La maldicenza affonda le sue radici nella storia dell’umanità. Fin dall’antichità, la diffusione di parole denigratorie, spesso prive di fondamento, ha influenzato la convivenza sociale, assumendo forme diverse a seconda del contesto culturale. Filosofi, scrittori e pensatori hanno analizzato a fondo questo fenomeno, mettendo in luce i pericoli che esso rappresenta per la dignità individuale e la coesione sociale.
Papa Francesco, in un’omelia del 17 maggio 2018 a Santa Marta, ha condannato l’uso della calunnia e della diffamazione come strumenti di potere: «Anche oggi questo metodo è molto usato. Per esempio, nella vita civile e politica, quando si vuole compiere un colpo di Stato, i media iniziano a screditare dirigenti e persone di rilievo con calunnie e diffamazioni. Così, si sporca la loro reputazione, interviene la giustizia, li condanna e, alla fine, il colpo di Stato è fatto. È un sistema tra i più disdicevoli».
Spesso, anche nei nostri ambienti ecclesiastici, si verificano dinamiche simili. Alcuni personaggi frequentano la Parrocchia, l’Oratorio, gli “ambienti clericali”, non mossi da fede autentica (a volte non hanno ricevuto neppure tutti i sacramenti!), ma da dinamiche personali e relazionali che poco hanno a che fare con il Vangelo. Inseriti in un oratorio, troveranno presto un “nemico” da contrastare; in sagrestia, si scontreranno con fedeli o ministranti; nel Centro Pastorale, individueranno una “nemica” da colpire. [Ne abbiamo parlato qui] Quando li ascolti, anche all'interno del circolato (unico ed irripetibile) che si sono creati, li senti sempre parlare male del prete, del vescovo, "degli ori, del camice, delle candele". Questo comportamento non è casuale, ma sintomo di un’insofferenza interiore che si manifesta attraverso la creazione costante di tensioni e conflitti.
Un malessere profondo
Alfred Adler sosteneva che il bisogno di sminuire gli altri deriva da un profondo senso di inferiorità e insicurezza. Chi diffonde pettegolezzi cerca inconsciamente di elevare sé stesso distruggendo la reputazione altrui. Anche Carl Jung affrontò il tema, parlando dell’ombra, quella parte della psiche che raccoglie gli aspetti repressi e meno accettati di noi stessi. Spesso, chi indulge nel gossip proietta sugli altri le proprie frustrazioni, trovando sollievo nell’attaccare ciò che teme o non accetta di sé. Pensiamo, ad esempio, a coloro che parlano spesso di omosessualità nei nostri ambienti, individuando tutti come "omosessuali" o "persone di cui avere paura": sostanzialmente non l’accettano in sé stessi e la proiettano su tutti gli altri.
Hannah Arendt, nel riflettere sulla banalità del male, evidenziava come le dinamiche di esclusione e denigrazione possano diventare strumenti di controllo sociale. Il gossip e la calunnia non sono mai innocui: creano narrazioni distorte, rafforzano pregiudizi e distruggono relazioni. Pensiamo, ad esempio, a un parrocchiano che riferisce informazioni false su una persona, laico o sacerdote, al proprio parroco. Qual è il suo obiettivo? Magari eliminare una “concorrenza” scomoda o ottenere maggiore considerazione. Oppure immaginiamo un sacerdote che scredita un confratello davanti ad altri preti o al proprio vescovo. Perché lo fa? Probabilmente per insicurezza, per bisogno di affermarsi a scapito degli altri.
Qualcuno sostiene che è impossibile mettere a tacere chi è, per natura, un “serpente dalla lingua lunga”. Tuttavia, la storia del pensiero ci insegna che combattere la maldicenza è possibile. Come? Attraverso l’educazione alla verità e alla responsabilità della parola.
«E qui, in questo momento che precede immediatamente la nostra comunione con Cristo, unificatore di noi suoi seguaci e suoi membri, rinnoviamo la nostra, interiore maniera di pensare e di agire (cfr. Eph. 4, 23); rinunciamo allo spirito di emulazione e di discordia, alla sottile tentazione della maldicenza fra noi fratelli; e, se bisogno vi fosse, allarghiamo gli animi al perdono per chiunque ci avesse usato torto» San Paolo VI
Disarmare le parole
Già Aristotele considerava il linguaggio essenziale per la costruzione della società, ma ammoniva sui suoi rischi, se usato in modo improprio. Papa Francesco, in una lettera inviata al Corriere della Sera il 14 marzo 2025, ha ribadito la necessità di un linguaggio responsabile: «Dobbiamo disarmare le parole, per disarmare le menti e disarmare la Terra. C’è un grande bisogno di riflessione, di pacatezza, di senso della complessità». Anche San Tommaso d’Aquino, nella Summa Theologiae, definiva la maldicenza un peccato contro la giustizia, poiché priva ingiustamente una persona della sua buona reputazione. Sant’Agostino, dal canto suo, paragonava la lingua a un’arma capace di infliggere ferite profonde.
La sfida della verità: un cammino possibile
Nel mondo dei social media, le calunnie e le teorie del complotto si diffondono in un istante, ne abbiamo parlato anche in questo video. Resistere alla tentazione del pettegolezzo non è solo un esercizio spirituale, ma anche un atto di civiltà. Immanuel Kant, nella Critica della ragion pratica, suggeriva un principio etico fondamentale: le nostre parole dovrebbero sempre rispondere a criteri di verità e responsabilità, evitando menzogne e danni gratuiti.
In definitiva, la maldicenza è un male diffuso, ma non invincibile. Scegliere di parlare con verità e responsabilità è un passo essenziale per costruire relazioni autentiche e una comunità che possa dirsi realmente cristiana. Papa Francesco, commentando il Vangelo nell'Angelus del 5 febbraio 201, disse: «La missione dei cristiani nella società è quella di dare “sapore” alla vita con la fede e l’amore che Cristo ci ha donato, e nello stesso tempo di tenere lontani i germi inquinanti dell’egoismo, dell’invidia, della maldicenza, e così via. Questi germi rovinano il tessuto delle nostre comunità, che devono invece risplendere come luoghi di accoglienza, di solidarietà, di riconciliazione. Per adempiere a questa missione, bisogna che noi stessi per primi siamo liberati dalla degenerazione corruttrice degli influssi mondani, contrari a Cristo e al Vangelo; e questa purificazione non finisce mai, va fatta continuamente, va fatta tutti i giorni!»
F.P.
Silere non possum