Bkerké (Libano) - Nel quarto giorno del suo viaggio apostolico in Türkiye e Libano, e nel secondo giorno trascorso in terra libanese, Leone XIV ha scelto di rivolgere il suo sguardo e la sua parola ai giovani. Dopo una mattinata segnata da un’accoglienza calorosissima da parte di sacerdoti e consacrati, la giornata è culminata nell’incontro del Piazzale antistante il Patriarcato di Antiochia dei Maroniti, a Bkerké, dove alle 17.45 ora locale (le 16.45 in Vaticano) migliaia di ragazzi e ragazze hanno ascoltato il Papa parlare di pace, speranza, amicizia e futuro.

Questa mattina il Pontefice era stato accolto da un entusiasmo quasi contagioso: canti, applausi, strette di mano hanno accompagnato il suo ingresso nel santuario di Nostra Signora del Libano. In serata, a Bkerké, la scena è cambiata ma l’intensità non è diminuita: la grande spianata davanti al Patriarcato maronita si è trasformata in una vera e propria distesa di giovani, sotto lo sguardo della Vergine, che domina dall’alto la baia e il Mediterraneo. L’incontro si è aperto con il saluto in arabo «Assalamu lakum! (La pace sia con voi)», quella stessa pace che Gesù Risorto dona ai suoi discepoli e che Leone XIV ha invocato per il mondo intero fin dal primo discorso rivolto ai fedeli in piazza dopo l’elezione.

Cristo al centro delle nostre vite

Il Papa ha ringraziato i giovani per il calore dell’accoglienza, ha salutato in modo particolare quanti provenivano da Siria e Iraq, e i libanesi rientrati per l’occasione dai Paesi di emigrazione: un mosaico mediorientale, attraversato da guerre, crisi economiche e frammentazioni sociali, ma ancora capace di radunarsi attorno a un appello alla speranza. Al centro dell’incontro sono state poste anzitutto le testimonianze di alcuni giovani - Anthony e Maria, Elie e Joelle - che hanno raccontato esperienze di sofferenza, delusione, instabilità, ma anche storie di servizio, perseveranza e generosità.

Leone XIV ha definito questi racconti «come stelle lucenti in una notte buia, nella quale già scorgiamo il chiarore dell’aurora»: una formula che condensa bene il suo sguardo sul Libano. La storia di questo Paese, ha ricordato, è intessuta di pagine gloriose, ma anche segnata da ferite profonde, che faticano a rimarginarsi e sono legate a dinamiche sociali e politiche complesse, spesso determinate da interessi che travalicano i confini nazionali.

Il Papa non ha nascosto la tentazione di molti giovani di sentirsi schiacciati da un’eredità pesante: un mondo «lacerato dalle guerre» e «sfigurato dalle ingiustizie sociali». Ma proprio qui è arrivata la svolta del discorso: «Eppure c’è speranza, e c’è speranza dentro di voi», ha affermato. Leone XIV ha insistito sul fatto che i giovani possiedono qualcosa che spesso agli adulti sfugge: speranza, tempo ed entusiasmo. Abbiamo più tempo per sognare, organizzare e compiere il bene; non sono solo il futuro, ma il presente in cui il domani prende forma; abbiamo l’energia per cambiare davvero il corso della storia. La vera resistenza al male – ha sottolineato il Papa – non passa attraverso il male, ma attraverso l’amore, capace di guarire le ferite mentre si curano quelle degli altri.

Parlando direttamente del Libano, Leone XIV ha richiamato il simbolo per eccellenza del Paese: il cedro. La forza del cedro, ha spiegato, sta nelle radici, che hanno la stessa ampiezza e robustezza dei rami. Allo stesso modo, il bene che ancora si vede nella società libanese è frutto del lavoro umile, nascosto e onesto di molte persone che servono la società e non la usano per i propri interessi. A noi giovani il Pontefice ha chiesto di attingere a queste radici buone, di rifiutare la logica di chi pensa solo a far crescere «un ramo» per sé e di impegnarsi con coraggio per la giustizia, diventando noi stessi «linfa di speranza» perché il Paese possa «rifiorire bello e vigoroso come il cedro».

La dolcezza di un padre premuroso

Una parte importante del discorso è nata poi dalle domande che gli sono state rivolte proprio da noi giovani. La prima chiedeva dove trovare un punto fermo per perseverare nell’impegno per la pace. La risposta è stata netta: questo punto fermo non può essere solo un’idea, un contratto o un principio morale; il vero principio di vita nuova è la speranza che viene dall’alto, ossia Cristo. Gesù, ha ricordato, è morto e risorto per la salvezza di tutti: «Egli, il Vivente, è il fondamento della nostra fiducia». Citando Sant’Agostino, Leone XIV ha ribadito che «in Lui è la nostra pace, e da Lui viene la nostra pace», e ha ripreso le parole di San Giovanni Paolo II: «Non c’è pace senza giustizia, non c’è giustizia senza perdono». Di fatto, ha spiegato, dalla disponibilità al perdono nasce quella giustizia che non è vendetta, ma fondamento di una pace autentica.

