Jesuit Jože Roblek justifies Rupnik. For him they are not crimes but petty sins

Se nelle scorse settimane si sono susseguite voci in merito al destino di Marko Ivan Rupnik, il gesuita sloveno non si scoraggia e continua a muovere i suoi fantocci come delle vere e proprie pedine. Le attività che hanno sempre mosso quest’uomo sono state tutte unicamente legate al denaro. Di Dio, della Chiesa e dei santi, a Rupnik non importa assolutamente nulla.

In una Chiesa che ancora non vuole prendere cognizione di una grave patologia che la affligge, il caso dell’ artista sloveno diviene la bilancia sulla quale si misurerà il reale intento di combattere chi abusa del proprio potere e delle persone a lui affidate.

Già il 02 dicembre, mentre a Borgo Santo Spirito litigavano per stendere un comunicato stampa imbarazzante, molti fedeli adepti della setta di Rupnik si spesero per dire che dietro alle nostre rivelazioni vi era il cardinale sloveno Franc Rodé. Chiaramente queste affermazioni sono destituite di qualsiasi fondamento in quanto l’ex prefetto del dicastero per “i religiosi” non ha nulla a che fare con il Dicastero per la Dottrina della Fede.

Rupnik, però, proprio come tutti coloro che si fingono santoni perseguitati, ha da subito indirizzato su quest’uomo tutte le sue illazioni. Perchè? Perchè Franc Rodé fu uno dei pochi che, già in tempi non sospetti, rivelò che questo gesuita era pericoloso. 

Il problema, come al solito, è che quando i vescovi parlano nessuno gli da retta e si bada sempre più alle tasche che si possono riempire con molta facilità. Non dimentichiamo che abbiamo migliaia di persone, chierici ma sopratutto laici, che millantano visioni, grandi doni spirituali e capacità. Tutti soggetti instabili mentalmente che, però, attirano chi ha le tasche piene e portano, direttamente o indirettamente, un sacco di soldi nelle casse delle diverse associazioni.

Come avviene spesso nelle nostre comunità, quindi, la risposta di Rupnik alle accuse rivoltegli è stata quella di trovare il fantomatico manovratore. Tutte le persone plagiate da ques’uomo, non si sono chieste se le accuse sono vere e verificate. No. Hanno iniziato a pensare che il problema era chi lo accusava. Quindi i cattivi sono quelli di Silere non possum che hanno reso pubblica la questione e si sono stancati di vedere “abusatori di serie a” e “abusatori di serie b”. 

Jože Roblek difende il "peccatore Rupnik"

Fra le persone instabili mentalmente, possiamo certamente annoverare il gesuita Jože Roblek. L'intervista che ha rilasciato nei giorni scorsi a Reporter è la dimostrazione che quest'uomo non solo copre Marko Ivan Rupnik ma ha evidenti problemi per i quali bisogna interrogarsi se permettergli di continuare ad esercitare il proprio ministero sacerdotale. Nell'intervista, il gesuita, che presta servizio presso l'Istituto di Santa Teresa a Videm-Dobrepolje, parla del Rupnik Case e in merito alle accuse dice: "Certo che [Rupnik] ha dei peccati, ma chi non ne ha?" e ancora "L'attacco a Rupnik è un attacco al Papa, il che mi sembra abbastanza chiaro".  Queste affermazioni sono gravissime e non possono non essere stigmatizzate. La Compagnia di Gesù, peraltro, deve prendersi la responsabilità delle parole pronunciate da un suo membro e avviare i necessari procedimenti. In numerose vicende, nella Chiesa, non abbiamo chiaro cosa è delitto e cosa è peccato. Tutto ciò che riguarda il foro interno, il peccato quindi, è certamente qualcosa che il penitente tratta in confessionale con il confessore e con Dio solo. Ciò che è delitto, invece, deve essere perseguito e punito con l'unico fine di salvaguardare l'anima, sia della vittima, sia del criminale. Non dimentichiamo, poi, la questione comunitaria, ovvero ciò che la Chiesa soffre di quanto viene commesso dai suoi singoli membri. "Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme", scrive Paolo ai Corinti.

Fra le persone instabili mentalmente, possiamo certamente annoverare il gesuita Jože Roblek. L’intervista che ha rilasciato nei giorni scorsi a Reporter è la dimostrazione che quest’uomo non solo copre Marko Ivan Rupnik ma ha evidenti problemi per i quali bisogna interrogarsi se permettergli di continuare ad esercitare il proprio ministero sacerdotale.

Nell’intervista, il gesuita, che presta servizio presso l’Istituto di Santa Teresa a Videm-Dobrepolje, parla del Rupnik Case e in merito alle accuse dice“Certo che [Rupnik] ha dei peccati, ma chi non ne ha?” e ancora “L’attacco a Rupnik è un attacco al Papa, il che mi sembra abbastanza chiaro”. 

