Il 3 aprile 2024 si è svolto un incontro fra il presidente ucraino e una delegazione di vescovi della Chiesa cattolica latina e delle Chiese protestanti dell’Ucraina. Erano presenti: il vescovo di Kharkiv-Zaporizhsky Pavlo Honcharuk, il vescovo di Odessa-Simferopol Stanislav Shirokoradiuk, il vescovo di Kamianets-Podilskyi Leon Dubravskyi, il vescovo di Mukachevo Mykola Luchok, il vescovo di Kyiv-Zhytomyr Vitaly Kryvytskyi, e il presidente della Conferenza episcopale ucraina mons. Vitaly Skomarovskyi.

All’ordine del giorno era prevista anche la gravosa questione dei presbiteri chiamati alle armi.

«Abbiamo sottolineato – ha spiegato il vescovo Vitaly Kryvytskyi - che se si mobilitano i parroci o i responsabili del settore umanitario, in particolare la Caritas e tutte le sue divisioni, allora inizieranno grossi problemi, se alcune persone chiave, e talvolta anche gli stessi lavoratori, lasciano questo servizio e vengono portati al fronte».

Il presidente Zelens'kyj si era congratulato con i rappresentanti delle Chiese in occasione della Pasqua augurando «all’Ucraina la vittoria nella guerra contro gli occupanti russi». «Arriverà sicuramente grazie ai nostri soldati, al nostro popolo e alle vostre sincere preghiere», aveva detto Zelens'kyj, secondo quanto riferisce l’Ufficio del Presidente. Zelens'kyj ha quindi espresso «gratitudine per il servizio dei nostri cappellani militari. Grazie a voi, i nostri uomini e le nostre donne al fronte hanno l’opportunità di comunicare e sentire il vostro sostegno».

Nessun risultato è stato ottenuto. I sacerdoti dovranno imbracciare le armi. Il presidente Volodymyr Zelens'kyj ha dimostrato di non essere diverso da chi critica, ovvero ha calpestato tutti i diritti relativi alla religione e agli accordi con le diverse Chiese. Del resto, ha sempre attaccato il Pontefice e la Santa Sede ogni volta che si è parlato di pace.

L’Ucraina sembra non apprezzare ciò che la Santa Sede ha fatto e sta facendo da tempo per i suoi cittadini. Da quando ha avuto inizio questa terribile guerra il Santo Padre Francesco ha più volte inviato suoi stretti collaboratori sul territorio. L’Elemosiniere Apostolico più volte si è recato in Ucraina per portare aiuto e sostegno. Tutto questo è stato possibile solo grazie ai parroci, ai sacerdoti presenti sul territorio che hanno aiutato – senza risparmiarsi – tutti.

«Quando la nuova legge sulla mobilitazione per il reclutamento dei civili (approvata dalla Verkhovna Rada, il Parlamento monocamerale ucraino) entrerà in vigore, il 18 maggio, anche i preti dovranno andare a combattere, non saranno più esonerati e – tra le molte conseguenze – i tanti progetti di aiuto alla popolazione che stanno portando avanti non potranno proseguire. Sono tanti i sacerdoti coinvolti ad esempio nei programmi messi in campo dalla Caritas, ma anzitutto c’è l’impegno nel culto, nel sostegno spirituale di tutta la popolazione che verrebbe meno lasciando ancora più nella disperazione la gente che vive ormai da più di due anni il dramma della guerra. Sarà un cambiamento drammatico che tocca tutti, perché tutte le confessioni religiose saranno coinvolte – i latini, i greco-cattolici, le Chiese ortodosse, le comunità protestanti -, tutti i ministri di culto con sole eccezioni legate alle età, al numero dei figli o alle condizioni di salute. Una decisione drammatica». Con queste parole S.E.R. Mons. Oleksandr Yazlovetskyi, vescovo ausiliare della diocesi di Kiev-Zhytomyr e presidente della Caritas-Spes ha accolto la nuova legge che riforma le regole per il reclutamento dei civili nelle forze armate ucraine sulla quale lo scorso 3 aprile una delegazione di vescovi della Chiesa cattolica latina e delle Chiese protestanti dell’Ucraina ha incontrato il presidente Volodymyr Zelensky.