La seconda domanda toccava una delle fragilità tipiche del nostro tempo: la precarietà delle relazioni. Il Papa ha riconosciuto che viviamo in un’epoca in cui le relazioni personali appaiono fragili, si consumano in fretta, vengono trattate come oggetti. Anche tra i più giovani, spesso all’amicizia e all’amore si sostituisce un interesse individuale, la ricerca del proprio tornaconto, la soddisfazione egoistica. Sono atteggiamenti che svuotano di significato persino parole nobili come amicizia e amore. Se al centro di una relazione c’è solo il proprio io, ha ammonito, quella relazione non può essere feconda. E ha coniato un’espressione destinata a restare: «Non si ama davvero se si ama a termine, finché dura un sentimento: un amore a scadenza è un amore scadente». All’opposto, l’amicizia è vera quando dice «tu» prima di «io», e l’amore è autentico solo se aperto a un per sempre, perché riflette lo splendore eterno di Dio che è amore. Relazioni solide e feconde – siano esse familiari, amicali o anche fra consacrati – si costruiscono sulla fiducia reciproca e sul rifiuto della logica usa-e-getta, che non riguarda solo gli oggetti ma purtroppo sempre più spesso anche le persone.

Da qui il discorso si è allargato alla carità, indicata come il segno più chiaro della presenza di Dio nel mondo. La carità, ha detto il Papa, parla un linguaggio universale, perché tocca il cuore di ogni uomo. Non è un ideale astratto, ma una storia concreta, rivelata nella vita di Gesù e dei santi. Leone XIV ha invitato i giovani a guardare proprio ai santi come compagni affidabili nelle prove: ha citato Pier Giorgio Frassati e Carlo Acutis, due giovani canonizzati in questo Anno Giubilare, e poi le grandi figure della santità libanese, da Santa Rafqa, che ha unito forza e mitezza nella lunga esperienza della malattia, al Beato Yakub El-Haddad, esempio luminoso di compassione verso gli ultimi.

Guardare alla luce di Dio

Un posto particolare ha avuto San Charbel, l’eremita di Annaya che in questi giorni ha già segnato il pellegrinaggio di Leone XIV. Prevost, ha spiegato ai suoi collaboratori, è rimasto molto toccato dalla devozione e dal clima di preghiera che si respira nel luogo dove riposa il santo monaco. Il Papa ai giovani ha ricordato la sua scelta radicale di ritiro e di preghiera, sottolineando il dettaglio iconografico degli occhi sempre chiusi, «come per trattenere un mistero infinitamente più grande». Attraverso gli occhi chiusi di Charbel - ha osservato - impariamo a vedere meglio la luce di Dio. Citando un canto popolare dedicato al santo («O tu che dormi e i tuoi occhi sono luce per i nostri»), Leone ha invitato i giovani a lasciare che «sui vostri occhi brilli la luce divina e fiorisca l’incenso della preghiera». In un mondo di distrazioni e vanità, ha chiesto che ogni giorno trovino un tempo per chiudere gli occhi e guardare solo Dio, attraverso la preghiera, la Sacra Scrittura, la Messa e l’adorazione. Ha richiamato anche le parole di Benedetto XVI, che invitava i cristiani del Levante a coltivare una «amicizia vera» con Gesù.

Nella parte conclusiva, lo sguardo del Papa si è rivolto alla Vergine Maria, «Tutta Santa», Madre di Dio e Madre nostra. Ha ricordato il gesto semplice di tanti giovani che portano con sé la corona del Rosario in tasca, al polso o al collo, e ha invitato a guardare Gesù con gli occhi del cuore di Maria. Da Bkerké, ha indicato ancora una volta Nostra Signora del Libano come punto di riferimento di speranza e di fiducia. Quindi ha consegnato ai giovani la celebre preghiera attribuita a San Francesco d’Assisi («O Signore, fa’ di me uno strumento della tua pace…»), vera sintesi di una vocazione cristiana intesa come servizio di amore, unità, verità, gioia e luce là dove regnano odio, discordia, errore, tristezza e tenebre. In uno dei passaggi più densi di questo splendido discorso che è necessario meditare e tornare a riassaporare, Leone XIV ha spiegato che la speranza è una «virtù povera», perché si presenta a mani vuote. Ma proprio mani vuote possono aprire le porte chiuse dalla fatica, dal dolore e dalla delusione. E ha legato la speranza all’entusiasmo, letteralmente «avere Dio nell’animo»: quando il Signore abita davvero nel cuore, la speranza diventa feconda per il mondo, si traduce in gesti, scelte, impegni concreti.

Alla fine dell’incontro, dopo la benedizione e un ultimo «Shukran!» rivolto alla piazza, il Papa ha affidato i giovani libanesi – e, con loro, i giovani di tutti i Paesi – alla protezione della Madre di Dio. Ci ha invitati a crescere «vigorosi come i cedri» e a far fiorire il mondo di speranza. 

In questo secondo giorno in Libano, nell’arco di un viaggio che unisce Turchia e Paese dei Cedri, il messaggio di Leone XIV appare chiaro: non basta sopravvivere in un presente segnato dalle crisi. A noi giovani viene chiesto di diventare protagonisti di una storia nuova, radicata nella fede, capace di generare pace, di custodire relazioni autentiche e di trasformare le ferite della propria terra in occasione di riconciliazione e rinascita. Questo, più che un discorso, è un invito diretto a ciascuno di loro – e, in fondo, a ciascuno di noi.

F.V. e L.A.
Silere non possum