Queste affermazioni sono gravissime e non possono non essere stigmatizzate. La Compagnia di Gesù, peraltro, deve prendersi la responsabilità delle parole pronunciate da un suo membro e avviare i necessari procedimenti.

In numerose vicende, nella Chiesa, non abbiamo chiaro cosa è delitto e cosa è peccato. Tutto ciò che riguarda il foro interno, il peccato quindi, è certamente qualcosa che il penitente tratta in confessionale con il confessore e con Dio solo. Ciò che è delitto, invece, deve essere perseguito e punito con l’unico fine di salvaguardare l’anima, sia della vittima, sia del criminale. Non dimentichiamo, poi, la questione comunitaria, ovvero ciò che la Chiesa soffre di quanto viene commesso dai suoi singoli membri. “Se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme”, scrive Paolo ai Corinti.

Ancora una volta, ribadiamo: Rupnik è sicuramente colpevole di aver assolto il complice contro il de sexto. Ora, è necessario che si appuri la verità sui presunti abusi sulle consacrate del Centro Aletti e della Comunità Loyola.

Questi procedimenti, però, devono avvenire garantendo i diritti di tutte le persone coinvolte e permettendo a tutte le parti di partecipare.

Roblek dice: Anche un superiore non dovrebbe dire pubblicamente che Rupnik ha assolto una donna con cui ha avuto rapporti dai suoi peccati in confessione”. Il gesuita non ha ben chiaro cosa è la differenza fra peccato e delitto. Il fatto che abbia fatto il padre spirituale per molti anni è molto preoccupante e bisogna immediatamente prendere provvedimenti. Oggi, nella Chiesa, l’ignoranza in merito a questa distinzione fra peccato e delitto, sta portando tantissimi problemi. 

Che senso avrebbero, la scomunica o i provvedimenti adottati contro un soggetto, se quelli restassero segreti? Interessante che in questa intervista, il giornalista non abbia chiesto a Roblek come mai Rupnik continuava a celebrare la Santa Messa in pubblico pur avendo i divieti imposti dalla Compagnia di Gesù?

Jože Roblek utilizza una intera intervista per infangare un cardinale di Santa Romana Chiesa di 88 anni, accusandolo di cose false e non verificate. Perchè lo fa? Nessun gesuita ha pensato di fare qualcosa?

In ipotesi: se Rode fosse brutto e cattivo, Rupnik di conseguenza non sarebbe colpevole di questi delitti? Potremmo benissimo avere un cardinale cattivo ed un gesuita abusatore. L’una non esclude l’altra.

Nei confronti di Marko Rupnik, però, vi sono dei provvedimenti gravissimi, nei confronti del cardinale Rode no. Questa è l’unica Verità.  Vergognoso è anche l’attacco fatto all’Arcivescovo Stanislav Zore. Se c’è una cosa certa è che quest’uomo sapeva e non ha parlato fino a quando non è stato obbligato dagli eventi. Solo il 22 dicembre i vescovi sono intervenuti. Ben 22 giorni dopo la nostra denuncia. Quell’intervento fu imbarazzante e Zare disse un sacco di bugie. Come può Roblek dire che vogliono “far fuori” Rupnik? 

È chiaro, l’attacco è rivolto a chiunque non ha negato gli eventi. Non dimentichiamo, poi, le gravissime parole pronunciate da questo gesuita che dice che attaccare Rupnik significa attaccare il Papa. Quindi, un uomo vicinissimo a Rupnik dice che il Papa si è schierato dalla sua parte. Possiamo ufficialmente aggiungere, quindi, il caso Rupnik a quello Zanchetta e Maradiaga.

Tutte queste persone, Rupnik compreso, sono gli stessi che hanno sempre disprezzato la Chiesa accusandola di voler essere potente. In sostanza, gente che chiede più di un milione di euro per rifare la cappella di un seminario, dice che la Chiesa è ricca e potente. Gente che vive piena di soldi e nei palazzi di potere, dice che la Chiesa deve essere povera. Persone che non obbediscono ai dettami dell’autorità, dicono che bisogna essere obbedienti. 

Si tratta di quelle persone, come potrete leggere nell’intervista che abbiamo tradotto, che Papa Francesco riceve senza seguire i canali ufficiali. 

Oggi, pur di difendere il potente amico Rupnik, Jože Roblek è disposto a giustificare l’abuso come un “peccato” e non come un delitto. E guai a chi apre bocca.

L.M.
Silere non possum

IL TESTO INTEGRALE DELL'INTERVISTA 

Lei è un sacerdote e un religioso gesuita, proprio come Papa Francesco. Negli ultimi anni, da quando è diventato Papa, ha soddisfatto le sue aspettative e quelle della sua comunità religiosa?

