Diocesi di Brescia

Domenica 21 Aprile 2024, detta del Buon Pastore, S.E.R. Mons. Pierantonio Tremolada ha celebrato la Santa Messa nella Parrocchia di San Lorenzo Martire in Palosco (BG) in occasione dei 580 anni dalla costruzione della Chiesa Parrocchiale e dei 240 anni dalla seconda dedicazione da parte dei vescovi di Brescia e Bergamo. La comunità parrocchiale, guidata da don Marco Marella, ha vissuto questo momento con una preparazione iniziata il 6 aprile con una predicazione di don Luigi M. Epicoco sul tema "essere parrocchia oggi". 

Al termine della celebrazione odierna il vescovo Pierantonio ha anche svelato il logo del Giubileo che verrà posto sul portone della Chiesa. Un membro del consiglio pastorale ha donato al vescovo - in vista del mese di maggio - una madonna col bambino in terracotta. 

Il presule ha ricordato: «Cosa vuol dire dare la vita per le persone che si amano? Morire per loro? Perdere la vita? Direi che questo è il punto estremo. Ci sono, però, tanti modi di dare la vita per gli altri che sperimentiamo nella vita quotidiana. Proviamo a pensarci, ci sono diversi gradi dell’amore sincero verso gli altri». Tremolada ha offerto tre atteggiamenti con cui il cristiano deve rapportarsi agli amici: «Accoglienza, pazienza e perdono». Ha sottolineato: «Quando riceviamo qualcosa che ci ferisce, quando gli altri si comportano in una maniera che riteniamo ingiusta, quando rispondono con l’ingratitudine al bene che stiamo compiendo. Ecco allora che è necessario perdonare quando sbagliano e i loro sbagli si ripercuotono su di noi, allora lì l’amore prende la forma del perdono». 

F.P.

Silere non possum 

Cari fratelli e sorelle, ci mettiamo in ascolto della Parola del Signore. Idealmente mi metto anch’io un po’ nel solco di quell’ascolto della Parola che avete vissuto questa settimana. È una grazia poter accogliere il dono della parola di Dio e lasciarci illuminare da questa che possiamo considerare “una lampada sul nostro cammino”. Una immagine molto bella questa che troviamo in uno dei salmi. Si cammina su un sentiero, di giorno, poi arriva la notte e non si è ancora arrivati a destinazione. Bisogna proseguire nel cammino. Avere una lampada che permette di capire bene dove stiamo andando è qualcosa dà conforto. La Parola di Dio è capace di fare proprio questo, di illuminare la strada che stiamo percorrendo e ci aiuta anche a comprendere sempre meglio il significato degli eventi della vita, le circostanze, le occasioni, proprio come questo anniversario che è importante per una comunità ed è l’occasione per capire meglio qual è il cammino che siamo chiamati a compiere.

Vorrei partire dal brano del Vangelo che ci offre la liturgia oggi. Questo brano appartiene al capitolo decimo del Vangelo di Giovanni. Gesù usa un’immagine che è quella del Pastore. È un’immagine che a quel tempo era molto consueta, cioè i pastori si vedevano continuamente. Per noi oggi è un po’ più difficile da comprendere. Gesù si paragona al “pastore vero” che è “buono”. Io sono il buon pastore, dice Gesù. Qual è la caratteristica del Pastore vero che è buono?

Nel suo comportamento suscita un’impressione molto bella, molto positiva. La caratteristica fondamentale del Buon Pastore è che dà la vita per il suo gregge. Se ci pensiamo non è così scontato che un pastore dia la vita per le sue pecore. Il mercenario - dice Gesù - fa esattamente il contrario. Quando vede arrivare il lupo, che le può sbranare, fugge, scappa. Al contrario, il Pastore Buono lo affronta perché vuole difendere le sue pecore, perché le ama, perché ormai si è affezionato a loro. Il Pastore – dice Gesù - le conosce una per una. Succedeva proprio così a quel tempo. I pastori conoscevano le loro pecore una per una, il loro nome, davano a loro un nome e segnavano magari con un colore. Così è del rapporto che si viene a creare tra il Signore Gesù e noi. Questa immagine Gli serve per farci capire che tipo di rapporto lui instaura con noi, con ciascuno di noi e con l’umanità intera. Non vuol certo dire, questo paragone, che noi siamo delle pecore. Noi dobbiamo concentrare l’attenzione sul tipo di rapporto che si viene a creare tra il Pastore e il suo gregge perché questo ci aiuta a capire come il Signore ci guarda, ci vede. Lui dà la vita. Dare la vita è la caratteristica dell’amore nella sua forma più alta. Gesù l’aveva detto ai suoi discepoli: “Non c’è amore più grande di questo: dare la vita per le persone che si amano, per i propri amici”. Questo farà Gesù. Le parole che Lui pronuncia qui nel capitolo decimo del Vangelo di Giovanni preparano i discepoli all’esperienza della sua passione che verrà raccontata a partire dal capitolo diciottesimo, quindi molto più avanti. Gesù da subito vuol dire ai suoi discepoli: “vivrete un’esperienza drammatica, tragica, vi spaventerete quando mi vedrete sulla croce, però ricordatevi, quello è il modo in cui io mi dimostro “buon pastore”, vero pastore. Io nei vostri confronti nutro questo sentimento sincero di affetto di dedizione, io per voi sono disposto a dare la vita e infatti la darà salendo sulla croce e diventando il redentore dell’umanità. Dare la vita, questo allora è il messaggio che ci raggiunge. Da una parte sentiamoci destinatari di questo amore straordinario che è l’amore del Signore crocifisso e risorto, dall’altra sentiamoci invitati a fare lo stesso. Cosa vuol dire dare la vita per le persone che si amano? Morire per loro? Perdere la vita? Direi che questo è il punto estremo. Ci sono, però, tanti modi di dare la vita per gli altri che sperimentiamo nella vita quotidiana. Proviamo a pensarci, ci sono diversi gradi dell’amore sincero verso gli altri.