«La legge in questione è stata formulata - spiega Yazlovetskyi - perché ormai dopo due anni di guerra è emersa la necessità di definire nuove regole, di normare alcune situazioni che con lo scoppio del conflitto si sono determinate, scelte che sono state fatte. In particolare, sono state definite ufficialmente le categorie di persone esonerate dall’essere arruolate. Prima della guerra i sacerdoti, i religiosi, i seminaristi non svolgevano servizio militare e quando è scoppiata, per rispetto a questi ruoli, nessuno è stato chiamato alle armi. Ora, invece, questo esonero viene meno per tutti coloro che hanno dai 25 ai 60 anni, che non hanno disabilità o hanno meno di 3 figli. Stiamo ancora cercando di far sentire la nostra voce perché per tutte le confessioni religiose questa situazione è inaccettabile e con gravissime conseguenze, certamente sproporzionate rispetto al numero di quanti diventerebbero soldati. Abbiamo fatto i conti e sarebbero 13 mila persone in tutto: che sono poche rispetto ai risultati in guerra, mentre sono tante per gli aiuti che possono dare tra la gente. Oltretutto non si capisce perché altre categorie come i circensi sarebbero escluse dalla mobilitazione per il carattere umanitario della loro professione che quindi non è riconosciuto per noi sacerdoti e, altra contraddizione, resterebbero comunque ancora vacanti per la Chiesa cattolica di rito romano alcuni posti come cappellani militari» ha detto. 

«Con lo scoppio della guerra infatti - precisa - alcuni sacerdoti avevano chiesto di poter fare i cappellani militari per essere di conforto al fronte, ai soldati, ma i posti sono numericamente ripartiti in base alle confessioni religiose di appartenenza e per occuparli è previsto un titolo di studio che sia ‘riconosciuto’ dal governo. E chi ha studiato nel seminario diocesano non ce l’ha».

«La gente ha bisogno dei sacerdoti, cerca conforto in questa situazione - ha protestato S.E.R. Mons. Yazlovetskyi - in questo tempo pasquale le chiese erano piene, le persone hanno bisogno di tenere viva la speranza nella pace. E noi cerchiamo con ogni mezzo di raggiungere tutti, ci eravamo attrezzati nel tempo del Covid e così ora con YouTube e con la Rete cerchiamo di mantenere i contatti anche con le piccole parrocchie, perché nessuno si senta abbandonato. La gente ha bisogno di essere ascoltata da noi sacerdoti, consolata: ho incontrato una donna tempo fa – ma gli esempi sarebbero tanti – che era entrata in chiesa ed era arrabbiata con Dio perché aveva perso in guerra il suo unico figlio, lei diceva di non essere credente, ma che suo figlio non sarebbe stato contento se lei non avesse pregato per lui. Gente che dice di perdere la fede, ma in realtà vive la fede di chi soffre, di chi è toccato dal dolore e cerca Dio e noi dobbiamo sostenere questo. Come cerchiamo di sostenere con i vari progetti tutte le sofferenze che la guerra porta con sé: le persone, i giovani che tornano feriti, invalidi, con problemi psichici e psicologici legati ai traumi, famiglie disgregate, i bambini che nella loro crescita pagheranno le conseguenze di una situazione di continua paura, anche quando sembra si sia fatta l’abitudine».

Anche Mons. Maksim Ryabukha, vescovo ausiliare dell’esarcato greco-cattolico di Donetsk, ha espresso la propria preoccupazione

«Mi preoccupa – ha detto - il divieto di accesso a tutti gli organismi internazionali e di solidarietà come la Caritas lungo tutto il confine che si trova a 20 chilometri dai luoghi di combattimento. Significa che ci sono città fuori area di aiuto. Adesso non è il tempo di pensare ai rischi. Le uniche domande che ci facciamo in questo momento sono come sostenere, accompagnare e supportare la vita. I russi stanno prendendo di mira non solo obiettivi militari. Colpiscono i civili e le infrastrutture. L’80 per cento delle fonti energetiche in Ucraina sono state distrutte o rovinate. Da religioso, mi chiedo: di umanità è rimasto qualcosa nei cuori del popolo russo? In guerra non esistono situazioni semplici, noto però una distruzione sempre più massiccia. Fino a che non c’è una solidarietà comune internazionale in grado di sostenere e difendere la vita, la vita sarà distrutta, passo dopo passo».

Si attende ora una presa di posizione chiara - della Santa Sede e del Santo Padre stesso - a tutela dei sacerdoti ucraini e in favore delle anime del santo popolo di Dio. 

d.A.S.

Silere non possum