Saint-Maurice, Svizzera – Nel pomeriggio di giovedì 26 giugno, Mons. Jean Scarcella ha comunicato al Consiglio abbaziale la sua decisione di rinunciare all’incarico di Abate dell’Abbazia di Saint-Maurice. La rinuncia, consegnata formalmente a Papa Leone XIV, è stata accettata dalla Santa Sede. Il priore Simone Previte assume ora la funzione di vicario capitolare, come previsto dalle costituzioni abbaziali, in attesa dell’elezione del nuovo Abate che dovrà avvenire entro la fine di settembre.

Quella di Mons. Scarcella non è una resa, ma una scelta lucida e sofferta, maturata — come ha lui stesso dichiarato — “nella preghiera personale e nel dialogo costruttivo”. Una scelta dettata dalla consapevolezza che, anche in assenza di colpe, le accuse pubbliche e il clamore mediatico possono minare irrimediabilmente l’autorevolezza di un pastore.

“Mi ritiro dal mio incarico di Abate perché ho maturato la certezza che spetta ormai a forze nuove attuare le misure decise nel nostro piano d’azione. A nome dell’Abbazia di Saint-Maurice, rinnovo la mia richiesta di perdono alle vittime e ai fedeli”
, ha dichiarato Mons. Scarcella, riaffermando con serenità la propria disponibilità al bene della comunità.

L’Abate era stato eletto nel 2015, durante le celebrazioni per i 1500 anni dalla fondazione dell’Abbazia. Negli ultimi mesi, tuttavia, si era trovato al centro di un’indagine interna a seguito di accuse che, dopo attente verifiche, si sono rivelate infondate. Nonostante ciò, come spesso accade, il peso dell’accusa ha superato quello della verità, rendendo impossibile un proseguimento sereno del suo servizio pastorale.

Silere non possum aveva visitato l’Abbazia nel marzo 2025, raccontando con precisione e rispetto la vicenda che aveva profondamente ferito la comunità e l’immagine dell’Abate. Allora, come oggi, avevamo denunciato il rischio di una cultura ecclesiale e sociale dove la presunzione di colpevolezza si impone alla ricerca della verità. È un paradosso crudele: essere riconosciuti innocenti non basta più. Il solo sospetto avvelena la fiducia, e con essa ogni possibilità di governare con autorevolezza.

Ciò che indigna ancora di più è l’ipocrisia di un sistema che finge di tutelare la giustizia, mentre tollera — o peggio, premia — i veri seminatori di veleno: figure ambigue che si aggirano indisturbate tra parrocchie, abbazie e curie, alla ricerca di incarichi e visibilità. E quando non ottengono ciò che vogliono, sanno bene come colpire. Basta una parola sussurrata, un’accusa insinuata, per attivare il meccanismo della calunnia. Una macchina infernale che non chiede prove, ma solo l’odore dello scandalo. In questo clima avvelenato, la verità diventa un dettaglio scomodo. Ma noi continueremo a raccontarla.

Una nuova fase per l'Abbazia

La decisione dell’Abate emerito si inserisce nel più ampio processo di discernimento e rinnovamento avviato dalla comunità dopo la pubblicazione, il 20 giugno, del rapporto del gruppo di lavoro dell’Università di Friburgo, presieduto da Pierre Aubert. In risposta, l’Abbazia ha adottato un piano d’azione per la verità, la riparazione e la governance, istituendo anche una Commissione di consulenza sulla governance. Il Priore Simone Previte, chiamato a guidare temporaneamente la comunità, ha espresso parole di gratitudine e rispetto per l’Abate uscente, sottolineando la necessità di affrontare il futuro con verità, umiltà e maturità spirituale:

“Il Consiglio abbaziale ha accolto con serenità e spirito fraterno la decisione del nostro Abate Jean. La nostra comunità è riconoscente per la paternità che ha saputo coltivare verso di essa. Ora è chiamata a costruire il futuro nella verità e nell’umiltà.”


Ora l’Abbazia di Saint-Maurice guarda al futuro. L’elezione del nuovo Abate, che dovrà essere confermata dalla Santa Sede, rappresenta un’occasione concreta di rinnovamento. Un rinnovamento che non può prescindere da un principio essenziale: la verità, anche quando è scomoda, deve restare la bussola di ogni autentica comunità cristiana.

Il dolore che oggi attraversa la Chiesa non nasce solo dai drammatici e reali casi di abuso — soprattutto spirituale e di coscienza — che continuano a consumarsi in alcune realtà ecclesiali, ma anche dall’incapacità, talvolta colpevole, di riconoscere l’innocenza di chi è stato falsamente accusato, anche quando questa è stata chiaramente dimostrata.

Ciò che addolora profondamente, sia i chierici che i laici, è il silenzio della gerarchia, troppo spesso impaurita, calcolatrice o complice, incapace di alzare la voce — come fece Cristo — in difesa dei piccoli e degli innocenti. Il paradosso amaro dei nostri tempi è che, oggi, i “più piccoli” sono spesso proprio coloro che vengono calunniati e perseguitati, vittime di ripicche, rivalità e vendette mascherate da giustizia. Una Chiesa che non sa distinguere tra verità e sospetto, tra giustizia e vendetta, è una Chiesa che rischia di tradire il Vangelo.

d.L.S.
Silere non possum