Venerdì 20 dicembre 2024 il Predicatore della Casa Pontificia ha offerto alla Curia Romana la terza ed ultima predica di Avvento sul tema “Le Porte della Speranza”. Verso l’apertura dell’Anno Santo attraverso la profezia del Natale. Il Santo Padre questa mattina era assente.
«Ci siamo introdotti in questo itinerario di Avvento sotto la guida dei profeti e della loro voce che accende delle luci nel nostro cammino. Abbiamo attraversato prima la porta dello stupore, per saper ammirare i semi di Vangelo presenti nella realtà e nella storia e poi ci siamo confrontati, la volta scorsa, con la porta della fiducia per tornare a camminare verso gli altri con un cuore aperto e rispettoso. Oggi, nell'ultima meditazione di questo avvento, vogliamo varcare le porte della piccolezza, forse la porta più importante che il Natale imminente e il prossimo Giubileo ci chiede di attraversare. Sfogliando le scritture sacre, dall'Antico al Nuovo Testamento, emerge con grande chiarezza come la piccolezza sia una sorta di filo rosso che percorre tutte le scritture, tutta la rivelazione» ha esordito Padre Roberto Pasolini.
«La piccolezza - ha spiegato il Predicatore - non è soltanto una misura, né una condizione statica. La piccolezza è una scelta consapevole che è guidata dal desiderio di costruire relazioni autentiche con l'altro dove la libertà dell'altro è rispettata. Quindi la piccolezza è un gesto di amore è un gesto di umiltà che apre spazi di incontro permettendo a ciascuno di essere sé stesso».
Commentando la parabola del giudizio finale, padre Pasolini ha detto: «la parabola sembra dirci che quello che resta, quello che conta, è cercare di diventare sempre più autentici in quello che facciamo. In che senso? Sempre più gratuiti. Gesù invitava spesso i discepoli a fare senza sperare nulla per diventare figli dell'Altissimo, cioè a uscire dalla logica economica per cui facciamo delle cose sempre in vista di un ritorno. L'uscita da questa logica economica ci chiede di eliminare tutte quelle cose che ancora facciamo per senso del dovere o per senso di colpa, senza una completa libertà, e questa è una purificazione molto difficile perché noi siamo abituati a fare tante cose perché c'è un'aspettativa di quelle cose su di noi ma questa non è ancora la libertà dei figli di Dio eppure questa via di gratuità è l'unico modo per superare la paura di non valere niente o di contare poco».
«Quando il Figlio dell'uomo verrà nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siederà sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti, ed egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porrà le pecore alla sua destra e i capri alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che stanno alla sua destra: Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo. Perché io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi. Allora i giusti gli risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo veduto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando ti abbiamo visto forestiero e ti abbiamo ospitato, o nudo e ti abbiamo vestito? E quando ti abbiamo visto ammalato o in carcere e siamo venuti a visitarti? Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me. Poi dirà a quelli alla sua sinistra: Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli. Perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e non mi avete dato da bere; ero forestiero e non mi avete ospitato, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato. Anch'essi allora risponderanno: Signore, quando mai ti abbiamo visto affamato o assetato o forestiero o nudo o malato o in carcere e non ti abbiamo assistito? Ma egli risponderà: In verità vi dico: ogni volta che non avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più piccoli, non l'avete fatto a me. E se ne andranno, questi al supplizio eterno, e i giusti alla vita eterna» Mt 25, 31-46.
Richiamando la parabola racconta da Gesù, padre Pasolini ha detto: «L’analisi dei personaggi di questo racconto ci rivela una sorpresa, innanzitutto. L'evangelista Matteo, iniziando questa parabola, spiega che è un discorso destinato a tutti i popoli usando un verbo, una parola greca ἔθνος, che allude ai popoli pagani, alle genti e questo è interessante perché Matteo scrive il suo Vangelo rivolto ad una comunità cristiana che viveva al confine con le nazioni pagane quindi nella comunità di Matteo era un interrogativo molto forte, il seguente: “Ma quelli che non sono cristiani come noi come si salveranno alla fine dei tempi? Ci sono così tante persone che non conoscono Cristo, che non partecipano alla vita della comunità cristiana”. A partire da questo interrogativo la parabola tenta di dare una risposta; quindi, lo scopo di questa parabola non è tanto di svelare come avverrà il giudizio universale, ma di annunciare come tutti i popoli ancora ignari del Vangelo potranno essere ugualmente giudicati e salvati in base al criterio dell'amore. Quindi non è tanto un insegnamento che dice a noi cristiani come noi saremo giudicati anche perché questo noi lo dovremmo ormai sapere, che far del bene agli altri è una priorità. La parabola vuole ricordare ai cristiani che anche coloro che non conoscono il Vangelo si potranno salvare incontrando e amando i fratelli più piccoli di Gesù».
