Città del Vaticano - Ogni volta che la Chiesa si raccoglie in conclave per eleggere un nuovo papa, milioni di occhi da tutto il mondo si volgono verso un piccolo comignolo sopra la Cappella Sistina, in attesa di un segnale semplice quanto carico di significato: una fumata. Bianca, per annunciare l’elezione del nuovo pontefice. Nera, per indicare che la scelta non è ancora avvenuta. Questa sera, quasi volesse prendersi il centro del palcoscenico, un gabbiano si è posato accanto al comignolo più osservato del mondo, attirando su di sé gli sguardi curiosi di milioni di persone.
La fumata bianca o nera, questa vera e propria forma di comunicazione, così iconica oggi, è in realtà una invenzione relativamente recente nella storia bimillenaria della Chiesa. Prima che il fumo diventasse messaggero visibile di un evento sacro e segreto, il mondo doveva attendere in altro modo la notizia dell’elezione.
Le operazioni con 133 votanti
Appena i cardinali hanno varcato la soglia della Cappella Sistina, si è aperto il sipario mediatico: su tutte le televisioni, in Italia e nel mondo, sono partite dirette continue con presentazioni spesso imbarazzanti, affidate a volti ricorrenti del commentariato vaticano, alcuni dei quali si sono già distinti per superficialità e scarsa credibilità.
Ciò che colpisce – e francamente fa sorridere – è l’assoluta inconsapevolezza di molti di questi ospiti circa il funzionamento basilare dei riti, o in questo caso persino delle semplici tempistiche del conclave. Subito dopo la chiusura delle porte della Sistina, i cardinali hanno ascoltato la meditazione offerta dal cardinale Raniero Cantalamessa OFM Cap. Questo momento, tutt’altro che formale, richiede un tempo significativo, trattandosi di un vero atto spirituale introduttivo al discernimento.
Nonostante l’immaginario collettivo tenda a rappresentare l’elezione del Papa come una procedura rapida e quasi immediata, le operazioni di voto che coinvolgono ben 133 cardinali elettori richiedono in realtà tempi tecnici piuttosto lunghi. La Costituzione Apostolica Universi Dominici Gregis disciplina con estrema precisione ogni fase del conclave. L’elezione ha inizio solo dopo l’adempimento degli atti preliminari stabiliti (n. 54), e se avviata nel pomeriggio del primo giorno, prevede un solo scrutinio; nei giorni successivi, invece, si tengono due votazioni al mattino e due al pomeriggio, sempre agli orari stabiliti (n. 63). Ogni scrutinio si articola in tre fasi: il pre-scrutinio (con la distribuzione delle schede, l’estrazione a sorte degli Scrutatori, degli Infirmarii e dei Revisori), lo scrutinio vero e proprio (con la compilazione segreta e la deposizione delle schede nell’urna, il giuramento, lo spoglio dei voti), e infine il post-scrutinio (con il conteggio finale, la verifica e il bruciamento delle schede).
In un corpo elettorale così ampio, e con una procedura tanto dettagliata e solenne, anche un singolo scrutinio può durare diverse ore. In questo contesto, appare evidente che, al di là della suggestione del fumo bianco, l’elezione del Romano Pontefice è un processo liturgico e giuridico di notevole complessità, che non può essere sbrigativamente liquidato in pochi minuti. Ciononostante, su molti canali italiani e internazionali – e anche sui social – ci si interrogava con insistenza sul perché la fumata non fosse avvenuta alle 19. Una domanda assurda, dal momento che l’ingresso nella Cappella Sistina è avvenuto in tarda giornata e le prime fasi del conclave si sono protratte a lungo prima di poter anche solo iniziare il primo scrutinio.
La prima fumata: è nera
La fumata nera è arrivata alle 21, perfettamente in linea con quanto prevedibile. Lo stesso pomeriggio, alcuni cardinali ci avevano confidato che la prima votazione sarebbe stata più che altro un “appello generale”: ciascuno avrebbe indicato un nome rappresentativo della riflessione maturata con altri. Questi cardinali hanno parlato, ad esempio, di una candidatura francese sostenuta dal gruppo spagnolo, ma tutti erano consapevoli che raggiungere i fatidici 89 voti necessari sarebbe stato lungo e complicato. Questo numero, molto più alto rispetto al passato, rende la convergenza particolarmente difficile, anche perché i cardinali – in larga parte – non si conoscono tra loro e le divisioni restano marcate, anche fra chi vuole una Chiesa "moderna".
In sintesi, stupisce – e preoccupa – l’incapacità di molti commentatori di comprendere non solo lo spirito, ma neppure la logica più elementare del Conclave. L’impressione è che, più che informare, si preferisca intrattenere un pubblico disabituato al silenzio e al tempo della Chiesa, dove lo Spirito soffia, sì, ma non secondo la scaletta televisiva.
