Sabato 20 aprile 2024 il Santo Padre Francesco ha ricevuto in udienza i pellegrini provenienti dalle diocesi di Cesena-Sarsina, Tivoli, Savona-Noli e Imola in occasione del bicentenario della morte di Papa Pio VII. Con loro erano presenti i loro pastori: S.E.R. Mons. Douglas Regattieri, S.E.R. Mons. Giovanni Mosciatti, S.E.R. Mons. Mauro Parmeggiani e S.E.R. Mons. Calogero Marino. Hanno preso parte all'udienza anche S.E.R. il Sig. Cardinale Domenico Calcagno, il quale nel 2007 avviò la causa di beatificazione di Pio VII, e i Reverendissimi Abati Mauro Maccarinelli, Mauro Meacci (ordinario) e Luigi Tiana.

«Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge. Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio, monaco, abate, vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa. Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus», - bello, eh? -«non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione» ha ricordato Papa Francesco ai pellegrini nell'Aula Paolo VI accompagnati dai loro vescovi. 

E ancora: «Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo. Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia. Delle volte mandava dei messaggi nella biancheria e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria. Ed è una cosa bella, è un uomo che è intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello».

Il Papa ha poi ricordato che: «I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, trasformare queste cose in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile. E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!»

Chi era Pio VII?

Barnaba Niccolò Maria Luigi (in religione Gregorio) Chiaramonti nacque a Cesena il 14 agosto 1742. È stato il 251º vescovo di Roma e Papa della Chiesa cattolica dal 14 marzo 1800 al 20 agosto 1823. Apparteneva all’ordine di San Benedetto. Il 15 agosto 2007 è stato riconosciuto Servo di Dio.

All'età di 14 anni, entrò nel monastero benedettino di Santa Maria del Monte di Cesena, prendendo il nome di Gregorio. I suoi superiori, resisi conto delle capacità del giovane, lo inviarono prima a Padova e successivamente a Roma al collegio di Sant'Anselmo e nell'abbazia di San Paolo fuori le mura affinchè si perfezionasse nello studio della teologia.

Divenuto professore di teologia, cominciò a insegnare nei collegi dell'ordine a Parma (Monastero San Giovanni Evangelista) e a Roma. Nel febbraio 1775, con l'elezione a papa del concittadino Angelo Braschi, fu nominato priore dell'Abbazia benedettina di San Paolo a Roma. Il 16 dicembre 1782, Pio VI lo nominò vescovo di Tivoli. Il 14 febbraio 1785 ricevette la porpora cardinalizia e la cattedra vescovile di Imola.

Il 14 marzo 1800 Chiaramonti fu eletto papa all'unanimità nel Monastero di San Giorgio Maggiore. Decise di chiamarsi Pio VII in onore del predecessore Pio VI, suo concittadino e grande amico a cui doveva la nomina a vescovo di Imola e la porpora cardinalizia. L'imperatore d'Austria chiese al nuovo pontefice la cessione delle Legazioni di Bologna, Ferrara, Imola e Ravenna. Pio VII rispose negativamente alle pretese imperiali; decise peraltro di conservare il titolo di vescovo di Imola. Francesco II, contrariato, vietò l'incoronazione del papa nella basilica di San Marco. Pio VII fu incoronato nella basilica di San Giorgio Maggiore.

Il nuovo pontefice si trattenne nel Veneto per alcuni mesi, durante i quali visitò quasi tutte le chiese e ricevette l'omaggio di tutte le congregazioni religiose; durante tale periodo effettuò una visita a Padova, dove era stato da giovane a Santa Giustina. Nonostante la contrarietà dell'imperatore d'Austria, che lo voleva residente in Veneto, il nuovo pontefice scelse di recarsi a Roma.

Quando Napoleone cominciò a non rispettare il concordato del 1801. Addirittura pronunciò d'autorità lui stesso l'annullamento del matrimonio del fratello Girolamo con la moglie, Elizabeth Patterson un'americana di Baltimora. La pressione della Francia montò così rapidamente che il 2 febbraio 1808 Roma fu occupata dal generale Miollis e, un mese più tardi, le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Urbino furono annesse al Regno d'Italia. Rotte le relazioni diplomatiche fra Napoleone e Roma, con un decreto emesso a Schönbrunn l'11 maggio 1809 l'imperatore annetteva tutti i territori dello Stato Pontificio all'Impero francese.