È stata certamente una sorpresa che un gesuita sia stato scelto come Papa, perché non era mai successo nulla del genere. Sant’Ignazio di Loyola (1491-1556), fondatore della Compagnia di Gesù, si opponeva all’elezione di gesuiti come vescovi in quanto si trattava di un onore secolare. Il motivo per cui è stato eletto Papa fu, ovviamente, che all’epoca c’era una grande crisi e si pensava che solo qualcuno che proveniva da una vita concreta potesse risolverla. Papa Francesco, che come cardinale ha vissuto l’esperienza della Chiesa povera argentina, era il più adatto per questo. In Argentina ha vissuto con la gente, con i più poveri tra i poveri. Li incontrava ovunque, usava i mezzi pubblici, ha condiviso tutto con loro e li ha difesi. Durante la guerra civile, con la possibilità della vittoria del comunismo, quando molti presero le armi per combattere, Francesco sostenne il metodo biblico di stare con la gente e di condividere tutto con loro. Dato che è arrivato a Roma con una tale esperienza del mondo, è ovviamente comprensibile che dopo esser stato eletto Papa non abbia accettato di indossare le scarpette rosse e tutto il resto. La sera dopo l’elezione, quando ha salutato la gente e ha detto, imbarazzato, che si sarebbe inginocchiato perché pregassero per lui, c’è stato il silenzio. Questo suo comportamento ha provocato un vero e proprio shock sia nella Chiesa universale che in quella slovena, che vuole essere forte e grande. È interessante notare che ho avuto una visione tre giorni prima della sua elezione una visione che l’elezione sarebbe avvenuta il 13 Marzo 2013, ma non sapevo chi sarebbe stato eletto.

Per spiegargli la situazione della Chiesa slovena, lei voleva incontrare il Papa di persona. Perché un desiderio così forte e come mai è riuscito a incontrarlo già nell’anno della sua elezione, nel dicembre 2013? In quell’occasione, le è stata persino data l’opportunità di concelebrare con il Papa nella Casa di Santa Marta, dove egli vive.

Molte persone che avevano problemi nella Chiesa venivano da me, come sacerdote con quarant’anni di esperienza nella direzione spirituale e nell’accompagnamento, e per questo conoscevo moltissime persone. Sono andato dal provinciale che mi ha detto di poter mettermi in contatto con il Papa solo attraverso il canale ordinario. Quando dissi al nunzio Julius Janusz che volevo andare a Roma per vedere il Papa, senza spiegargli le ragioni e i casi specifici, lui si oppose, assicurando che avrebbe riferito tutto al Vaticano lui stesso. Tuttavia, ho insistito e sono andato da lui più e più volte per chiedergli di lasciarmi andare a Roma. Ma quando mi resi conto che non sarebbe stato possibile farlo tramite lui, dissi alle persone, sia laici che sacerdoti e religiosi, di scrivere lettere. Sono state scritte circa 30 lettere e le ho fatte tradurre tutte in italiano da un confratello. Chiesi ai miei confratelli a Roma di portare le lettere al Papa. Il Superiore, p. Adolf Nikolas a Roma, pensò che sarebbe stato meglio se avessi inviato le lettere all’indirizzo e-mail privato del segretario privato del Papa. L’ho fatto e ho ricevuto i ringraziamenti del Papa per le lettere e una nota sulla data del mio arrivo in Vaticano, in cui si diceva che avrei incontrato prima il cardinale prefetto della Congregazione per i Vescovi, Marc Ouellet, il 9 dicembre, e poi il Papa dopo la Messa del 10 dicembre. Naturalmente il Vaticano ha informato prima il Nunzio della visita prevista.

Quindi le informazioni pubblicate dai media sloveni secondo cui lei sarebbe andato a Roma per vedere il Papa attraverso il nunzio non erano corrette?

Certo che no, ma in seguito tutto è stato fatto attraverso il nunzio, ed è per questo che il Vaticano lo ha in Slovenia. Come hanno riportato i media all’epoca, due giorni dopo la sua visita, il cardinale Franc Rode è stato in udienza dal Papa.

Secondo quanto riportato dai media, due giorni dopo la sua visita, il cardinale Franc Rode è stato in udienza dal Papa e gli ha detto che era favorevole alla nomina dei nuovi arcivescovi secondo la normale procedura canonica, senza interferenze e pressioni da parte di eventuali gruppi di interesse.

Non lo so, ma è stato certamente interessante che due giorni dopo io ho ricevuto una telefonata da p. Ivan Herceg, direttore del programma sloveno di Radio Vaticana, che mi chiedeva cosa avessi fatto per assicurarmi che Rode non fosse più un membro del gruppo per la nomina dei vescovi. Il fatto è che Rode è responsabile di tutti i disaccordi che si sono verificati nella Chiesa slovena. È colpevole sia del crollo finanziario dell’arcidiocesi di Maribor sia di tutte le vendette, soprattutto nei confronti dell’arcivescovo Alojz Uran. A Rode non piaceva il fatto che Uran fosse diventato suo successore e che, dopo la sua nomina ad arcivescovo, avesse proibito il restauro del castello di Goričane, che Rode desiderava tanto. Affidò il restauro al suo amico e direttore della Cartiera di Goričane, Andrej Stegu.

