Città del Vaticano – Nella mattinata di oggi Papa Leone XIV ha ricevuto in udienza un gruppo di eremiti italiani giunti a Roma per partecipare al Giubileo della Vita Consacrata. L’incontro, svoltosi in un clima davvero familiare, è stato occasione per il Pontefice di offrire una riflessione intensa e spiritualmente luminosa sul senso della vita eremitica nella Chiesa di oggi — una meditazione che si inserisce nel solco di quella già rivolta ai consacrati durante il loro Giubileo.
Ma proprio perché la vita eremitica è oggi spesso incompresa, anche all’interno della stessa Chiesa, le parole del Papa acquistano un peso particolare: esse risuonano come un invito a riscoprire la fecondità del silenzio, la forza dell’interiorità e la presenza orante di chi, pur lontano dal mondo, ne porta nel cuore le ferite.
«Adorare il Padre in spirito e verità»
Prendendo spunto dalle parole di Gesù alla samaritana nel Vangelo di Giovanni — «È giunto il momento, ed è questo, in cui i veri adoratori adoreranno il Padre in spirito e verità» (Gv 4,23) — Leone XIV ha indicato la direzione fondamentale della vocazione eremitica: adorare Dio nel segreto del cuore. «Il Signore — ha detto — chiama a entrare in questo luogo nascosto del cuore, scavandolo pazientemente; invita a un cammino di svuotamento e spogliazione di sé». L’eremita, secondo il Papa, è colui che impara a custodire un cuore puro, umile e vigilante, chiudendo la porta ai pensieri vani per aprirla al dialogo intimo con il Padre, «che vede nel segreto e nel segreto ricompensa».
La solitudine che genera comunione
Nel cuore del discorso, Leone XIV ha respinto ogni visione riduttiva o romantica della vita eremitica come fuga dal mondo. «Essa non è fuga dal mondo — ha spiegato — ma rigenerazione del cuore, perché sia capace di ascolto, sorgente di carità e di creatività spirituale». Citandolo esplicitamente, il Papa ha ricordato Evagrio Pontico: «Monaco è colui che, separato da tutti, è unito a tutti». In questa prospettiva, la solitudine orante diventa spazio di solidarietà profonda con l’umanità intera, una comunione che non si fonda sul contatto fisico ma sullo Spirito, sulla preghiera e sulla compassione universale.
«Fermento di vita divina nelle Chiese locali»
Leone XIV ha poi ricordato che la figura dell’eremita diocesano, secondo gli Orientamenti della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata del 2021, «è in relazione aperta con il corpo ecclesiale e con la storia». Ha sottolineato l’importanza della loro presenza nelle aree rurali e interne del Paese, dove spesso mancano presbiteri e religiosi: gli eremiti sono, ha detto, “un respiro spirituale per la comunità cristiana”, capaci di rinnovarne il tessuto interiore. Anche nelle grandi città, spesso “segnate dalla cattiva solitudine”, la loro vita nascosta rappresenta un’oasi di preghiera e comunione, un segno di contraddizione che richiama alla profondità in un mondo dominato dall’esteriorità.
«Custodi del desiderio di Dio»
Rivolgendosi poi al tema centrale dell’interiorità, il Papa ha citato Sant’Agostino: «Il tuo desiderio è la tua preghiera», ricordando che ogni uomo porta nel cuore il fuoco del desiderio di Dio. «Voi — ha detto agli eremiti — siete custodi e testimoni di questo desiderio, affinché ciascuno possa scoprirlo e alimentarlo in sé». Un compito che si estende anche al dialogo con chi, pur non credente, cerca il senso profondo della vita: «È lo Spirito Santo che vi apre al dialogo con tutti i cercatori di senso e di verità».
«Entrare nel mistero della intercessione di Cristo»
In chiusura, il Pontefice ha richiamato gli eremiti alla vocazione intercessoria, invitandoli a «porvi in mezzo tra la creatura fragile e il Padre misericordioso». «Il nostro tempo — ha detto — vi chiede di stare sulla breccia, con le mani alzate e il cuore vigile, solidali con le prove dell’umanità». Con uno sguardo che abbraccia l’intera Chiesa, Leone XIV ha concluso: «Tenendo fisso lo sguardo su Gesù e aprendo le vele del cuore al suo Spirito di vita, navigate con tutta la Chiesa sul mare tempestoso della storia, verso il Regno di amore e di pace che il Padre prepara per tutti». Un discorso intenso, quello del Pontefice, che restituisce alla vita eremitica il suo significato più profondo: non isolamento, ma comunione; non silenzio vuoto, ma parola che intercede; non assenza dal mondo, ma presenza orante nel cuore della Chiesa e dell’umanità.
p.F.T.
Silere non possum