Il 10 giugno 1809 su Castel Sant'Angelo veniva issata la bandiera francese. Pio VII tentò un ultimo atto: pur senza nominare l'imperatore, emise una bolla di scomunica contro gli invasori. Per evitare un'insurrezione popolare antifrancese, il generale Miollis, di propria iniziativa (come sostenne Napoleone in seguito), o più probabilmente per ordine del generale Radet, prese in custodia il Papa stesso.

Nella notte tra il 5 e il 6 luglio, scalate le mura e forzate le porte del Palazzo del Quirinale, i soldati francesi entrarono nello studio del Papa. Alle due di notte lo arrestarono e lo condussero così come si trovava dentro una carrozza già pronta che, in gran segreto, partì per la Francia.

"Non debemus, non possumus, non volumus” rispose Pio VII all'ufficiale napoleonico che, entrato al Quirinale, gli intimò di cedere alla Francia i territori dello Stato Pontificio.

Roma si accorse solo l'indomani che il Papa aveva lasciato la capitale. Con il solo cardinale pro-Segretario di Stato Bartolomeo Pacca al suo fianco, il papa, in un caldo soffocante, fu trascinato senza alcun riguardo attraverso il Lazio e la Toscana, proseguendo via Genova, Torino e il Moncenisio fino a Grenoble, in Savoia, dove arrivò il 21 luglio.

L’azione dei francesi suscitò il fortissimo sdegno di tutti i monarchi europei e di tutta la cristianità. Napoleone, allarmato, decise di temporeggiare. Il convoglio, ripartito da Grenoble il 1º agosto, cambiò rotta e, invece di puntare su Parigi, toccò Avignone e poi Arles e Nizza. Scopo di Napoleone era tenere Pio VII prigioniero in Italia. Da Nizza il convoglio, invece di proseguire lungo la costa, dove avrebbe incontrato l'ostilità delle folle che si accalcavano e lungo le strade acclamando il Papa ed inveendo contro le guardie, si diresse nell'entroterra. Entrando nella valle del Roia a Sospello e superato il colle di Tenda, proseguì per Cuneo, Mondovì, Carcare e il Colle di Cadibona, diretto a Savona. Il 17 agosto 1809, dopo 42 giorni di viaggio quasi ininterrotto, il pontefice arrivò infine a Savona, la città designata da Napoleone per la sua prigionia. Il Papa rimase confinato nel Palazzo del Vescovado per quasi tre anni, fino al 9 giugno 1812. Il cardinale Pacca fu invece rinchiuso nel Forte di Fenestrelle in Piemonte.

Fu subito chiesto al pontefice di convalidare l'investitura dei vescovi nominati da Napoleone: Pio VII oppose un deciso rifiuto. Quando i francesi scoprirono che il Papa riceveva dei messaggi all'interno del palazzo e riusciva anche a rispondere, gli fu addirittura proibito di leggere e scrivere. Insieme al Papa furono espulsi da Roma molti alti prelati, tra cui il Maestro generale dei Domenicani Pio Giuseppe Gaddi, che venne esiliato prima a Parigi e poi ad Auxerre (in Borgogna). Dopo quasi due anni ininterrotti di prigionia, fu estorta al pontefice la promessa verbale di riconoscere l'investitura dei vescovi francesi.

Nel maggio del 1812, con il pretesto che i britannici avrebbero potuto liberare il papa se egli fosse rimasto a Savona, Napoleone obbligò il vecchio e infermo pontefice (a causa della febbre che lo affliggeva) a trasferirsi a Fontainebleau, vicino a Parigi. Il viaggio lo provò al punto tale che, al passo del Moncenisio, gli fu impartita l'estrema unzione. Superato il pericolo e giunto in salvo a Fontainebleau, fu alloggiato con tutti i riguardi nel castello per attendervi il ritorno dell'imperatore da Mosca.

Appena rientrato, Napoleone intavolò immediatamente una serrata trattativa con il Papa che, il 25 gennaio 1813, accettò un concordato a condizioni tanto umilianti che, dopo averlo sottoscritto, non riuscì a darsi pace. Chiese ed ottenne di consultarsi con i cardinali, tra cui Bartolomeo Pacca ed Ercole Consalvi e tre giorni dopo lo rigettò. Comunicò la sua decisione per iscritto direttamente all'imperatore (che la tenne segreta), poi la rese pubblica il 24 marzo dello stesso anno. Nel mese di maggio, infine, osò sfidare apertamente il potere dell'imperatore dichiarando nulli tutti gli atti ufficiali firmati dai vescovi francesi.