Il religioso ha poi spiegato: «Io posso dire questo parlando da frate minore Cappuccino, quale sono, perché nella storia della Chiesa c'è stato proprio un episodio molto noto a tutti. Francesco ha creato nella Chiesa la famiglia dei frati minori, ha preso così sul serio questo destino di piccolezza da chiedere a se stesso e ai propri frati di assumerlo come stile di vita perché ha capito che il compito primario della Chiesa non era soltanto quello di “far del bene agli altri” quanto quello di “consentire agli altri di fare del bene a noi” facendo semplicemente della piccolezza il criterio di sequela, di conformità al Signore». Punto fondamentale, ha sottolineato il predicatore, è quello di ricordarsi "che abbiamo il dovere di farci più piccoli. I discepoli di Cristo non sono invitati ad avere paura dell'ultimo giorno, non è lo scopo di questa parabola, ma di approfittare del tempo presente per scegliere la piccolezza come luogo di incontro con l'altro imparando forse l'arte più difficile che non è quella di amare ma di lasciarsi amare dagli altri. A volte, noi che siamo esperti dell'amore, facciamo tante cose per gli altri e ci dimentichiamo che c'è un'altra responsabilità che è quella di permettere agli altri di fare qualcosa per noi». Facendo riferimento al santo fondatore dell'ordine francescano, Pasolini ha spiegato che il poverello di Assisi volle inserire nella regola questo punto essenziale: «Sapete che Francesco, quando ha scritto la sua regola non ha voluto tacere questo aspetto e l'ha messo proprio nelle indicazioni su come i frati dovevano andare a fare l'elemosina ve lo leggo, perché forse tanti non lo conoscono.
"E quando sarà necessario i frati vadano per l'elemosina e non si vergognino. E l'elemosina è l'eredità e la giustizia dovuta ai poveri l'ha acquistata per noi il Signore Gesù Cristo e i frati che lavorano per acquistarla avranno grande ricompensa e la fanno guadagnare e acquistare a quelli che la donano poiché tutte le cose che gli uomini lasceranno nel mondo periranno ma della carità e delle elemosine che hanno fatto riceveranno il premio del Signore"».
Il Predicatore mette in luce un aspetto: «Farsi piccoli significa imparare a liberarci anche da tante strutture, da tanti orpelli che a volte ci appesantiscono. Si tratta, peraltro, della via maestra per guarire il grande trauma della paura e della vergogna che il peccato ha impresso in ciascuno di noi. Francesco dice: “e non si vergognino”, bisogna oltrepassare la paura. Il peccato ha creato un disagio nei confronti della nostra piccolezza. Prima eravamo tutti nudi e non avevamo vergogna poi, ad un certo punto, è sembrato che questa nudità, cioè questa piccolezza, fosse un motivo di imbarazzo. E qual è la paura e la vergogna? Quella di non essere mai abbastanza, quella di non essere mai in grado di. Ed è per questo che assumiamo nella vita tanti ruoli, facciamo tante cose per sentirci in qualche modo sempre importanti o grandi agli occhi degli altri. Facendo questo, però, a volte ci allontaniamo pericolosamente da quella piccolezza che invece è e deve rimanere parte della nostra identità profonda».
«La vita ci insegna - ha continuato - che avere una consapevolezza autentica di quello che siamo è difficile, è un cammino molto lungo e ci sono sempre grandi sorprese. Tante volte ci sembra di essere molto buoni e attorno a noi le persone ci percepiscono un po' insopportabili, altre volte noi invece ci sentiamo un po' inadeguati, incapaci di fare il bene e la gente attorno a noi invece sta molto bene, è contenta di noi. Quindi, non sempre le nostre sensazioni corrispondono alla realtà e questo ci insegna, nel viaggio della vita, ad abbassare i giudizi a relativizzare sempre quello che pensiamo di noi e degli altri e questo corrisponde anche a quello che Gesù si ostinava a dire alla gente del suo tempo e che San Paolo ripete in modo magnifico quando dice: “Il mio giudice è il Signore, non vogliate giudicare nulla prima del tempo, fino a quando il Signore verrà. Egli metterà in luce i segreti delle tenebre e manifesterà le intenzioni del cuore, allora ciascuno avrà la sua lode da Dio”. I figli di Dio nel viaggio della vita imparano a perdere i giudizi, a non giudicare né se stessi né gli altri. Non perché diventano qualunquisti o cadono nel relativismo morale ma perché capiscono che siamo tutti in divenire e nessuno ha quello sguardo così puro, così limpido in grado di mettere insieme la verità e la misericordia come ha Dio e questo era quello che raccomandava anche Gesù: “non giudicate e non sarete giudicati, non condannate e non sarete condannati”».