possano le porte di questa istituzione essere sempre aperte a tutte le persone di buona volontà, facendo scendere le benedizioni dell’Onnipotente su tutti coloro che vi entrano. Santità: i volti sorridenti dei giovani qui presenti oggi esprimono la loro gioia nel vederLa di persona. Le Sue parole li rafforzeranno affinché possano essere la speranza di un futuro luminoso per il nostro mondo, dove saranno cittadini attivi che si adopereranno per rendere il nostro mondo un luogo migliore. Infine, Santo Padre, a nome della direzione e degli studenti dell’unica scuola cattolica del Regno del Bahrein, nonché dei giovani di vari altri istituti, ed anche a nome delle Suore del Carmelo Apostolico, insieme alla nostra Superiora Generale, Suor Maria Nirmalini, ed a tutti i presenti, Le porgo umilmente e con tutto il cuore un caloroso benvenuto. Santità, Le chiediamo ora di concederci la benedizione della pace.

Discorso del Sommo Pontefice ai giovani 

Cari amici, fratelli e sorelle, buongiorno!

Vi ringrazio di essere qui, da tante nazioni diverse e con tanto entusiasmo! Vorrei ringraziare Suor Rosalyn per le parole di benvenuto che mi ha rivolto e per l’impegno con il quale, insieme a tanti altri, porta avanti questa Scuola del Sacro Cuore.

E sono contento di aver visto nel Regno del Bahrein un luogo di incontro e di dialogo tra culture e credo diversi. E ora, guardando a voi, che non siete della stessa religione e non avete paura di stare insieme, penso che senza di voi questa convivenza delle differenze non sarebbe possibile. E non avrebbe futuro! Nella pasta del mondo, siete voi il lievito buono destinato a crescere, a superare tante barriere sociali e culturali e a promuovere germogli di fraternità e di novità. Siete voi giovani che, come inquieti viaggiatori aperti all’inedito, non temete di confrontarvi, di dialogare, di “fare rumore” e di mescolarvi con gli altri, diventando la base di una società amica e solidale. E questo, cari amici, è fondamentale nei contesti complessi e plurali in cui viviamo: far cadere certi steccati per inaugurare un mondo più a misura d’uomo, più fraterno, anche se ciò significa affrontare numerose sfide. Su questo, prendendo spunto dalle vostre testimonianze e dai vostri interrogativi, vorrei rivolgervi tre piccoli inviti, non tanto per insegnarvi qualcosa, quanto per incoraggiarvi.

Il primo invito: abbracciare la cultura della cura. Suor Rosalyn ha usato questa espressione: “cultura della cura”. Prendersi cura significa sviluppare un atteggiamento interiore di empatia, uno sguardo attento che ci porta fuori da noi stessi, una presenza gentile che vince l’indifferenza e ci spinge a interessarci degli altri. Questa è la svolta, l’inizio della novità, l’antidoto contro un mondo chiuso che, impregnato di individualismo, divora i suoi figli; contro un mondo imprigionato dalla tristezza, che genera indifferenza e solitudine. Mi permetto di dirvi: quanto male fa lo spirito di tristezza, quanto male! Perché se non impariamo a prenderci cura di ciò che ci sta attorno – degli altri, della città, della società, del creato – finiamo per trascorrere la vita come chi corre, si affanna, fa tante cose, ma, alla fine, rimane triste e solo perché non ha mai gustato fino in fondo la gioia dell’amicizia e della gratuità. E non ha dato al mondo quel tocco unico di bellezza che solo lui, o lei, e nessun altro poteva dare. Da cristiano, penso a Gesù e vedo che il suo agire è sempre stato animato dalla cura. Ha curato le relazioni con tutti coloro che incontrava nelle case, nelle città e lungo il cammino: ha guardato negli occhi le persone, ha prestato orecchio alle loro richieste di aiuto, si è fatto vicino e ha toccato con mano le loro ferite. Voi, guardate le persone negli occhi? Gesù è entrato nella storia a dirci che l’Altissimo ha cura di noi; a ricordarci che stare dalla parte di Dio vuol dire prendersi cura di qualcuno e di qualcosa, specialmente dei più bisognosi.

Amici, quanto è bello diventare cultori della cura, artisti delle relazioni! Ma ciò richiede, come tutto nella vita, un allenamento costante. E allora non dimenticatevi di avere anzitutto cura di voi stessi: non tanto dell’esterno, ma dell’interno, della parte più nascosta e preziosa di voi. Qual è? La vostra anima, il vostro cuore! E come si fa a curare il cuore? Provate ad ascoltarlo in silenzio, a ritagliare spazi per stare a contatto con la vostra interiorità, per sentire il dono che siete, per accogliere la vostra esistenza e non farvela sfuggire di mano. Non vi accada di essere “turisti della vita”, che la guardano solo all’esterno, superficialmente. E nel silenzio, seguendo il ritmo del vostro cuore, parlate a Dio, raccontategli di voi stessi, e anche di coloro che incontrate ogni giorno e che Lui vi dona come compagni di viaggio. Portategli i volti, le situazioni liete e dolorose, perché non c’è preghiera senza relazioni, così come non c’è gioia senza amore.