Anche il vescovo di Murska Sobota Peter Štumpf aveva la stesso oppinione del Card. Rode su come si dovesse procedere per la nomina dei vescovi…

È comprensibile, visto che Štumpf era stato nominato vescovo da Rode. Quando tornai da Roma, Štumpf chiese una conferenza in un luogo sconosciuto, dove avrei raccontato ciò che era accaduto a Roma. Accettai di parlare con il vescovo Andrei Glavan, che era l’amministratore dell’arcidiocesi di Lubiana. Gli dissi che ero andato a Roma con il sincero desiderio che il Papa potesse avere un’altra visione della reale situazione della nostra Chiesa vista e vissuta dai laici sul campo, ben presentata nel Piano pastorale sloveno Vieni e vedi (Pridite in poglejte, PiP) del 2012, soprattutto quando parla molto concretamente delle nostre debolezze nella Chiesa. La conversazione è stata molto tesa, lui non era d’accordo su nulla, ma ha accusato i laici di non essere contenti e di andare per la loro strada. Ha preso di mira in particolare il portale web Iskreni.net, dicendo che i leader, Igor Volk e Štefan Kržišnik, non erano affatto cattolici, ma io li difendevo decisamente. Alla fine il vescovo mi ha fatto sapere che era deluso da me, dalla mia attività nella Chiesa, perché non rispettavo i vescovi, che li scavalcavo per arrivare al Papa, perché frequentavo laici non credenti e li sostenevo.

Direbbe che, a causa della sua conversazione con il Papa, lei abbia interferito nella successiva nomina degli arcivescovi?

Non avevo intenzione di influenzare la nomina, perché non sono affari miei. Sono andato a Roma per il cardinale Rode. I miei confratelli a Roma mi dissero che non se ne sarebbe fatto nulla, perché Rode e il cardinale Marc Ouellet sono grandi amici. A quel tempo, Rode era membro permanente della Commissione per la nomina dei vescovi. Sia lui che il cardinale erano di un’orientazione francese, soprattutto Rode, che aveva studiato in Francia. Senza dubbio, Rode è colto e molto capace, ma allo stesso tempo è un uomo con un grande desiderio di ricchezza e fama, di essere al centro dell’attenzione. Non ho letto per intero il suo ultimo libro, ma so che in esso non aveva una buona opinione di Papa Francesco. In un’intervista a Mladina, ha parlato negativamente del Papa. In realtà, non ha a cuore il Papa e, insieme all’arcivescovo Zore e ad altri, sta cercando di allontanare l’attuale nunzio dalla Slovenia, ma finora non ci sono riusciti. Ci sono cose incredibili dietro le quinte.

La sua visita al Papa inizialmente non era nota, ma un mese dopo è stata rivelata. È stato un male o un bene per lei?

Subito dopo la pubblicazione delle foto della mia concelebrazione con il Papa, si è parlato di cosa diavolo avessi fatto a Roma. Certo, le foto rendevano impossibile nascondere l’incontro, ma la divulgazione è stata negativa per la reazione dei miei confratelli che mi hanno chiesto perché fossi andato a Roma. Alcuni mi hanno accusato di essermi offerto io stesso per visitare il Papa, cosa non vera, e nonostante abbia documentato tutto, non mi hanno creduto. Sono stato attaccato anche per i miei post su FB con la richiesta, di come i vescovi si aspettassero che non scrivessi in modo critico sulla Chiesa. Ho scritto molte cose, anche sul mio amico Alojz Uran, che ho sempre seguito. Durante la sua permanenza a Trieste, nessuno poteva venire da lui; poteva venire in Slovenia solo per andare dal medico e a casa di suo nipote. A quel tempo, suo nipote mi chiamò perché potessi stare con lui. E anche prima che fosse espulso dal suo Paese, quando era in ospedale, ho ottenuto il permesso di andare da lui. Poco prima della mia visita, era stato con lui l’allora nunzio apostolico Santos Abril y Castello, che si era comportato male nei confronti di Uran, nonostante la sua salute cagionevole. Mi raccontò di come lo avesse sgridato e gli avesse ordinato di lasciare la Slovenia al più presto, con l’intenzione di lasciare il posto episcopale a un altro. Dopo la partenza del nunzio, quando sono andato a trovarlo, mi ha raccontato come era andata la conversazione con il nunzio e come si sentiva male. Pensava che gli sarebbe venuto un ictus. È incredibile quello che succede dietro le quinte della Chiesa, molto peggio di quello che succede a livello nazionale. Tutto questo è davvero difficile da credere. È davvero difficile accettare e capire perché l’arcivescovo Uran, anche durante la sua grave malattia, sia stato sottoposto a pressioni così intollerabili. Anche in precedenza, quando Uran era solo un vescovo ausiliare, è stato oggetto di vessazioni. Per sbarazzarsi di lui il più possibile, l’arcivescovo lo nominò responsabile degli sloveni all’estero. L’arcivescovo Rode non voleva vederlo in giro, se non altro perché era troppo popolare e gli piaceva visitare la gente semplice. Era proprio questa umanità a renderlo sgradevole, e ancora di più dopo la sua nomina ad arcivescovo, contro le aspettative dello stesso Rode. Prima della sua partenza per Roma, Rode aveva già iniziato il restauro del castello di Goričane insieme al suo amico e direttore della cartiera Andraž Stegu. Quest’ultimo aveva promesso a Rode che il castello sarebbe stato restaurato e che avrebbe potuto viverci finché fosse vissuto. Tutto fu restaurato, ma i soldi finirono, il direttore Stegui aveva un gran bisogno di fallire, così si recò a Roma, dove chiese a Rodet di prestargli del denaro, almeno due milioni di euro, per poter uscire dai debiti causati dal restauro della dimora. La ristrutturazione è costata otto milioni e mezzo di euro, ma il cardinale ha risposto che non erano affari suoi, ma della diocesi. Ha chiesto all’arcidiocesi di Lubiana, ma tutto è stato inutile. Così, come ho scoperto anche nella mia conversazione con Stegu, anche dopo dieci anni il debito non è ancora stato estinto.

