Annaya (Libano) - Una preghiera in silenzio davanti alla tomba di san Charbel ha aperto la mattinata di Leone XIV sulle colline del Libano, nel cuore della tradizione maronita. Nel quinto giorno di questo suo primo Viaggio Apostolico Internazionale, Leone XIV alle 9 (8 nella Città del Vaticano) ha raggiunto in papamobile il Monastero di San Maroun ad Annaya, primo appuntamento della giornata, segnato da un forte momento di preghiera.
L’arrivo al Monastero e la preghiera alla tomba
All’ingresso principale del Monastero, Leone XIV è stato accolto dal Superiore del Convento e dal Superiore Generale dei Maroniti, che lo hanno accompagnato nel cortile interno. Qui si è svolto il breve rito di accoglienza, prima dell’ingresso nella cappella che custodisce la tomba di san Charbel Makhlouf, il grande eremita libanese venerato in tutto il mondo. Prima di varcare la soglia della cappella, il Papa è stato salutato dal Presidente della Repubblica e dalla consorte, presenti ad Annaya a testimoniare il legame tra la figura di Charbel, il popolo libanese e le istituzioni del Paese dei Cedri. All’interno Leone XIV si è raccolto in preghiera silenziosa davanti alla tomba del santo, quindi ha preso parte al canto, al gesto dell’accensione di una lampada votiva e ha ascoltato il saluto di benvenuto del Superiore Generale dell’Ordine Libanese Maronita, il Rev. P. Mahfouz Hady.
Solo dopo questo momento di silenzio e di ascolto, il Papa ha preso la parola, pronunciando il suo saluto in lingua francese: una scelta non solo di cortesia, ma di stile pastorale. Dopo anni in cui il Papa non usciva mai dallo schema spagnolo-italiano, Leone XIV si è ormai stabilmente rimesso a parlare inglese, spagnolo, italiano, francese, modulando la sua voce sulle lingue dei popoli che incontra e offrendo un segno concreto di vicinanza e universalità.
Al termine della preghiera a san Charbel - recitata anch’essa in francese -, della benedizione finale e dello scambio di un dono con la comunità, il Pontefice ha visitato il museo del Monastero, che custodisce reperti storici e reliquie legate alla vita del santo, accompagnato dal Superiore del Convento. Conclusa la visita, Leone XIV si è quindi trasferito in auto al Santuario di Nostra Signora del Libano ad Harissa, seconda tappa del suo itinerario mariano e spirituale in Libano.
Chi era san Charbel, “il racconto di Dio”
Per comprendere il significato di questo pellegrinaggio, Leone XIV ha scelto di partire da una domanda essenziale: «Che cosa ci insegna oggi san Charbel? Qual è l’eredità di quest’uomo che non scrisse nulla, che visse nascosto e taciturno, ma la cui fama si è diffusa nel mondo intero?».
Nato nel 1828 a Beqaa Kafra, da una famiglia di contadini, Youssef Antoun Makhlouf cresce in un villaggio segnato dalla povertà e dalla fede semplice. Orfano di padre a tre anni, trova nella figura del patrigno – un uomo pio che diventerà sacerdote – e nei due zii eremiti nella “Valle dei Santi” i primi modelli di vita totalmente consacrata a Dio. Da ragazzo deve lavorare come pastore per aiutare la famiglia, ma ogni momento libero lo passa in preghiera in una grotta, oggi meta di pellegrinaggi e ormai conosciuta come “la grotta del Santo”. La svolta arriva nel 1851: a 23 anni, dopo aver percepito con chiarezza la chiamata del Signore, lascia tutto di nascosto e si mette in cammino verso il monastero di Nostra Signora di Mayfouq. Diventa monaco dell’Ordine libanese maronita e cambia nome: da Youssef a Charbel, che in siriaco significa “il racconto di Dio”. Studia teologia, lavora nei campi, si dedica a poveri e malati, ma il centro della sua esistenza resta la preghiera e la contemplazione. Nel 1875 si ritira a vivere come eremita secondo la Regola maronita, in una piccola comunità di massimo tre monaci. È una seconda nascita: lavoro, preghiera, penitenza, digiuno, silenzio. Le testimonianze lo descrivono come un monaco infaticabile, spesso trovato in orazione con le braccia distese, in una cella poverissima, che lascia solo per la Messa o per obbedienza. La sua morte, nel 1898, avviene durante la celebrazione eucaristica, al momento dell’elevazione, dopo un’agonia di otto giorni vissuta in preghiera e ascesi fino all’ultimo respiro. Ma, come ha ricordato il Papa, la morte non è la fine: i prodigi che seguono - il corpo incorrotto, il trasudare di sangue e acqua, le guarigioni - fanno esplodere la fama di santità di questo monaco nascosto.
