In una intervista concessa al quotidiano italiano Corriere della Sera, S.E.R. Mons. Sergio Pagano, Prefetto dell’Archivio Apostolico Vaticano ha criticato aspramente la scelta di cambiare le parole del Padre Nostro.

Il barnabita, vescovo titolare di Celene, ha riferito: «La tentazione non è voluta da Dio per dannare o per mettere in difficoltà. Serve per vedere se tu sai stare in piedi o no su un terreno che è franoso». Ormai prossimo al pensionamento – in quanto ha compiuto 75 anni a novembre 2023 – il prefetto ha sottolineato che «Io sono, forse, in buona compagnia ma del tutto perplesso e contrario, per quel che vale la mia opinione, a questo modo di procedere. Tuttavia, è il pensiero di qualcuno che conosce un poco di storia e che studia, e che pensa e che vede i precedenti. Ad esempio: a me ha fatto un grande dispiacere, mi ha dato un’amarezza che resta, il cambiamento deciso dalla Conferenza episcopale italiana del Padre nostro in lingua italiana, che è un’assurdità».

S.I.

Silere non possum

Lei cosa pensa dei cambiamenti di – qualcuno dice perfino dottrinali – intervenuti negli ultimi anni, l’aggiornamento delle preghiere come il «Pater noster», questa scelta di rivolgersi ai fratelli e alle sorelle…

«Lei sfonda una porta aperta. Io sono, forse, in buona compagnia o forse in minima compagnia, scarsa o nutrita non lo so, ma del tutto perplesso e contrario, per quel che vale la mia opinione, a questo modo di procedere. Tuttavia, è il pensiero di qualcuno che conosce un poco di storia e che studia, e che pensa e che vede i precedenti. Ad esempio: a me ha fatto un grande dispiacere, mi ha dato un’amarezza che resta, il cambiamento deciso dalla Conferenza episcopale italiana del Padre nostro in lingua italiana, che è un’assurdità».

Che cosa le è dispiaciuto? Il cambiamento della formulazione quando si dice, nella preghiera, «non ci indurre in tentazione»?

«Mi è dispiaciuto il modo in cui è stato cambiato il Padre nostro, e anche i termini del cambiamento deliberato. Anzitutto il modo. Era fino a ieri saggia norma nella Chiesa, e speriamo che torni a esserlo in futuro, che, quando si trattava di ostacoli o difficoltà che si possono incontrare riguardo al testo della Sacra Scrittura, sia greco-latino, sia anche nelle lingue volgari, e che possono causare sconcerto nei fedeli, che prima di cambiare bisognasse sempre spiegare. Che il passo del Padre nostro “non ci indurre in tentazione”, così tradotto già nelle prime versioni in lingua italiana, e tradotto ottimamente dal testo latino, fin dal XVI secolo, creasse qualche difficoltà al senso comune dei fedeli che lo recitavano, è cosa scontata».

Davvero ritiene che sia scontato? Crede che da tempo ci si ponesse e si ponga un problema di interpretazione di quell’espressione?

«Già il cardinale Roberto Bellarmino nel suo Catechismo del 1597 rilevava che c’erano difficoltà a comprendere quel passo. Ma si guardò bene, e con lui Clemente VIII, dal cambiarlo. Prese a spiegarlo. Cito un passo da una recente riedizione del Catechismo: “Non intendo bene quelle parole, non c indurre in tentazione; perciocche pare che voglia dire che Dio suol indurre gli uomini in tentazione, e noi lo preghiamo che non lo faccia. Indurre in tentazione o sia tentare al male, o sia far cadere in peccato, è proprio del demonio, e non appartiene in conto veruno a Dio, il quale ha in odio grandemente il peccato”. Ma secondo il modo di parlare della Scrittura Santa, quando si parla di Dio, indurre in tentazione non vuol dir altro se non permettere che uno sia tentato o sia vinto dalla tentazione. Più chiaro di cosi. Spiegato così il testo, non occorreva alcun cam-biamento, anche in italiano. Per la Sacra Scrittura la Chiesa ha avuto sempre una venerazione, la definisce Parola di Dio. E se è di Dio, come possiamo noi cambiarla? Studiarla, comprenderla, ma non cambiarla. Chi ha operato questo sventurato cambiamento, almeno tale a mio modo di vedere e con il dovuto rispetto, ha studiato le fonti? Si è reso conto della incoerenza scritturale del cambiamento rispetto al passo dei Vangeli sinottici di Matteo, Marco e Luca? Credo si sia perso il senso genuino del testo latino: “L’oro è saggiato dalla fiamma, per vedere se è puro o no; gli uomini, per vedere se sono probi, se sono buoni, devono essere saggiati dalla tentazione”. Ma la tentazione non è voluta da Dio per dannare, osserva Bellarmino, o per mettere in difficoltà. Serve per vedere se tu sai stare in piedi o no su un terreno che è franoso. Ma mi lasci fare un’ ultima considerazione. Anche ai tempi di Galileo, quando lo scienziato pisano chiamava in causa diversi passi della Sacra Scrittura che apparivano a lui, scienziato e cattolico, ormai opporsi al nuovo sistema copernicano, e tali erano in verità, né papa Urbano VII, né ancora Bellarmino, né la Santa Sede osarono toccare quei passi che avevano un senso letterale antiscientifico. Cosa si fece? Non cambiare, ma spiegare. Preso atto delle ragioni di Galileo, i teologi e gli esegeti ripensarono la dottrina dell’ispirazione dei libri sacri, pur di non toccare quel testo stabilito e sacro. Erravano gli scriventi, non lo Spirito Santo ispiratore della Scrittura. Siamo proprio certi che questo cambio delle parole del Pater sia un progresso? Io, per mio conto, continuo a dire il Pater in latino, così sorpasso a pie pari quel brutto cambiamento».

Scusi monsignor Pagano: se la CEI ha deciso questo cambiamento lessicale, c’è da credere che il Papa l’abbia avallata, no?

«Penso di sì, penso che sia stata avallata, chissà com’è stata giustificata, motivata. Io non sono nessuno, ovviamente, ma torno a ripetere che esprimo solo il mio parere personalissimo, perché mi è lecito esprimere un parere. E da studioso non posso ammettere una traduzione del genere perché tradisce il senso originale dell’orazione insegnataci da Gesù».