Come valuta l’operato dell’arcidiocesi di Lubiana dopo la nomina di Papa Francesco?

Rode è ancora uno dei leader della Chiesa in Slovenia e responsabile di tutto ciò che accade nell’arcidiocesi di Lubiana e nella Chiesa slovena in generale. La sua influenza è iniziata quando è diventato arcivescovo di Lubiana, in un momento in cui l’allora Papa Giovanni Paolo II stava invecchiando, il suo pellegrinare in giro per il mondo era la cosa più importante per lui, e non era più interessato a chi guidasse una Chiesa particolare e a ciò che stava accadendo a casa in termini di finanze, economia, abusi nella Chiesa, ecc. L’arcidiocesi di Lubiana si è buttata sul denaro, sulla ricchezza, ed è questo il problema.

L’anno scorso il Papa ha inviato un inviato speciale dell’Ufficio per gli Affari Economici del Vaticano per verificare le finanze dell’arcidiocesi. La società Metropolitana, creata dall’Arcidiocesi di Lubiana, doveva essere particolarmente sottoposta a verifica.

Anche il processo iniziale della visita apostolica è legato al cardinale Rode. I vescovi Saje di Novo mesto e quello di Celje Maksimilijan si aspettano giustamente che il Visitatore prenda in esame anche la situazione finanziaria delle diocesi più povere, non solo quella della ricca arcidiocesi di Lubiana. Così ora anche loro sono diventati problematici per i vertici della Chiesa. Entrambi sono miei amici nel Signore fin dagli anni del seminario. Infatti, quando erano seminaristi, l’allora arcivescovo, il dr. Alojzij Šuštar, mi chiese di venire a fare il padre spirituale al seminario, che allora era in grande crisi.

In che senso era in crisi?

Nel 1992 c’erano ancora un centinaio di seminaristi e il problema era che l’anziano spirituale non era più all’altezza del compito. Si cercava un sacerdote diocesano più giovane per sostituire il padre spirituale, ma non si era soddisfatti di lui. Su richiesta del rettore, Franc Šuštar, e su richiesta dell’arcivescovo Alojzij Šuštar, sono stato nominato spirituale del seminario di Lubiana. Il rettore e io iniziammo la ristrutturazione del seminario secondo le indicazioni del documento ecclesiastico Pastores Dabo Vobis di Giovanni Paolo II, pubblicato nel marzo dello stesso anno (1992). Nel nostro primo incontro, nell’autunno del 1992, abbiamo presentato il documento del Papa, in particolare la parte in cui parla della formazione spirituale del seminarista. L’attuale vescovo ausiliare di Lubiana, Franc Šuštar, che avevo conosciuto in precedenza, era rettore da un anno. Mi è stato chiesto di introdurre i seminaristi ai vari modi di preghiera indicati nel libretto degli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, ossia l’esame quotidiano, la meditazione e la contemplazione, la lectio divina (lettura spirituale della Bibbia), ecc. Sulla base di questo documento di Giovanni Paolo II, il Rettore e io abbiamo organizzato il primo incontro. Abbiamo presentato il documento e il nostro piano per aiutare i parroci nell’educazione dei ragazzi. Borut Košir (professore presso la cattedra di Diritto ecclesiastico della Facoltà di Teologia dell’Università di Lubiana, op. p. ) si è alzato in piedi in questo incontro, dove c’erano più di 30 sacerdoti, e mi ha attaccato, dicendo che l’educazione dei gesuiti fa schifo e che noi gesuiti non sappiamo come educare, che tutto è allo sbando a Roma alla Gregoriana. Šuštar e io lo guardammo in modo strano, poi Košir si alzò e se ne andò. Non venne alle riunioni successive, anche se era stato invitato. Dopo quell’anno, quando ero in seminario, Košir invitò i dei seminaristi alle sue sedute. A quel tempo, io, come spirituale appena arrivato per cento seminaristi, venivo attaccato pubblicamente, mentre Šuštar, come rettore, non osavano attaccarlo. Eravamo entrambi ingenui e non capivamo cosa stesse succedendo in seminario.

