Roma - Un altro luogo sacro è stato colpito. Un altro spazio che dovrebbe essere intangibile, inviolabile anche nella brutalità della guerra, viene ridotto a macerie. La Chiesa della Sacra Famiglia a Gaza, unico presidio cattolico nella Striscia, è stata centrata da un raid aereo israeliano questa mattina. L’attacco ha provocato otto feriti, tra cui due donne inizialmente date per morte, poi rianimate, ma ancora in condizioni critiche. Feriti anche due uomini in modo grave, altri quattro in maniera più lieve, incluso il parroco argentino don Gabriel Romanelli, figura simbolica della presenza cristiana a Gaza.
Secondo fonti vicine al Patriarcato Latino di Gerusalemme, Israele avrebbe parlato di “errore di tiro”. Ma cosa significa davvero “errore”, quando da mesi vengono colpite scuole, ospedali, tende di sfollati, abitazioni civili? Quando intere famiglie vengono annientate mentre cercano acqua o riparo tra le macerie? Si continua a giustificare tutto in nome della lotta ai terroristi di Hamas. Ma da quando i terroristi indossano camici da medico, portano in braccio bambini, pregano nelle chiese cattoliche o celebrano la Messa? Da quando i preti sono bersagli legittimi?
La parola “errore” suona sempre più come una formula automatica, svuotata, ripetuta per coprire l’inammissibile. Le parole del Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana, Giorgia Meloni sono nette, almeno stavolta: “Sono inaccettabili gli attacchi contro la popolazione civile che Israele sta dimostrando da mesi. Nessuna azione militare può giustificare un tale atteggiamento”. Ma basteranno queste frasi, pronunciate dopo decine di silenzi, a colmare l’abisso di dolore che si sta spalancando ogni giorno di più? È sufficiente indignarsi davanti alla televisione e poi finanziare e continuare ad appoggiare la politica militare di Israele che sta compiendo un genocidio a Gaza? Le notizie di questa mattina raccontano un bollettino che non ha più bisogno di commenti:
A Jabalia al-Balad, un uomo, sua moglie e cinque figli sono morti sotto le bombe.
A al-Zeitoun, quattro morti e diversi feriti in una casa accanto a una scuola.
Nel campo profughi di al-Nuseirat, altri quattro uccisi da un bombardamento d’artiglieria.
A al-Bureij, una tenda di sfollati all’interno di una scuola è stata colpita: almeno quattro morti.
Un altro civile è stato ucciso a al-Nasr, nei pressi di una stazione di servizio.
Questi sono solo alcuni nomi. Altri non li sapremo mai. Altri non avranno neppure una pietra con inciso il proprio nome.
In Parlamento, il leader del Movimento 5 Stelle Giuseppe Conte ha usato parole durissime: “Un errore tecnico? Non è il messaggio di un treno in ritardo, ma ciò che dice un governo dopo aver ucciso sei bambini. Questo si chiama genocidio”. Il suo intervento è stato un atto di accusa non solo contro il governo israeliano, ma anche contro il silenzio assordante dell’Italia: “Meloni, Salvini, Tajani: ve lo chiederanno i vostri figli e le vostre coscienze”.
Conte ha attaccato il memorandum d’intesa tra Italia e Israele, definendo “criminale” il comportamento dello Stato ebraico: “Vi rendete complici della violazione del diritto internazionale”. E ha rilanciato: “Candidiamo Francesca Albanese al Nobel per la pace”, riferendosi alla relatrice speciale ONU per i territori palestinesi, finita nel mirino di Israele per le sue denunce.
La domanda che ora si impone è la seguente: quanto a lungo ancora l’Occidente potrà parlare di diritti umani, di tutela dei civili, di libertà religiosa, mentre le chiese crollano, i bambini muoiono, e i governi democratici chiudono gli occhi o peggio — firmano accordi militari e commerciali? Quando un sacerdote viene ferito nella sua chiesa, quando due donne vengono sepolte vive sotto le macerie perché credevano che Dio, almeno Lui, non sarebbe stato bersaglio, è il mondo intero a dover tremare. Non è questione di religione. È questione di umanità. E sembra che a Gaza, oggi, l’umanità sia l’unica vera assente.