Il 19 ottobre dello stesso anno Napoleone fu sconfitto a Lipsia. Di fronte alla penetrazione degli eserciti della Sesta coalizione in territorio francese, l'imperatore decise di fare ricondurre il suo prigioniero a Savona prima che lo liberassero gli alleati. Pio VII partì da Fontainebleau domenica 23 gennaio 1814 in forma privata, vestito da vescovo. Fu condotto a Nizza attraverso un percorso tortuoso per aggirare la valle del Rodano, dove il fermento antibonapartista era al culmine. Il lungo percorso del prigioniero si tramutò in un trionfo: folle esultanti si accalcarono al passaggio dell'anziano pontefice attraverso il sud della Francia. Il 16 febbraio Pio VII entrò nuovamente in Savona, tra ali di folla entusiaste dell'ulteriore soggiorno del Pontefice. Fu qui, probabilmente, che gli fu data la notizia che Roma era stata liberata dal dominio francese.

Il precipitare degli eventi, che avrebbero poi portato all'abdicazione in aprile, indusse Napoleone a liberarlo definitivamente. Il generale ordinò che il papa fosse condotto a Bologna, ove fece il suo ingresso il 31 marzo, dopo oltre quattro anni di prigionia. Il 2 aprile era già ad Imola, diocesi che reggeva dal 1785 e che non aveva abbandonato anche se era stato eletto pontefice. Dopo aver celebrato la Pasqua nella cattedrale imolese (10 aprile), si diresse a Forlì: gli abitanti gli tributarono un'accoglienza trionfale, tanto che autorità e popolo, impazienti di vederlo, gli andarono incontro fuori delle mura. Entrato in città, il Papa accettò l'ospitalità del vescovo Andrea Bratti, con ciò perdonandogli il fatto che, nonostante l'opposizione del suo stesso Capitolo, si fosse schierato al fianco delle autorità politiche francesi. Poi, dopo un passaggio a Ravenna, si fermò a Cesena, sua città natale, dal 20 aprile al 7 maggio. Il 15 maggio si recò al santuario di Loreto a rendere grazie per l'avvenuta liberazione. Il 24 fece il suo ingresso a Roma accolto dalla folla esultante: erano passati esattamente 4 anni, 10 mesi e 9 giorni dalla sua partenza forzata dalla capitale.

Una delle prime decisioni di Pio VII dopo il reinsediamento in Vaticano fu, il 7 agosto 1814, la ricostituzione della Compagnia di Gesù, soppressa nel 1773 da Clemente XIV, con la bolla Sollicitudo omnium ecclesiarum.

d.L.A.
Silere non possum



Le parole del Papa

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!

Saluto il Cardinale, i Vescovi presenti, gli Abati, i monaci e tutti voi, amici delle diocesi di Cesena-Sarsina, Savona, Imola e Tivoli. A Cesena sono stato.

Papa Chiaramonti è stato ed è per tutti noi un grande esempio di buon pastore che dà la vita per il suo gregge (cfr Gv 10,11). Era un uomo di notevole cultura e pietà, era pio. Monaco, Abate, Vescovo e Papa, in tutti questi ruoli ha sempre mantenuto intatta, anche a costo di grandi sacrifici, la sua dedizione a Dio e alla Chiesa. Come nel drammatico momento del suo arresto quando, a chi gli offriva una via di fuga dalla prigionia in cambio di compromessi circa le sue responsabilità pastorali, rispondeva: «Non debemus, non possumus, non volumus» - «non dobbiamo, non possiamo, non vogliamo», confermando, a prezzo della sua libertà personale, quanto aveva promesso di fare, con l’aiuto di Dio, il giorno della sua elezione (cfr Pio VII, Alloc. Ad supremum, 6).

Vorrei sottolineare, pensando alla sua vita, tre valori-cardine di cui è stato testimone, essenziali anche per i nostri cammini personali e comunitari: la comunione, la testimonianza e la misericordia.

Primo: la comunione. Papa Pio VII ne è stato un convinto sostenitore e difensore in tempi di lotte e divisioni feroci. I disordini causati dalla rivoluzione francese e dalle invasioni napoleoniche avevano prodotto e continuavano a fomentare spaccature dolorose, sia all’interno del popolo di Dio che nelle sue relazioni col mondo circostante: ferite sanguinanti sia morali che fisiche. Anche il Papa pareva dovesse esserne travolto. E invece, con la sua pacata e tenace perseveranza nel difendere l’unità, Pio VII seppe trasformare le prepotenze di chi voleva isolarlo e allontanarlo, spogliandolo pubblicamente di ogni dignità, in occasioni per rilanciare un messaggio di dedizione e di amore alla Chiesa, al quale il popolo di Dio rispose con entusiasmo. Ne emerse una comunità materialmente più povera, ma moralmente più coesa, forte e credibile. E il suo esempio sprona noi ad essere, nel nostro tempo, anche a costo di rinunce, costruttori di unità nella Chiesa universale, in quella locale, nelle parrocchie e nelle famiglie: a fare comunione, a favorire la riconciliazione, a promuovere la pace, fedeli alla verità nella carità!