In seguito i contrasti si sono calmati?

Quando Rode divenne arcivescovo, mi lamentai di Košir, ma lui rispose che Košir era l’uomo più di Chiesa di tutti. Poiché Rode non era soddisfatto della mia educazione, mi licenziò senza un addio dopo cinque anni, anche se ero stato nominato per sei anni. Prima di lasciare Lubiana, mi convocò nel suo palazzo episcopale. Mi disse che aveva dovuto licenziarmi a causa di pressioni altrui e aggiunse

che lui era l’arcivescovo e che poteva fare quello che voleva. Gli dissi che il modo in cui mi aveva licenziato non era umano, tanto meno cristiano.

Vi siete poi incontrati di nuovo?

Quello fu il mio ultimo incontro e conversazione con lui. Quando lasciai il seminario come spirituale, non mi salutarono nemmeno e non ricevetti alcun ringraziamento per il mio lavoro. Me ne sono andato come se fossi stato ripudiato, anche se era stato l’arcivescovo Šuštar a chiedere di me per fare il padre spirituale in un momento di grande crisi morale e spirituale del seminario teologico.

Quali sono state le reazioni quando, da sacerdote, ha sostenuto personalmente l’iniziativa civile Dovolj.je, nata per proteggere le vittime di abusi sessuali nella Chiesa?

Quando è stata fondata Dovolj.je, ho dato immediatamente il mio sostegno spirituale all’iniziativa. Sono state convocate due conferenze e io ero soltanto presente ad entrambe, ma quando nella seconda conferenza hanno chiesto le dimissioni dell’arcivescovo Zore, sono stato attaccato dai vertici della Chiesa, che hanno detto che stavo disonorando la Chiesa e che ero contro i sacerdoti. Ho dovuto cambiare il mio indirizzo e-mail e il mio numero di cellulare e sono stato anche minacciato fisicamente, perché il 25 febbraio 2020 sono stato deliberatamente avvelenato con del tè, che mi ha fatto ammalare gravemente. Mi sono ammalato di cancro al colon. Sono stato operato il 30 settembre. Il 6 ottobre sono stato trasferito a Čatež ob Savi, nella casa della diocesi di Novo mesto per sacerdoti anziani. Le suore del Corpus Domini si sono prese cura di me in modo eccellente, tanto che dopo sette mesi sono guarito. Ho descritto tutto ciò che ho vissuto durante questo periodo nel mio libro, Un inaspettato viaggio interiore. L’ho scritto sotto forma di diario. Nel libro ci sono 54 diari. Inizia con il Mercoledì delle Ceneri e termina con la Domenica in Albis.

Perché non è tornato a Lubiana, dove in precedenza aveva tenuto esercizi spirituali nella Casa ignaziana di San Giuseppe?

All’inizio mi era stato detto che sarei tornato da Čatež a Lubiana dai miei confratelli per continuare gli esercizi spirituali, ma il 6 maggio 2021 sono stato portato qui all’Istituto Santa Teresa di Videm- Dobrepolje e da allora sono rimasto qui. Il vescovo Maksimilijan ha detto al mio provinciale che dovevo tornare a Lubiana nella Casa di Esercizi Spirituali di San Giuseppe. In effetti, mi hanno messo a Dravlje, dove ho una stanza, ma vivo e lavoro nella Casa per anziani di Videm-Dobrepolje. In questo periodo ho pubblicato un libro e ho dimostrato ai miei confratelli che non sono un malato di mente. Lo ha dimostrato il dottor Zvezdan Pirtošek, medico di fama mondiale e specialista in disturbi cognitivi. Ora non voglio nemmeno tornare a Lubiana, perché qui mi trovo bene, sono libero, sono necessario come sacerdote e do aiuto spirituale a tutti coloro che ne hanno bisogno, ai residenti della casa di riposo e a tutti coloro che vengono da altri luoghi per questo scopo. Ho abbastanza pace e posso scrivere libri, anche se mi è stato detto che non mi era permesso scrivere nulla su p. Rupnik, ma ho detto loro che ero libero e che potevo farlo. Così ho scritto la mia prima recensione positiva su di lui in Reporter. Il cardinale Franc Rode e l’arcivescovo Zore di Lubiana sono dietro a tutto ciò che viene fatto a padre Rupnik.

Conosce p. Rupnik da molto tempo?

In effetti per tutto il tempo, quando ho vissuto a Dravlje per alcuni anni, gli ho predicato gli esercizi spirituali. Lo incontravo spesso a Roma.

Secondo lei, non ha peccati?

Certo che ha dei peccati, ma chi non ne ha?

Ma è sicuro che non abbia commesso i peccati di cui lo accusano le presunte vittime?