San Paolo VI lo beatifica e lo canonizza, presentandolo al mondo come un segno controcorrente: «Egli può farci capire, in un mondo affascinato dal comfort e dalla ricchezza, il grande valore della povertà, della penitenza, dell’ascetismo, per liberare l’anima nella sua ascensione a Dio». Dopo la beatificazione, il corpo di frate Charbel non ha più trasudato: come se il riconoscimento della Chiesa avesse “sigillato” un racconto che ormai appartiene all’intero popolo di Dio.
“Controcorrente ma attraente”: il cuore del messaggio papale
Leone XIV ha sintetizzato così l’eredità spirituale del santo libanese: «Lo Spirito Santo lo ha plasmato, perché a chi vive senza Dio insegnasse la preghiera, a chi vive nel rumore insegnasse il silenzio, a chi vive per apparire insegnasse la modestia, a chi cerca le ricchezze insegnasse la povertà. Sono tutti comportamenti contro-corrente, ma proprio per questo ne siamo attratti, come l’acqua fresca e pura per chi cammina in un deserto». Nel suo saluto, il Papa ha allargato l’orizzonte, rivolgendosi anzitutto ai vescovi e ai ministri ordinati: san Charbel, ha detto, richiama «le esigenze evangeliche della nostra vocazione». La sua coerenza radicale e umile è un monito a non annacquare il Vangelo nella ricerca di sicurezza, visibilità o potere ecclesiastico. Ma, ha aggiunto, il messaggio del santo non si ferma al clero: «La sua coerenza, tanto radicale quanto umile, è un messaggio per tutti i cristiani». Un tratto decisivo del suo carisma, ricordato da Leone XIV, è l’intercessione: già durante la vita molti cercavano fra Charbel per ottenere dal Signore conforto, perdono, consiglio. Dopo la morte, quell’intercessione è diventata «come un fiume di misericordia». Ogni 22 del mese migliaia di pellegrini, provenienti da diversi Paesi, salgono ad Annaya per una giornata di preghiera e ristoro dell’anima e del corpo.
Il Libano, la Chiesa, il mondo affidati a san Charbel
Davanti alla tomba dell’eremita, Leone XIV ha affidato a san Charbel tre grandi intenzioni: la Chiesa, il Libano, il mondo. Per la Chiesa, ha chiesto «comunione, unità», a partire dalle famiglie - «piccole chiese domestiche» - fino alle comunità parrocchiali, diocesane e alla Chiesa universale. Per il mondo, la richiesta è stata netta: pace, «specialmente per il Libano e per tutto il Levante». Ma il Papa ha aggiunto una condizione che i santi non smettono di ricordare: non esiste pace senza conversione del cuore. Per questo ha invitato i fedeli a lasciarsi condurre da san Charbel verso una preghiera più vera, un ascolto più profondo di Dio, una vita più sobria e misericordiosa. A sigillare il momento, un gesto simbolico: «Come simbolo della luce che qui Dio ha acceso mediante san Charbel - ha spiegato Leone XIV - ho portato in dono una lampada. Offrendo questa lampada affido alla protezione di san Charbel il Libano e il suo popolo, perché cammini sempre nella luce di Cristo». La mattinata ad Annaya si è chiusa così: con una lampada accesa, un popolo affidato a un santo eremita e un Papa che, dalla tomba di un monaco silenzioso, ha rilanciato al Libano e alla Chiesa intera l’appello alla preghiera, alla povertà evangelica, alla pace che nasce dalla conversione. Poi, la partenza verso Harissa, ai piedi della statua di Nostra Signora del Libano, dove il racconto di questo viaggio nel Paese dei Cedri continua.
p.R.S.
Silere non possum