Città del Vaticano - La Sala Clementina, questa mattina alle 11.30, ha accolto un incontro che ha riportato il cinema al suo nucleo originario: una lente attraverso cui guardare la condizione umana. Papa Leone XIV, rivolgendosi ai rappresentanti della cosiddetta “settima arte”, ha ricordato che il cinema, pur avendo solo poco più di un secolo di vita, è riuscito a trasformarsi da semplice “gioco di luci e ombre” a una forma di contemplazione. Non un divertimento accessorio, ma un modo per entrare in contatto con le profondità dell’esistenza. Quel gesto semplice – una sala che si oscura, un fascio di luce che attraversa il buio – diventa per il Papa una metafora della dinamica spirituale: l’immagine in movimento non è solo intrattenimento, ma un monito a tornare dentro sé stessi, a riaprire lo sguardo e a riaccendere la speranza. In questa prospettiva, Leone XIV collega il linguaggio cinematografico a una lunga eredità spirituale: narrare per comprendere, raccontare per ritrovare ciò che era stato dimenticato.

La sala come soglia: educare lo sguardo, non saturarlo

Nel suo discorso il Pontefice ha insistito sulla natura della sala cinematografica come luogo di passaggio: non soltanto fisico, ma esistenziale. Entrare in sala equivale a varcare una soglia verso una dimensione di attenzione e di ascolto che l’iperconnessione digitale tende a dissolvere. Tra schermi accesi, notifiche incessanti e flussi rapidissimi di contenuti, il cinema si distingue proprio perché chiede concentrazione, silenzio, sospensione. È un’arte che rallenta per poter approfondire. Ed è qui che Leone XIV ha introdotto un punto critico: la logica dell’algoritmo, che propone ciò che “funziona” secondo criteri di consumo, rischia di soffocare la libertà creativa. L’arte, al contrario, esiste per aprire possibilità, non per ripetere schemi prevedibili. Difendere la lentezza, la differenza, persino il silenzio, diventa allora un atto di resistenza culturale. È il cinema autentico – non quello costruito per compiacere – che riesce a chiamare per nome le domande che abitano l’uomo e a risvegliare ciò che sembrava assopito.

Le sale che scompaiono e il bisogno di comunità visiva

Leone XIV ha poi richiamato l’attenzione su un tema decisivo: la crisi delle sale cinematografiche. Lo ha fatto con la franchezza di chi coglie il rischio culturale di un’epoca in cui l’esperienza collettiva viene progressivamente erosa. Le sale e i teatri, ha ricordato il Papa, sono cuori pulsanti dei territori: non semplici contenitori, ma luoghi che generano legami, che offrono alle città spazi di incontro e di crescita. La loro chiusura non è un fatto marginale, ma un impoverimento della vita civile. Per questo ha rivolto un appello diretto alle istituzioni: non rassegnarsi all’inerzia del mercato, ma proteggere la funzione sociale e culturale del cinema. È un’idea che risuona con quanto i Pontefici del Novecento hanno sempre riconosciuto: da Pio XII che vedeva nel cinema uno straordinario potere narrativo capace di mobilitare masse globali, a Giovanni XXIII che ne intuiva la forza educativa, a Paolo VI che invitava gli artisti a non trasformare la loro arte in veleno, ma a farne balsamo, visione, responsabilità.

Il cinema come pellegrinaggio: un linguaggio che attraversa il mistero umano

Il Papa ha inserito l’incontro nel contesto del Giubileo, parlando del cinema come di un “pellegrinaggio dell’immaginazione”: un cammino che non misura chilometri, ma immagini, parole, ricordi e desideri condivisi. Una definizione che amplia la comprensione stessa dell’arte cinematografica: non solo racconto, ma esplorazione del mistero dell’esperienza umana. Leone XIV ha riconosciuto agli artisti la capacità – unica – di cogliere la bellezza anche nei solchi del dolore, la speranza dentro le tragedie, l’umanità nelle zone d’ombra. In questo, il cinema conferma la sua natura universale, così come Giovanni Paolo II ricordava quando descriveva la pluralità dei linguaggi cinematografici: dal documentario alla fiaba, dalla storia alla fantascienza, ogni forma è un’effrazione verso l’assoluto. Ed è proprio questa versatilità che permette al cinema di avvicinare popoli lontani, di ricucire ferite sociali, di costruire ponti culturali.

Bellezza, Spirito e responsabilità: il cuore dell’appello di Leone XIV

Uno dei passaggi più intensi è stato il riferimento a David W. Griffith e alla sua frase sulla “bellezza del vento tra gli alberi”. Per Leone XIV quella immagine non descrive solo la poesia del cinema delle origini, ma richiama la pagina evangelica in cui il vento diventa simbolo dello Spirito che soffia dove vuole. È qui che la riflessione del Papa si fa teologica: egli invita i cineasti a fare del cinema un’arte dello Spirito, un luogo in cui l’immagine non intrattiene soltanto, ma rigenera. Da Benedetto XVI, che vedeva nel cinema la capacità di far rivivere pagine di storia, a Francesco, che insisteva sul suo potere di ridestare la meraviglia, si delinea un filo comune: la bellezza cinematografica può diventare una risposta alla disperazione del mondo contemporaneo. Ma, avverte Leone XIV, questa bellezza deve essere onesta: non sfruttare il dolore, ma accompagnarlo; non deformare la fragilità, ma ascoltarla. Solo così un film può educare lo sguardo senza cadere nella retorica o nella manipolazione.

Il cinema come opera comunitaria: una scuola di fraternità in un’epoca individualista

Nella parte finale del discorso il Papa ha ricordato ciò che spesso lo spettatore ignora: un film non è mai il frutto del genio solitario di un regista, ma il lavoro corale di centinaia di professionisti. Assistenti, tecnici, elettricisti, truccatori, costumisti, fonici, scenografi, montatori, produttori: una costellazione di ruoli che rende possibile ciò che appare sullo schermo. In un’epoca segnata da personalismi esasperati e conflittuali, il cinema diventa un esempio concreto di cooperazione. Nessuno basta a sé stesso, nessuno può brillare senza l’apporto degli altri. È una lezione che trascende l’ambito artistico e tocca la vita sociale: la creatività non è mai pura espressione individuale, ma nasce da un tessuto di relazioni. Ecco perché il Papa ha invitato il mondo del cinema a custodire questo spirito di collaborazione, affinché le opere continuino a essere luoghi di incontro, linguaggi di pace, spazi nei quali intravedere un frammento del mistero di Dio.

Un mandato finale: essere artigiani di speranza

Concludendo, Leone XIV ha affidato agli artisti un compito che supera la dimensione professionale. Ha chiesto loro di non temere il confronto con le ferite del mondo, di non censurare la complessità delle emozioni, di non rinunciare alla verità dell’immagine. Il cinema, quando è fedele alla sua vocazione, diventa un atto d’amore: restituisce dignità, ascolta il dolore, illumina ciò che è nascosto. Il Papa ha benedetto i presenti perché possano continuare ad essere “artigiani della speranza”, capaci di generare bellezza in un’epoca che rischia il disincanto, e di raccontare l’umanità non come un problema da risolvere, ma come un mistero da comprendere. Una responsabilità grande, ma anche un dono: quello di parlare al cuore degli uomini attraverso la forza inesauribile delle immagini.

d.J.U.
Silere non possum