The Supreme Pontiff inaugurated the judicial year of the Vatican City State
Questa mattina, nell’Aula della Benedizione, il Sommo Pontefice ha presieduto l’inaugurazione del XCIII Anno Giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano. Erano presenti gli Em.mi Sig.ri Cardinali Tarcisio Bertone, Gianfranco Ravasi, Leonardo Sandri, Giuseppe Versaldi, Dominique François Joseph Mamberti e Mauro Gambetti; gli Ecc.mi Vescovi Edgar Peña Parra, Paul Richard Gallagher, Filippo Iannone, Nunzio Galantino, Francesco Vittorio Viola, Andrea Ripa e Juan Ignacio Arrieta Ochoa de Chinchetru. Erano presenti anche Sua Eccellenza Mons. Alejandro Arellano Cedillo, presidente della Corte d'appello dello Stato della Città del Vaticano e il Dott. Giuseppe Pignatone, presidente del tribunale vaticano. Per l'ufficio del Promotore di Giustizia erano presenti la dott.ssa Catia Summaria, la quale svolge le funzioni di PdG presso la Corte d'appello e l'Avv. Alessandro Diddi, promotore di giustizia aggiunto presso il tribunale vaticano. Erano presenti diversi Officiali, gli Avvocati, i Collaboratori del Tribunale e alcuni rappresentanti degli organi giurisdizionali della Repubblica Italiana.
Il Papa ha parlato di giustizia ed equo processo e si è rivolto ai magistrati invitando all'ascolto. "Questo camminare insieme, dice il Papa, richiede quindi un esercizio di ascolto, che, come sappiamo, appartiene alla natura stessa di un giusto processo. Nell’attività giudiziale è richiesto ai magistrati un esercizio costante di ascolto onesto di quanto viene argomentato e dimostrato dalle parti, senza pregiudizi o precomprensioni nei loro confronti. Con la stessa disponibilità all’ascolto, che richiede tempo e pazienza, ogni membro del collegio giudicante deve aprirsi alle ragioni presentate dagli altri membri, per arrivare a un giudizio ponderato e condiviso". Affermazioni che suonano distanti dalle disposizioni che il Papa ha dato in riferimento al processo Sloane Avenue e al comportamento dei suoi magistrati. Gli avvocati, in aula, hanno più volte lamentato una mancanza di comunicazione leale e schietta fra il Promotore di Giustizia e i difensori; un comportamento che ha portato l'accusa a rifiutare di adempiere gli ordini del tribunale vaticano.
Il Pontefice poi ci tiene a tornare sull'importanza del diritto canonico nell'ordinamento vaticano: "Il diritto canonico, come è noto, in considerazione della particolare natura dello Stato della Città del Vaticano, viene riconosciuto nell’ordinamento vaticano come «la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo». Occorre peraltro ricordare che nelle materie alle quali non provvedono il diritto della Chiesa e le altre “fonti principali” del diritto si osservano, in via suppletiva e previo recepimento da parte della competente autorità vaticana, le leggi e gli altri atti normativi emanati nello Stato italiano, purché non risultino contrari ai precetti di diritto proprio, né ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi". Una particolare precisazione che suona alquanto strana e appare come una strigliata per quei soggetti che di diritto canonico sono a digiuno ma esercitano oltre Tevere.
Francesco risponde anche alle numerose contestazioni che sono arrivate a Santa Marta negli ultimi mesi, questioni sollevate anche da Silere non possum che ha denunciato una totale incompetenza dei magistrati che oggi esercitano oltre Tevere. Il Papa dice: "Rispetto a un quadro normativo così articolato, risulta evidente la ratio della disciplina circa la nomina dei magistrati, contenuta nella legge sull’ordinamento giudiziario di recente novellata (art. 8). Essa stabilisce che i magistrati del Tribunale devono essere – cito – «scelti preferibilmente tra professori universitari […] e comunque tra giuristi di chiara fama che abbiano maturato una comprovata esperienza in ambito giudiziario o forense, civile, penale o amministrativo», e «in ogni caso, è assicurata la presenza di almeno un magistrato esperto di diritto canonico ed ecclesiastico» (art. 8). Una tale previsione mira opportunamente a garantire, in seno al Collegio giudicante e all’Ufficio del Promotore di giustizia, la presenza di competenze che aiutino ad assicurare la migliore conoscenza di un sistema delle fonti peculiare e complesso come quello vaticano e la possibilità di decisioni autorevoli e affidabili."