E l’amore – voi lo sapete – non è una telenovela o un film romantico: amare è avere a cuore l’altro, prendersi cura dell’altro, offrire il proprio tempo e i propri doni a chi ne ha bisogno, rischiare per fare della vita un dono che genera ulteriore vita. Rischiare! Amici, per favore, non dimenticatevi mai una cosa: siete tutti – nessuno escluso – un tesoro, un tesoro unico e prezioso. Dunque, non tenete la vita in cassaforte, pensando che sia meglio risparmiarsi e che il momento di spenderla non sia ancora venuto! Molti di voi sono qui di passaggio, per motivi lavorativi e spesso per un tempo determinato. Se però viviamo con la mentalità del turista, non cogliamo il momento presente e rischiamo di buttare via pezzi interi di vita! Che bello, invece, lasciare adesso una traccia buona nel cammino, prendendosi cura della comunità, dei compagni di classe, dei colleghi di lavoro, del creato… Ci fa bene chiedercelo: io, che traccia sto lasciando ora, qui dove vivo, nel luogo dove la Provvidenza mi ha messo?

Questo è il primo invito, la cultura della cura; se la abbracciamo, contribuiamo a far crescere il seme della fraternità. Ed ecco il secondo invito che vorrei rivolgervi: seminare fraternità. Mi è piaciuto quello che hai detto tu, Abdulla: “Bisogna essere campioni non solo nei campi da gioco, ma nella vita!”. Campioni fuori dal campo. È vero, siate campioni di fraternità, fuori dal campo!Questa è la sfida di oggi per vincere domani, la sfida delle nostre società, sempre più globalizzate e multiculturali. Vedete, tutti gli strumenti e la tecnologia che la modernità ci offre non bastano a rendere il mondo pacifico e fraterno. Lo stiamo vedendo: i venti di guerra, infatti, non si placano con il progresso tecnico. Constatiamo con tristezza che in molte regioni le tensioni e le minacce aumentano, e a volte divampano nei conflitti. Ma ciò spesso accade perché non si lavora sul cuore, perché si lasciano dilatare le distanze nei riguardi degli altri, e così le differenze etniche, culturali, religiose e di altro genere diventano problemi e paure che isolano anziché opportunità per crescere insieme. E quando sembrano più forti della fraternità che ci lega, si rischia lo scontro.

A voi giovani, che siete più diretti e più capaci nel generare contatti e amicizie, superando i pregiudizi e gli steccati ideologici, vorrei dire: siate seminatori di fraternità e sarete raccoglitori di futuro, perché il mondo avrà futuro solo nella fraternità! È un invito che trovo al cuore della mia fede. «Chi infatti – dice la Bibbia – non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede. E questo è il comandamento che abbiamo da lui: chi ama Dio, ami anche suo fratello» (1 Gv 4,20-21). Sì, Gesù chiede di non slegare mai l’amore per Dio da quello per il prossimo, facendoci noi stessi prossimi di tutti (cfr Lc 10,29-37). Di tutti, non solo di chi ci sta simpatico. Vivere da fratelli e sorelle è la vocazione universale affidata a ogni creatura. E voi giovani – soprattutto voi –, davanti alla tendenza dominante di restare indifferenti e mostrarsi insofferenti agli altri, addirittura di avallare guerre e conflitti, siete chiamati a «reagire con un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole» (Fratelli tutti, 6). Le parole non bastano: c’è bisogno di gesti concreti portati avanti nel quotidiano.

Poniamoci anche qui alcune domande: io sono aperto agli altri? Sono amico o amica di qualche persona che non rientra nel mio giro di interessi, che ha credo e usanze diversi da me? Cerco l’incontro o resto sulle mie? La strada è quella che in poche parole ci ha detto Nevin: “creare buone relazioni”, con tutti. In voi giovani è vivo il desiderio di viaggiare, conoscere nuove terre, superare i confini dei soliti posti. Vorrei dirvi: sappiate viaggiare anche dentro di voi, allargare le frontiere interiori, perché cadano i pregiudizi sugli altri, si restringa lo spazio della diffidenza, si abbattano i recinti della paura, germogli l’amicizia fraterna! Anche qui, lasciatevi aiutare dalla preghiera, che allarga il cuore e, aprendoci all’incontro con Dio, ci aiuta a vedere in chi incontriamo un fratello e una sorella. A questo proposito, sono belle le parole di un profeta che dice: «Forse non ci ha creati un unico Dio? Perché dunque agire con perfidia l’uno contro l’altro?» (Ml 2,10). Società come questa, con una notevole ricchezza di credo, tradizioni e lingue diverse, possono diventare “palestre di fraternità”. Qui siamo alle porte del grande e multiforme continente asiatico, che un teologo ha definito «un continente di lingue» (A. Pieris, in Teologia in Asia, Brescia 2006, 5): sappiate armonizzarle nell’unica lingua, la lingua dell’amore, da veri campioni di fraternità!