Una cosa che aiuta tanto la comunione è il saper parlare bene. Cosa vuol dire? Dico il contrario: parlare male, il chiacchiericcio, distrugge la comunione. Non so se nelle vostre diocesi c’è il chiacchiericcio, credo di no, perché tutti voi dalla faccia siete buonissimi… Ma nel caso che ci fosse qualche chiacchiericcio, c’è un rimedio molto buono: mordersi la lingua. Quando ti viene voglia di sparlare o “spellare” l’altro, morditi la lingua e farai un bel lavoro di comunità, di unità nella comunità.

E tutto questo – la comunione, il cercare l’unità della Chiesa – ci porta al secondo punto: la testimonianza. Uomo di indole mite, Papa Chiaramonti è stato un annunciatore coraggioso del Vangelo, con la parola e con la vita. Diceva ai Cardinali elettori all’inizio del suo pontificato: «La Chiesa […] ha bisogno dei Nostri buoni esempi […]; così che tutti comprendano che non […] nel fasto […], ma piuttosto nel disprezzo delle ricchezze, nell’umiltà, nella modestia, nella pazienza, nella carità e infine in ogni dovere sacerdotale è raffigurata l’immagine del Nostro Creatore e si conserva l’autentica dimensione della Chiesa» (ivi, 8-9). È bello questo che diceva! E di fatto egli ha realizzato questo suo ideale di profezia cristiana (cfr San Leone Magno, Sermo 21,3), vivendolo e promuovendolo con dignità nella buona e nella cattiva sorte, sia a livello personale che ecclesiale, anche quando ciò lo ha portato a scontrarsi con i potenti del suo tempo.

E veniamo infine all’ultimo aspetto: la misericordia. Nonostante i pesanti ostacoli posti alla sua opera dalle vicende napoleoniche, Papa Pio VII concretizzò la sua attenzione per i bisognosi distinguendosi per alcune riforme e iniziative sociali di ampia portata, innovative nel suo tempo, come la revisione dei rapporti di “vassallaggio”, con conseguente emancipazione dei contadini poveri, l’abolizione di molti privilegi nobiliari, delle “angherie”, delle regalie, dell’uso della tortura (cfr Pio VII, Motu proprio Quando per ammirabile disposizione, 6 luglio 1816) e l’istituzione di una cattedra di chirurgia presso l’Università La Sapienza per il miglioramento dell’assistenza medica e l’incremento della ricerca.

Era un uomo molto intelligente, molto pio e furbo. Sapeva portare avanti anche la sua prigionia con furbizia. A volte mandava dei messaggi nascosti nella biancheria; e così riusciva a guidare la Chiesa, tramite la biancheria! Ed è una cosa bella: è un uomo intelligente, furbo e che vuole portare avanti il compito di governare che il Signore gli aveva dato, questo è bello.

Era anche un uomo di carità, come dimostrò poi, in ambito diverso, nei confronti dei suoi persecutori: pur denunciandone senza mezzi termini gli errori e i soprusi, cercò di mantenere aperto con loro un canale di dialogo e soprattutto offrì sempre il suo perdono. Fino a concedere ospitalità negli stati della Chiesa, dopo la restaurazione, proprio ai familiari di quel Napoleone che pochi anni prima lo aveva fatto incarcerare e chiedendo per lui, ormai sconfitto, un trattamento mite nella prigionia. Grande!

Cari fratelli e sorelle, sono molti i valori a cui ci richiama la memoria del Servo di Dio Pio VII: l’amore per la verità, l’unità, il dialogo, l’attenzione agli ultimi, il perdono, la ricerca tenace della pace, e quella furbizia evangelica che il Signore ci raccomanda. Ci farà bene meditarli, farli nostri e testimoniarli, perché in noi e nelle nostre comunità crescano lo stile di mansuetudine e la disponibilità al sacrificio. Ma questo non vuol dire che siamo stupidi, no, quella non è mansuetudine. Mansuetudine sì, ma furbi come il Signore ci raccomanda. Semplici come la colomba ma furbi come il serpente.

Vi ringrazio di essere venuti e vi accompagno con la mia preghiera. Di cuore benedico tutti voi e le vostre famiglie. E vi raccomando: non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!