Sabato scorso, rivolgendosi alla Consulta Nazionale Antiusura, Papa Leone XIV ha detto che «il fenomeno dell’usura rimanda al tema della corruzione del cuore umano». Il Pontefice ha toccato il punto più profondo e dimenticato del problema. Perché l’usura non è solo un reato finanziario, né un comportamento deviante: è un disordine morale e istituzionale. È la trasformazione del bisogno altrui in occasione di profitto, dell’uomo in oggetto. È il segno di una società dove la ricchezza non serve più a vivere, ma a dominare.

Il Papa ha parlato di “schiavitù”, e in effetti l’usura agisce come una catena invisibile che lega non solo i singoli, ma anche i popoli. La differenza, oggi, è che non sempre chi presta denaro è un aguzzino di quartiere: spesso ha il volto neutro di un algoritmo, o quello rassicurante di un’istituzione finanziaria. Eppure, la logica è la stessa: massimizzare il profitto anche a costo della vita degli altri.

Dietro questo meccanismo non c’è soltanto avidità individuale, ma una struttura più ampia e razionale. Gli studiosi che hanno indagato le dinamiche della corruzione hanno mostrato come ogni sistema economico tenda a creare una sorta di “ordine nascosto” che regola le relazioni tra potere, denaro e complicità. In questo “mercato occulto” non si comprano solo favori: si compra protezione, silenzio, impunità. E, con il tempo, l’intero sistema si adatta a questo scambio illegale come a una seconda natura.

Così, l’usura — nella sua forma più evidente — non è che la punta di un iceberg. Sotto la superficie si estende una cultura della sopraffazione che ha imparato a vestirsi da efficienza, da competenza, perfino da solidarietà. Gli usurai di oggi promettono aiuto, proprio come certi corruttori promettono “velocità” o “semplificazione”. Ma la loro è un’efficienza che distrugge la fiducia, e una semplificazione che cancella la giustizia.

Il dramma, allora, non è solo morale ma politico: un Paese nel quale l’usura prolifera è un Paese dove le istituzioni non riescono più a garantire reciprocità, dove il debito diventa la forma stessa del rapporto sociale. Quando un cittadino non crede più che lo Stato possa proteggerlo, si consegna alla rete di chi gli offre denaro subito e schiavitù dopo. Quando la disperazione incontra la burocrazia, nasce il terreno fertile per l’usura. Eppure, il Papa ha ricordato che la via d’uscita esiste: si chiama gratuità. È l’unica forza capace di spezzare la logica del calcolo. La storia di Zaccheo che restituisce il maltolto non è un racconto edificante: è un manuale di economia spirituale. L’uomo che ha vissuto di corruzione scopre, nell’incontro con Cristo, che la vera ricchezza è liberarsi dal debito. Non quello economico, ma quello morale - la schiavitù di dover sempre guadagnare qualcosa dagli altri.

Forse è questa la conversione più radicale che il Giubileo propone: passare dal possesso alla restituzione, dall’avidità alla responsabilità. E forse, più che nuove leggi, serve un nuovo sguardo: capire che ogni volta che l’indifferenza ci fa tacere davanti all’ingiustizia, diventiamo complici di quell’“ordine nascosto” che tiene insieme corruzione e usura. Perché, come ha ricordato Leone XIV, “solo la gratuità rivela il senso dell’umanità”. E solo la gratuità - nel cuore, nelle istituzioni, nei mercati - potrà restituirci la libertà di guardare l’altro non come un’occasione di guadagno, ma come un volto da scoprire.

Marco Felipe Perfetti
Silere non possum