Prima della fumata: l’annuncio diretto al popolo
Per secoli, non esisteva alcun segnale visibile o codificato che indicasse l’esito degli scrutini del conclave. I cardinali si riunivano in clausura, e l’unico annuncio ufficiale giungeva solo al termine dell’elezione, quando il nuovo papa accettava il mandato e veniva proclamato pubblicamente.
L’annuncio avveniva secondo la formula solenne:
“Annuntio vobis gaudium magnum: Habemus Papam”,
seguita dal nome del cardinale eletto e dal nome pontificale scelto. A pronunciare queste parole era il cardinale protodiacono, affacciandosi dalla loggia centrale della Basilica di San Pietro.
Non essendoci alcun preavviso, il popolo e le autorità civili rimanevano ignari dello stato delle votazioni e potevano solo attendere per giorni – e a volte settimane, mesi o anni – la comparsa del nuovo papa. Questo sistema, per quanto solenne, non rispondeva al desiderio crescente di trasparenza e partecipazione da parte dei fedeli, specialmente in epoche più recenti.
1878: nasce la fumata
La prima fumata del conclave, come la conosciamo oggi, fu introdotta solo nel conclave del 1878, quello che elesse Papa Leone XIII. A rendere possibile questa novità fu l’idea – attribuita ad alcuni cardinali e tecnici dell’epoca – di bruciare le schede votate al termine di ogni scrutinio, e di usare il fumo prodotto come segnale esterno. L’idea era semplice ma efficace: il fumo che usciva dal comignolo della Cappella Sistina avrebbe segnalato lo stato del conclave. Inizialmente, però, non c’era distinzione tra fumata nera e bianca: l’intenzione era solo quella di indicare quando un voto era stato completato. Solo col tempo si stabilì una distinzione chiara nei colori per segnalare il fallimento o il successo dell’elezione.
Il significato e le difficoltà del fumo
A partire dal conclave del XX secolo, si cominciò a distinguere con maggiore chiarezza:
Fumata nera: nessun papa è stato eletto.
Fumata bianca: l’elezione è avvenuta.
Ma non fu sempre facile: in più di un’occasione il colore del fumo risultò ambiguo, creando confusione tra i fedeli. La combustione delle schede, miscelate a sostanze diverse, produceva a volte un fumo grigiastro o non abbastanza denso da essere chiaramente leggibile. Per evitare simili disguidi, nel conclave del 2005 (elezione di Benedetto XVI) e nel 2013 (elezione di Papa Francesco), il Vaticano introdusse due stufe separate: una per bruciare le schede, l’altra per generare un fumo chiaro e inequivocabile grazie all’uso di sostanze chimiche specifiche (potassio, clorato, lattosio e perclorato di sodio per il fumo bianco; pece, carbone e zolfo per il fumo nero).
Dal segreto alla comunicazione visibile
L’introduzione della fumata segna una svolta comunicativa nella storia della Chiesa. Pur mantenendo intatto il mistero e la clausura del conclave, questo piccolo segno visibile diventa un ponte simbolico tra l’interno della Sistina e il popolo di Dio, che attende in preghiera e speranza. Non è una rivelazione diretta, ma un indizio che la Chiesa è viva e sta operando, guidata dallo Spirito Santo. Tuttavia, in tempi recenti, lo spettacolo che si sviluppa intorno a questo rito ha assunto toni grotteschi e quasi mondani, riducendo l’attesa cristiana a un evento mediatico, a una corsa al toto-papa, a un carnevale di microfoni, costumi e pronostici. Per molti fedeli, l’elezione del Vescovo di Roma – che dovrebbe essere un tempo di silenzio, discernimento e invocazione dello Spirito – si è trasformata in un rituale idolatrico dai tratti spettacolari, che confonde il centro della fede con il suo perimetro istituzionale.
Il paradosso più amaro è che la figura del Papa interessa di più ai non credenti che ai cristiani. Il pontefice è diventato un oggetto di culto per gli amanti del potere, della diplomazia, del cerimoniale: ciò che affascina non è il messaggio di Cristo, ma la scenografia. Chi non crede, proietta sul papa un valore che non ha: lo considera un sovrano, un leader globale, un personaggio da copertina. E mentre i riflettori illuminano la cupola e le stoffe liturgiche, Cristo resta rimosso, dimenticato, messo in secondo piano.
Per il credente autentico, questo scenario è doloroso, insostenibile, quasi un sacrilegio. Il conclave è stato concepito per servire la fede, non per alimentare la superstizione del potere. E così, in mezzo a questo circo di cronisti, influencer, scommettitori e appassionati di cardinalizia coreografia, ci si augura che tutto finisca in fretta. Non per cinismo, ma per sete di verità. Perché la Chiesa non nasce da una fumata, ma dal fuoco dello Spirito Santo. E quello, spesso, non fa spettacolo.
p.A.F. e s.R.T.
Silere non possum