Venerdì 13 dicembre 2024 il Predicatore della Casa Pontificia ha offerto alla Curia Romana la seconda predica d'avvento sul tema “Le Porte della Speranza”. Verso l’apertura dell’Anno Santo attraverso la profezia del Natale.

«Dopo aver aperto la porta dello stupore, oggi proviamo ad attraversare quella della fiducia» ha esordito padre Roberto Pasolini, spiegando che «La fiducia è un’attitudine fondamentale che fonda e sostiene le relazioni umane, alimenta il coraggio nelle sfide quotidiane e apre lo sguardo verso il futuro. Non si tratta di una certezza priva di rischi, ma di un atto di apertura che riconosce la possibilità del bene anche nelle fragilità e nelle incertezze. La fiducia non è un sentimento ingenuo, ma una scelta coraggiosa che scaturisce da una visione profonda della realtà».
Tre figure sono state offerte alla Curia per poter vivere la nostra vita di fede seguendo l'insegnamento di Gesù in atteggiamento fiducioso verso Dio e verso l'altro:  Acaz, il centurione romano e San Giuseppe. 

Parlando di Giuseppe, Pasolini sottolinea: «Questa disponibilità ad accogliere, senza comprendere pienamente ciò che sta accadendo, non è una caratteristica esclusiva del cammino di Giuseppe, ma un atteggiamento di fiducia che l’amore richiede a tutti. La tradizione chiama “castità” questo modo di amare, in cui si rinuncia a usare l’altro per i propri scopi e ci si mette invece al suo servizio, in un reciproco scambio di cura e attenzione. Un tempo si era soliti associare a questa parola il cammino di quanti, all’interno della vita religiosa, scelgono di non prendere né moglie né marito per dedicarsi a Dio, in una vita ascetica e di preghiera. Oggi possiamo riconoscere che la castità rappresenta l’essenza profonda di ogni cammino, dal momento che il suo significato non afferisce immediatamente alla sessualità, ma alla libertà dell’amore. Essere casti non significa, anzitutto, astenersi dalla sessualità ma dall’egoismo. In termini positivi, la castità non è altro che la capacità di restare in relazione con l’altro rispettandone i ritmi e i tempi. Per questo è l’arte di sapersi continuamente aggiustare quando la vita, il corpo, il carattere, la sensibilità e la volontà della persona amata iniziano a manifestarsi in modi differenti da come abbiamo potuto immaginare o desiderare. In questa prospettiva, la castità vissuta nel matrimonio non è meno intensa né meno evangelica di quella abbracciata nella vita consacrata»

Una amara constatazione, quella del Predicatore, pensando a quanto le relazioni oggi siano in crisi perché si è incapaci di vivere con questo sguardo: «Oggi le relazioni d’amore vivono una stagione sofferta. Sembra diventato impossibile portarle a compimento perché non sappiamo più come incarnare questa gratuità di cui Giuseppe è testimone luminoso. C’è qualcosa di vero in questa considerazione. In un’epoca segnata da una maggiore attenzione a noi stessi, evitando inutili e dannosi sacrifici della nostra umanità, il rischio collettivo può essere quello di scivolare in un egoismo in cui l’altro passa in secondo piano. Questo spiega perché tanti percorsi di amore e di consacrazione si interrompano facilmente. Abbiamo finalmente compreso che l’amore inizia come una grande discesa e poi si trasforma in una sofferta salita. L’amore ci spoglia, non ci riveste. Non ci consente di prendere e basta. Senza una profonda libertà da noi stessi, l’amore non ci conviene».

Compito dei cristiani, spiega padre Roberto, è quello di non tacere una verità «che l’amore non solo esista, ma sia destinato a compiersi, nonostante le sue innumerevoli e dolorose battute d’arresto. Avvertiamo tutti un profondo desiderio di relazioni autentiche, radicate in un cuore libero e profondo, come quello con cui Giuseppe ha saputo camminare con fiducia insieme alla sua sposa, Maria». Il religioso ha spiegato che la paura «ci impedisce di compiere i gesti di fiducia di cui avremmo bisogno» e ha riproposto quanto accaduto ad Acaz (Isaia 7,3-9b) e che viene raccontato nel Libro di Isaia. 
«Come può Dio essere così convinto che le sue parole non cadranno a vuoto, nonostante tutte le incertezze e le infedeltà di cui noi sappiamo renderci protagonisti?»
si è chiesto il Predicatore della Casa Pontificia. «Dio ha forse un’enorme fiducia nella sua capacità di comunicare ciò che gli sta a cuore, oppure nella nostra disponibilità a comprendere e ad aderire ai suoi inviti?»


«Probabilmente - ha detto - né l’una né l’altra ipotesi: i motivi vanno cercati altrove. Da una parte, questa visione ottimistica nasce dal fatto che Dio non pronuncia mai parole di cui non sia profondamente convinto e, soprattutto, disposto a pagare  il prezzo fino in fondo. Inoltre, Dio è persuaso che la fiducia sia sempre lo sguardo da preferire e da assumere. Essendo fin da principio Verbo, Dio conosce bene la forza ma anche la debolezza della comunicazione. Avendo scelto di usare la parola per dare vita a tutte le cose e il dialogo per nutrire ogni relazione, Dio ha rinunciato a una creazione dove le cose accadono in risposta alla logica meccanicistica di un algoritmo. Ciò nonostante, essendo fin da principio anche Amore, Dio conosce altrettanto bene quanto la stima sia l’ingrediente più necessario perché le persone siano in grado di manifestare il meglio di se stesse». 

Un'altra figura offre Pasolini alla Curia come esempio per poter vivere sinceramente e concretamente il tempo di Avvento attraversando la Porta della fiducia è quella del centurione romano. «Il centurione - spiega - è una persona abituata a prendersi cura di chi gli sta intorno: ha costruito una sinagoga, nella quale egli non metterà mai piede, per consentire alla comunità ebraica di Cafarnao di avere un luogo adeguato per celebrare il culto a Dio. Più che un uomo degno di ricevere un favore, il centurione appare come uno attento alla vita e alle esigenze degli altri. Gesù resta colpito e incuriosito da questa figura: si incammina senza esitazione verso casa sua, dove il racconto riserva un’ulteriore sorpresa. Sapendo che un ebreo osservante si contamina entrando nella casa di un pagano, il centurione esprime un’ultima premura nei confronti di Gesù:  "Io non sono degno che tu entri sotto il mio tetto; per questo io stesso non mi sono ritenuto degno di venire da te; ma di’ una parola e il mio servo sarà guarito". L’umanità di questo straniero rivela una bellezza che tocca profondamente il cuore di Gesù. Il centurione, pur desiderando accogliere il Maestro nella sua casa, evita di metterlo in una situazione difficile. Per questo affida il messaggio ad alcuni amici, offrendo a Gesù la possibilità di compiere il miracolo senza “sporcarsi” le mani con lui. Non ha alcun dubbio: se Gesù è davvero l’inviato di Dio, una sola parola sarà sufficiente per cambiare le cose». 

La terza ed ultima predica di Avvento avrà luogo venerdì 20 dicembre nell'Aula Paolo VI nello Stato della Città del Vaticano.