Città del Vaticano - Si è discussa giovedì, alla Camera dei Deputati in Italia, una mozione che avrebbe potuto segnare un cambio di rotta nelle relazioni tra la Repubblica e Israele sul piano militare. Il documento, firmato dai principali gruppi di opposizione – Movimento 5 Stelle, Partito Democratico, Alleanza Verdi e Sinistra – chiedeva la denuncia formale del Memorandum d’intesa tra i due Paesi in materia di cooperazione militare, siglato a Parigi nel 2003 e in vigore da oltre vent’anni.

Ma la maggioranza ha detto no. Il Governo e i gruppi parlamentari che lo sostengono hanno respinto la mozione, scegliendo di non sospendere né il Memorandum né gli accordi di attuazione ad esso collegati, confermando così la prosecuzione dei rapporti di cooperazione militare con uno Stato attualmente sotto inchiesta per crimini di guerra e crimini contro l’umanità nella Striscia di Gaza.

Il Governo ha espresso parere contrario su tutta la mozione presentata da Conte, Schlein, Bonelli e altri, sia nelle premesse sia negli impegni richiesti. Una scelta che rivela l’intenzione dell’esecutivo di non recedere dall’accordo di cooperazione militare con Israele, né di rimettere in discussione il quadro strategico preesistente al 7 ottobre 2023. Tuttavia, desta non poca perplessità la motivazione addotta dal Sottosegretario Perego di Cremnago per giustificare la prosecuzione di alcune forniture autorizzate prima di quella data: si afferma infatti che i materiali militari esportati non sarebbero impiegabili contro civili. Un’affermazione che presuppone una sorta di certezza morale e tecnica sull’uso finale delle armi, come se il contesto di guerra in corso – e gli attacchi documentati, come quello alla parrocchia cattolica di Gaza – non dimostrasse il contrario. Ma davvero si può ancora distinguere, in una guerra che polverizza ospedali e chiese, tra armi “buone” e armi “cattive”? Mettere fine a un conflitto non significa regolare con finezza giuridica la destinazione d’uso delle armi: significa smettere di produrle, finanziarle, esportarle. Ogni altra posizione è un compromesso che prolunga il massacro.

Una cooperazione automatica che ignora Gaza

Il Memorandum, ratificato con la legge n. 94 del 2005, prevede una cooperazione in ambiti che spaziano dall’industria della difesa all’addestramento delle forze armate, dallo scambio di materiali bellici alle operazioni umanitarie e logistiche. La sua durata è di cinque anni, con rinnovo automatico salvo denuncia formale almeno sei mesi prima della scadenza. L’ultimo rinnovo tacito è avvenuto nel 2021: il prossimo è previsto per aprile 2026.

A maggio, un gruppo di giuristi aveva trasmesso una diffida formale al Governo italiano, chiedendo la cessazione di quell’accordo. La ragione? Il rischio che l’Italia, mantenendo attiva la cooperazione con Israele in questo momento, finisca per essere complice – anche solo indirettamente – delle gravi violazioni del diritto internazionale umanitariocompiute a Gaza. Violazioni che sono oggetto di mandati d’arresto da parte della Corte penale internazionale contro Benjamin Netanyahu e Yoav Gallant, insieme al leader di Hamas Mohammed Diab Ibrahim Al-Masri.

La mozione e le accuse: «Complicità indiretta»

La mozione respinta giovedì chiedeva tre impegni precisi per il Governo:

1. La denuncia immediata del Memorandum, come previsto dall’articolo 9 dello stesso.
2. La sospensione degli accordi attuativi collegati al Memorandum.
3. L’interruzione di qualsiasi forma di cooperazione militare con Israele, compresi acquisti, vendite, trasferimenti tecnologici e addestramento.

Il testo elencava una serie di motivi concreti: l’utilizzo della fame come arma di guerra da parte di Israele, il blocco agli aiuti umanitari nella Striscia, le evacuazioni forzate della popolazione, la sproporzionalità dell’uso della forza, l’annessione silenziosa di parti della Cisgiordania e il fallimento dei negoziati per una soluzione a due Stati.

La prosecuzione della cooperazione militare, affermavano i firmatari, rappresenta una violazione dell’articolo 11 della Costituzione italiana, che ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli, e contraddice gli impegni assunti dall’Italia con la legge 185/1990 e il Trattato internazionale sul commercio di armi.

Una scelta politica chiara

Il voto contrario del Governo e della maggioranza non è un atto neutro. In un momento in cui l’Unione Europea – sotto la guida dell’Alto Rappresentante Kaja Kallas – sta valutando la sospensione dell’accordo di associazione con Israele per gravi violazioni dei diritti umani, l’Italia sceglie di non modificare la propria posizione bilaterale, mantenendo attiva una collaborazione militare che ha implicazioni non solo pratiche, ma anche morali e costituzionali.

Il Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, era nell’aula della Benedizione quando Leone XIV pronunciava le parole: La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani, approvata e proclamata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre del 1948, appartiene ormai al patrimonio culturale dell’umanità. Quel testo, sempre attuale, può contribuire non poco a mettere la persona umana, nella sua inviolabile integralità, a fondamento della ricerca della verità, per restituire dignità a chi non si sente rispettato nel proprio intimo e nelle esigenze della propria coscienza”.

Un’occasione mancata?

La politica estera è sempre una cartina di tornasole della coerenza interna di un Paese. E giovedì, in Aula, il Parlamento ha avuto l’occasione di dimostrare che i principi affermati nei documenti ufficiali – diritti umani, pace, rifiuto della guerra – valgono anche quando mettono in discussione gli equilibri geopolitici consolidati.

Ma la scelta è andata in un’altra direzione. Mentre lo staff del Presidente del Consiglio affidava a un tweet la condanna formale per l’attacco israeliano alla parrocchia cattolica di Gaza, in Aula la stessa maggioranza votava contro la sospensione degli accordi militari con Israele. Due piani narrativi che si contraddicono, ma che convivono nella medesima strategia politica. La cooperazione militare resta in piedi, anche con uno Stato che affama civili, colpisce ospedali, uccide bambini, bombarda chiese e riduce alla disperazione intere famiglie.

La domanda, a questo punto, non è più solo politica ma morale: fino a che punto il Governo italiano intende venire in Vaticano a parlare di pace, mentre continua a difendere accordi economici fondati su armi e interessi? Quanto a lungo si potrà ancora sfilare tra i corridoi diplomatici invocando diritti umani, mentre sul terreno – a Gaza – quei diritti vengono calpestati con la complicità del silenzio e delle forniture autorizzate?


S.L.
Silere non possum