Lo sanno loro, spero che li abbiano confessati e che Dio li abbia perdonati. Chiunque li porta di nuovo in superficie e parli pubblicamente degli altri, dei loro peccati, pecca gravemente contro lo Spirito Santo. Anche un superiore non dovrebbe dire pubblicamente che Rupnik ha assolto una donna con cui ha avuto rapporti dai suoi peccati in confessione. Inoltre, tutte le testimonianze anonime sono opinabili. Perché non osano dire il loro nome? Il motivo è semplicemente che gli alti ambienti ecclesiastici, a cui appartengono il cardinale Rode e l’arcivescovo Zore di Lubiana, che sono senza peccato, vogliono sbarazzarsi di Rupnik perché è troppo fastidioso e influente.

Quindi non c’è niente di vero?

È vero che siamo tutti peccatori. Alcuni di noi ne sono consapevoli, altri, purtroppo, no. Vedono nell’altro una scheggia, ogni piccola cosa, ma non vedono in se stessi un tronco. È una sorta di lotta interna, diretta contro i gesuiti e anche contro il Papa, che è un gesuita. L’attacco a Rupnik è un attacco al Papa, il che mi sembra abbastanza chiaro.

Le presunte vittime, interrogate dalla Compagnia di Gesù, che ha avviato un’indagine contro Rupnik come membro, accusano Rupnik. Per loro, ha commesso un peccato che deve essere perseguito.

Certo, è già peccatore in quanto uomo, ma chi è senza peccato scagli la prima pietra. Il peccato è peccato, grande o piccolo che sia, e i peccati più gravi, come dice lo scrittore Ivan Cankar, sono quelli che non sono nemmeno descritti nel Catechismo. Il peccato è quello che ti brucia dentro, così lo definisce il Dizionario Etimologico della Lingua Slovena, qualcosa che hai fatto di male, non quello che giudicano i moralisti.

Sulla sua pagina FB ha pubblicato un film francese intitolato Emprise et abus spirituel. Guardando il film, ho pensato alle azioni di cui Rupnik è accusato. Il film avverte che il controllo spirituale viene prima utilizzato per inculcare la mentalità dell’altro, in modo che poi possano iniziare gli abusi, privando le persone di ciò che hanno di più caro. Descrizioni simili di come sono iniziati gli abusi sono state fornite dalle presunte vittime di Rupnik.

Nel mio caso, non è stato diverso quando il mio superiore ha abusato di me con la sua violenza psicologica sull’obbedienza. Dio può parlarmi attraverso ciò che mi dice il mio superiore, ma questo significa che devo esprimere un giudizio in merito. Non sono mai sollevato dalla responsabilità di discernere ciò che Dio mi sta dicendo attraverso le parole di un superiore e di un subordinato. Entrambi devono ascoltare e sentire: cosa e come parla lo Spirito di Dio. In primo luogo, dobbiamo ascoltare Dio. L’origine della parola obbedienza è nella parola ascoltare, ascoltare Dio, ascoltare ciò che ha da dirmi. L’obbedienza non mi esime quindi dalla responsabilità di giudicare in coscienza cosa è accettabile e cosa no. Quando un superiore esige qualcosa in nome dell’obbedienza, deve discuterne, deve spiegare, deve ascoltare la persona che dovrà fare ciò che esige. Deve anche discuterne con tutta la comunità, come dice il frate domenicano Gilles Berceville nel film.

Lei ha celebrato la Messa d’oro, a 50 anni dalla sua ordinazione sacerdotale, nel giugno 2020. In quell’occasione ha pubblicato un libro con il titolo del motto della sua nuova Messa, Cristo mi ha amato e ha dato se stesso per me, e un discorso personale di Papa Francesco. Ora, come ha fatto in occasione della catechesi, pubblicherà le sue attuali esperienze spirituali?

Certo, sarà un bel libro sulla vita in casa, sul fatto che anche invecchiare è bello, quindi il titolo del libro sarà È bello essere vecchi. Sento che devo scrivere della vita di adesso, della vita così com’è, che può essere la cosa più bella e più ricca per una persona.

Incoraggiante, soprattutto in un momento in cui si chiede sempre più spesso di legiferare per consentire l’eutanasia.

Chi ha il diritto di fare leggi morali? È assolutamente sbagliato legiferare in questo modo, perché il comandamento dell’uomo non può essere più grande del comandamento di Dio, che dice “Non uccidere”! L’eutanasia è sfiducia nella vita, incredulità e abuso e, ancora una volta, dietro c’è solo il denaro. Ogni essere umano vuole vivere, anche se è difficile.

Lei ha recentemente vissuto l’esperienza personale di assistere una persona moribonda. Dal suo post su FB, apprendiamo che è spirata proprio nel momento in cui lei gli stava dicendo quanto fosse importante per le buone opere che aveva fatto.