Purtroppo però Francesco dimentica una questione importante, ovvero che questi magistrati sono esperti del diritto italiano e non vaticano. Inoltre, l'articolo che lui cita, tagliandone appositamente una parte, recita: "I magistrati sono scelti preferibilmente tra professori universitari di ruolo o in quiescenza, e comunque tra giuristi di chiara fama che abbiano maturato una comprovata esperienza in ambito giudiziario o forense, civile, penale o amministrativo. In ogni caso, è assicurata la presenza di almeno un magistrato esperto di diritto canonico ed ecclesiastico". A noi non risulta che Pignatone, Diddì, Bozzi abbiano competenze in diritto canonico ed ecclesiastico. Ci sembra di poter, senza timore di esser smentiti, che questi soggetti sono completamente a digiuno sia di diritto canonico che vaticano. Tralasciando l'eccezione di Diddì che non conosce neppure la distinzione fra presunzione di innocenza e di non colpevolezza, la quale definizione non è differente da SCV a Repubblica Italiana.
Un bel discorso quello di Francesco, pronunciato questa mattina, che però lascia l'amaro in bocca. Come al solito la teoria per il Pontefice è sempre molto chiara ma la pratica lascia desiderare. Sia negli articoli che riguardano il processo Sloane Avenue sia nell'analisi di Marco Felipe Perfetti, esperto di diritto vaticano e canonico, potrete verificare come in questo processo specifico non sia stato attuato nulla di tutto ciò che Francesco ha detto questa mattina.
G.M.
Silere non possum
IL DISCORSO PRONUNCIATO DAL SOMMO PONTEFICE
Illustri Signore e Signori,
Sono lieto di incontrarvi per l’inaugurazione del 93° anno giudiziario del Tribunale dello Stato della Città del Vaticano.
Saluto il Cardinale Mamberti, Presidente della Corte di Cassazione, e i Cardinali giudici della medesima Corte.
Saluto Mons. Arellano Cedillo e i giudici della Corte d’Appello. Ringrazio, in particolare, il Presidente del Tribunale, Giuseppe Pignatone, e il Promotore di Giustizia, Gian Piero Milano, i magistrati dei rispettivi uffici e i loro collaboratori, per la dedizione con la quale si impegnano nel delicato servizio dell’amministrazione della giustizia. Sono lieto e grato anche della presenza di diversi rappresentanti dei più alti organi giurisdizionali dello Stato italiano.
A tutti formulo i migliori auguri per l’Anno giudiziario che oggi inauguriamo.
La vostra presenza qualificata e numerosa sottolinea l’importanza che riconosciamo a questa ricorrenza, occasione di incontro e di dialogo fra persone impegnate nel mondo delle istituzioni e in particolare della giustizia. Infatti, in un momento così critico per l’umanità, in cui l’idea del bene comune – che è molto più della somma dei beni individuali – è messa alla prova, si tratta di un impegno gravoso e carico di responsabilità. Esso infatti riguarda i valori fondamentali per la nostra convivenza e si realizza in un ambito che rappresenta un terreno privilegiato di convergenza e collaborazione fra credenti e non credenti.