Ancora un terzo invito vorrei farvi: riguarda la sfida di fare delle scelte nella vita. Lo sapete bene, dall’esperienza di ogni giorno: non esiste una vita senza sfide da affrontare. E sempre, di fronte a una sfida, come davanti a un bivio, bisogna scegliere, mettersi in gioco, rischiare, decidere. Ma questo richiede una buona strategia: non si può improvvisare, vivendo solo di istinto o solo all’istante! E come si fa a prepararsi, ad allenare la capacità di scegliere, la creatività, il coraggio, la tenacia? Come affinare lo sguardo interiore, imparare a giudicare le situazioni, a cogliere l’essenziale? Si tratta di crescere nell’arte di orientarsi nelle scelte, di prendere le giuste direzioni. Per questo, il terzo invito è fare delle scelte nella vita, scelte giuste.

Tutto questo mi è venuto in mente ripensando alle domande di Merina. Sono interrogativi che esprimono proprio il bisogno di capire la direzione da prendere nella vita – è coraggiosa, lei, per come ha detto le cose! E posso dirvi la mia esperienza: ero un adolescente come voi, come tutti, e la mia vita era la vita normale di un ragazzo. L’adolescenza – lo sappiamo – è un cammino, è una fase di crescita, un periodo in cui ci affacciamo alla vita nei suoi aspetti a volte contraddittori, affrontando per la prima volta certe sfide. Ebbene, il mio consiglio qual è? Andare avanti senza paura, e mai da soli! Due cose: andare avanti senza paura e mai da soli. Dio non vi lascia soli ma, per darvi una mano, attende che gliela chiediate. Egli ci accompagna e ci guida. Non con prodigi e miracoli, ma parlando delicatamente attraverso i nostri pensieri e i nostri sentimenti; e anche mediante i nostri professori, i nostri amici, i nostri genitori, e tutte le persone che vogliono aiutarci.

Bisogna allora imparare a distinguere la sua voce, la voce di Dio che ci parla. E come impariamo questo? Come ci dicevi tu, Merina: attraverso la preghiera silenziosa, il dialogo intimo con Lui, custodendo nel cuore quello che ci fa bene e ci dà pace. La pace è un segno della presenza di Dio. Questa luce di Dio illumina il labirinto di pensieri, emozioni e sentimenti in cui spesso ci muoviamo. Il Signore desidera rischiarare la vostra intelligenza, i vostri pensieri più intimi, le aspirazioni che portate nel cuore, i giudizi che maturano dentro di voi. Vuole aiutarvi a distinguere ciò che è essenziale da ciò che è superfluo, ciò che è buono da ciò che fa male a voi e ad altri, ciò che è giusto da ciò che genera ingiustizia e disordine. A Dio nulla è estraneo di quanto accade in noi, nulla, ma spesso siamo noi a estraniarci da Lui, a non affidargli le persone e le situazioni, a chiuderci nel timore e nella vergogna. No, nutriamo nella preghiera la certezza consolante che il Signore veglia su di noi, che non prende sonno ma ci guarda e ci custodisce sempre.

Amici, giovani, l’avventura delle scelte non va portata avanti da soli. Permettetemi perciò di dirvi un’ultima cosa: cercate sempre, prima dei suggerimenti in internet, dei buoni consiglieri nella vita, persone sagge e affidabili che possano orientarvi, aiutarvi. Prima questo. Penso ai genitori e agli insegnanti, ma anche agli anziani, ai nonni, e a un bravo accompagnatore spirituale. Ognuno di noi ha bisogno di essere accompagnato nella strada della vita! Ripeto quello che vi ho detto: mai soli! Abbiamo bisogno di essere accompagnati nella strada della vita.

Cari giovani, abbiamo bisogno di voi, della vostra creatività, dei vostri sogni e del vostro coraggio, della vostra simpatia e dei vostri sorrisi, della vostra gioia contagiosa e anche di quel pizzico di follia che voi sapete portare in ogni situazione, e che aiuta a uscire dal torpore delle abitudini e degli schemi ripetitivi in cui a volte incaselliamo la vita. Da Papa voglio dirvi: la Chiesa è con voi e ha tanto bisogno di voi, di ciascuno di voi, per ringiovanire, esplorare nuovi sentieri, sperimentare nuovi linguaggi, diventare più gioiosa e ospitale. Non perdete mai il coraggio di sognare e di vivere in grande! Fate vostra la cultura della cura e diffondetela; diventate campioni di fraternità; affrontate le sfide della vita lasciandovi orientare dalla creatività fedele di Dio e da buoni consiglieri. E da ultimo, ricordatevi di me nelle vostre preghiere. Io farò altrettanto per voi, portandovi nel cuore. Grazie!

God be with you! Allah ma’akum! [Dio sia con voi]