Nei versi ottocenteschi di Bernardo Giambullari, la Storia e miracoli di San Giovanni Gualberto (1497) emerge come un’opera-puente tra medioevo tardo e modernità, capace di narrare uno spirito che non si ritrae di fronte alla dissolutezza dei costumi ecclesiastici. Giambullari descrive Giovanni come penitente radicale, che sceglie la riforma della Chiesa non dal pulpito, ma dall’esempio della propria conversione.
Dal suo ritiro a Vallombrosa, Giovanni non rimanda la responsabilità morale. Le sue Lettere sulla carità, riportate dalle fonti vallombrosane (e trascritte da Andrea da Strumi), non sono semplici raccomandazioni ascetiche: rappresentano un vero testamento spirituale, volto a preservare – nei suoi confratelli e nei futuri religiosi – la coesione attraverso il vinculum charitatis e una sobrietà interna che rifiuta l’ipocrisia. Qui, “odiare” la corruzione significa intendere seriamente la carità come vincolo che consegna alla storia della Chiesa uomini e donne liberi da compromessi.
Odiava la corruzione, certo: ma lo faceva dalla radice. L’avversione per la simonia – la compravendita delle cariche ecclesiastiche – non gli venne da proclami spettacolari, ma da una scelta di vita che lasciava che il silenzio valesse più di qualsiasi accusa. In quell’abbraccio finale con Dio, Giovanni incarnò un gesto politico senza clamore: fondare un Ordine che mettesse in discussione il “già fatto” e rilanciasse la preghiera e il servizio come antidoti per una Chiesa impigliata nel potere.
La sua eredità non è nostalgica. Non si tratta di guardare alla purezza medievale come a un miraggio irraggiungibile. Piuttosto, la sua testimonianza pone un invito – sobrio ma urgente – a un cuore ecclesiale ritrovato. Giambullari, pur narrando miracoli, insiste su un dato: l’azione di Gualberto non è miracolo di potere, ma potenza del Vangelo che ripudia ogni compromesso sacrilego.
Nelle epoche successive, le cronache dei vallombrosani – da Andrea da Strumi fino a Francesco Salvestrini – articolano questa eredità in termini di identità monastica, ma su un punto non transigono: la Chiesa “vero regno di Dio” non può accettare né la contaminazione etica né la mercificazione del sacro.
Oggi, nel giorno in cui commemoriamo San Giovanni Gualberto, ricordiamolo come colui che seppe esercitare un “odio” paradossale: non contro le persone, ma contro ogni pietra che ostacola la strada del Vangelo. Odio che nasce dall’amore, perché solo chi ama davvero può tollerare l’indifferenza ecclesiale. In lui, la radicalità è silenzio, coerenza, fedeltà. Non urla, ma presenza. Non protesta, ma testimonianza.
p.F.R.
Silere non possum