Il primo gradino è quello dell’accoglienza. Accogliere gli altri. Ciò significa superare certe chiusure, superare un senso di estraneità, addirittura sentire la presenza degli altri come qualcosa che ci dà fastidio. Al contrario: l’accoglienza, l’apertura, avere piacere che gli altri si facciano presenti nella nostra vita, cercare di capirli andando loro incontro. L’accoglienza è il primo passo.

Il secondo gradino è la pazienza. Voler bene significa anche accettare che nel tempo le cose possano cambiare, sapere che non sempre gli atteggiamenti sono quelli giusti, sapere che occorre dare tempo alle persone anche per far emergere il meglio di sé e non fermarsi alle prime impressioni. Anche questo vuol dire amare seriamente e poi c’è il perdono.

Il terzo gradino è il perdono, forse il più difficile. Quando riceviamo qualcosa che ci ferisce, quando gli altri si comportano in una maniera che riteniamo ingiusta, quando rispondono con l’ingratitudine al bene che stiamo compiendo. Ecco allora che è necessario perdonare quando sbagliano e i loro sbagli si ripercuotono su di noi, allora lì l’amore prende la forma del perdono.

Poi c’è certo l’ultima forma estrema, un ultimo gradino, che è quella del sacrificio di sé. Perdo io la vita perché tu possa godere la tua, perché tu possa continuare a vivere, perché tu possa dare alla tua vita la sua forma più bella. È Il sacrificio che compiono ogni giorno, per esempio, i genitori per i loro figli. È un sacrificio quotidiano. Si ritirano loro per fare spazio agli altri. È il sacrificio di chi prende sul serio il compito che sta vivendo dentro la società, il suo lavoro, la sua responsabilità. Ecco, dunque, che si può arrivare a punti molto alti di sacrificio nel corso della propria vita quotidiana. Ci conforta sapere che quando tentiamo di andare in questa direzione possiamo contare su Colui che ci ha amato sino alla fine, sul Buon Pastore che per noi dà la vita e che ci sostiene nell’impegno di testimonianza. Quell’impegno che come ricordate, dal punto di vista del Signore si concentra su una cosa molto chiara, semplice, perché Lui ci ha dato solo un comandamento che riassume tutti gli altri: “Amatevi gli uni gli altri come vi ho amato io”. Questo è ciò che siamo chiamati a fare come cristiani.

Don Marco [Marella] ci ha ricordato all’inizio una frase di Papa Francesco: «Non siamo in un'epoca di cambiamento, ma in un cambiamento d'epoca». Questo significa che tante cose non sono più scontate anche dal punto di vista della religione. Ciò non vuol dire che la nostra tradizione si sbriciola. Noi siamo molto grati alle generazioni precedenti per quello che ci hanno consegnato. Basti guardare solo a questa chiesa. Che meraviglia! L’avete costruita voi, l’hanno costruito quelli che sono venuti prima di voi. Così si deve dire di tante cose. Però, certo, oggi rispetto a ieri siamo chiamati ad avere una consapevolezza maggiore della nostra fede e a presentarci in un certo modo. Non dobbiamo mai dimenticare che l’essenza del cristianesimo sta in questa capacità di testimoniare l’amore di Dio per l’umanità. Dobbiamo essere persone che sanno amare. Oggi i cristiani devono presentarsi soprattutto così. Persone che si vogliono bene e che vogliono bene e che sono capaci anche di vivere quell’accoglienza, quella costanza e quel sacrificio che il Signore ci ha dimostrato. Nell’anniversario che ricordiamo io vorrei augurarvi proprio questo: “Nel vostro cammino il Signore vi accompagni perché questa testimonianza d’amore sia vera e sia con costante”.

+ Pierantonio Tremolada