Ogni persona è importante e ogni cosa è importante, ma tutto cambia. Non dobbiamo interferire con nulla, anche Dio ha detto di non interferire con l’albero della vita, ma l’uomo ha questa tentazione, perché il diavolo semina subito il dubbio in lui, dicendo che Dio non è buono, perché non dà la libertà. L’uomo è abbandonato a se stesso.

Voi gesuiti avete il carisma, nella vostra missione, di educare e sviluppare continuamente i vostri talenti. Quale può essere il vostro ruolo in una società sempre più secolarizzata, come dimostra il forte calo dei battesimi?

Per i gesuiti non è mai stato un problema, le persone sono quelle che sono. Il punto è il Vangelo e le persone che credono, che ci provano nonostante tutte le loro fragilità. È completamente fuori strada perché la Chiesa vuole essere uno Stato nello Stato. Questa tendenza è iniziata già con l’imperatore Costantino, che ha rivestito i sacerdoti con abiti imperiali e li ha separati dal popolo. Questa immagine di una Chiesa potente deve passare. Ci vorrà molta pulizia e molti inverni duri e freddi. La Chiesa è in grande crisi nel nostro Paese e in Europa perché è istituzionalizzata e rigidamente intrappolata, chiusa in se stessa. Anche quando studiavo teologia a Innsbruck, si diceva che sarebbe arrivato l’inverno. Così diceva il mio professore, padre Karl Rahner.

Siamo vicini?

Questo inverno è qui. Deve congelare ciò che è marcio. Molte persone se ne andranno, rimarrà solo l’esperienza personale di Dio, e questo è il punto. Dopo il Concilio Vaticano II, infatti, ogni laico, dopo il battesimo, ha ricevuto il sacerdozio universale. Così anche i sacerdoti ordinati, che sono solo servitori del popolo di Dio. Grazie al sacerdozio universale acquisito con il battesimo, siamo diventati tutti fratelli e sorelle, senza eccezioni, chiamati a servirci gli uni gli altri.

È d’accordo con le modifiche apportate dal Vaticano per limitare la celebrazione delle Messe “tridentine”, cioè le Messe tradizionali in latino?

Vedo questa opposizione alle restrizioni più come un problema dei credenti più giovani che hanno paura della vita. Il Vaticano vuole che si vada avanti, ma ci sono resistenze che non vanno ignorate. Il fatto è che la Chiesa ha un numero enorme di riti di tutti i tipi, cattolici, greci, latini, armeni. Alcuni vogliono solo il rito in latino. È bello, ma è formalismo, è una camicia di forza, e non lo vedo come fede, ma come religione, come lavoro umano, come ricerca di auto-salvezza.

Ci stiamo avvicinando alla più grande festa della Pasqua, la resurrezione di Gesù. Qual è il suo messaggio ai credenti e ai non credenti?

La Pasqua è vita, più potente della morte, e Vita, scritto con la maiuscola, perché Gesù dice: Io sono la vita e la vita è la Risurrezione. L’uomo è fatto per vivere, in una forma o in un’altra, che cambiano solamente. E così diciamo anche dei i defunti che l’uomo non scompare, ma cambia soltanto da uno stato all’altro. Ci sono sempre nuove forme di vita, stadi superiori. Siamo tutti in Cristo e l’intera creazione è fatta attraverso di lui e per lui. Egli è il centro di tutto, dove tutto tende e si compie. È necessario leggere San Paolo, i suoi inni agli Efesini, ai Colossesi, ai Filippesi, che non riassumono la ristrettezza dell’ideologia o della religione, ma la fede. Aspetto con ansia la vivacità della Chiesa, le nuove forme, perché è Dio che guida, non noi. Siamo partecipi della sua opera, siamo esseri creativi come lui, divini, figli e figlie di Dio. Cosa dice Giovanni nel Vangelo? “Ecco quale tipo di amore ci ha donato il Padre, perché fossimo chiamati figli di Dio: figli e figlie di Dio”. Questo è il punto ed è ciò che riceviamo costantemente. Siamo la Sua gioia più grande, anche quando è difficile per noi, sappiamo che anche Lui ha percorso questa strada di passaggio. L’uomo è una creatura di passaggio e per questo è in costante tensione, e questa è la croce. Che cos’è la croce? Una costante disgiunzione tra ciò che è e ciò che non è. Ognuno ha la sua croce. Non c’è resurrezione senza croce. La croce è una tensione, una tensione tra il visibile e l’invisibile, tra il presente e il futuro, tra il bene e il male. Questa tensione, la divisione tra verticale e orizzontale, è la vita. Non si può vivere solo in verticale e solo in orizzontale, sono necessarie entrambe le cose. L’uomo è una creatura della terra, perché “polvere sei e in polvere ritornerai”, ma questa polvere è piena di vita e cambia continuamente. Le persone sono così e cosà, anche se non sono religiose o sono di un’altra religione, tutte desiderano la vita. Tutti abbiamo fame e sete di amore e gentilezza. E questo è il punto, questo è Dio stesso.