La prima riflessione che desidero condividere nasce dal percorso sinodale che stiamo vivendo. Questo percorso, infatti, come ho ricordato in una recente occasione (cfr Discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale della Rota Romana), interpella anche l’ambito giudiziario. La sinodalità implica anzitutto il camminare insieme. Nelle vicende giudiziarie ciò significa che tutti i partecipanti al processo, pur nella necessaria diversità dei ruoli e degli interessi, sono chiamati a concorrere all’accertamento della verità tramite il contraddittorio, il confronto degli argomenti e l’accurato esame delle prove. Questo camminare insieme richiede quindi un esercizio di ascolto, che, come sappiamo, appartiene alla natura stessa di un giusto processo. Nell’attività giudiziale è richiesto ai magistrati un esercizio costante di ascolto onesto di quanto viene argomentato e dimostrato dalle parti, senza pregiudizi o precomprensioni nei loro confronti. Con la stessa disponibilità all’ascolto, che richiede tempo e pazienza, ogni membro del collegio giudicante deve aprirsi alle ragioni presentate dagli altri membri, per arrivare a un giudizio ponderato e condiviso. Un serio e paziente lavoro di discernimento rimane pertanto imprescindibile per arrivare all’esito di una sentenza giusta e realizzare così la natura e la finalità proprie del processo, che dev’essere attuazione di giustizia rispetto alle persone coinvolte e, insieme, riparazione dell’armonia sociale che guarda al futuro e aiuta a ricominciare. A tal fine, le esigenze di giustizia implicano una valutazione comparata di posizioni e interessi contrapposti ed esigono una riparazione. Inoltre, nei processi penali, la giustizia va sempre coniugata con le istanze di misericordia, che in ultima analisi invitano alla conversione e al perdono. Fra questi due poli sussiste una complementarità e si deve cercare un bilanciamento, nella consapevolezza che, se è vero che una misericordia senza giustizia porta alla dissoluzione dell’ordine sociale, è pur vero che «la misericordia è la pienezza della giustizia e la manifestazione più luminosa della verità di Dio» (Esort. ap. postsin. Amoris laetitia, 311). In questa prospettiva, è prezioso il ricorso all’equità, sapientemente definita come la giustizia del caso singolo. Essa, pur restando fermo il precetto legislativo, nel momento di applicazione della legge generale induce a tener conto delle esigenze del caso concreto, di particolari situazioni di fatto meritevoli di specifica considerazione. Il ricorso all’equità non costituisce una prerogativa esclusiva del diritto canonico, ma indubbiamente trova in esso particolare riconoscimento e valorizzazione, ponendosi in stretta relazione con il precetto della carità evangelica, vero principio ispiratore di tutto l’agire della Chiesa. Il diritto canonico, come è noto, in considerazione della particolare natura dello Stato della Città del Vaticano, viene riconosciuto nell’ordinamento vaticano come «la prima fonte normativa e il primo criterio di riferimento interpretativo» (art. 1 Legge sulle fonti N. LXXI del 1º ottobre 2008). Occorre peraltro ricordare che nelle materie alle quali non provvedono il diritto della Chiesa e le altre “fonti principali” del diritto (indicate nell’articolo 1 della Legge sulle fonti) si osservano, in via suppletiva e previo recepimento da parte della competente autorità vaticana, le leggi e gli altri atti normativi emanati nello Stato italiano, purché non risultino contrari ai precetti di diritto proprio, né ai principi generali del diritto canonico, nonché alle norme dei Patti Lateranensi e successivi Accordi (cfr. art. 3 Legge sulle fonti cit.). Rispetto a un quadro normativo così articolato, risulta evidente la ratio della disciplina circa la nomina dei magistrati, contenuta nella legge sull’ordinamento giudiziario di recente novellata (art. 8). Essa stabilisce che i magistrati del Tribunale devono essere – cito – «scelti preferibilmente tra professori universitari […] e comunque tra giuristi di chiara fama che abbiano maturato una comprovata esperienza in ambito giudiziario o forense, civile, penale o amministrativo», e «in ogni caso, è assicurata la presenza di almeno un magistrato esperto di diritto canonico ed ecclesiastico» (art. 8). Una tale previsione mira opportunamente a garantire, in seno al Collegio giudicante e all’Ufficio del Promotore di giustizia, la presenza di competenze che aiutino ad assicurare la migliore conoscenza di un sistema delle fonti peculiare e complesso come quello vaticano e la possibilità di decisioni autorevoli e affidabili. In tale prospettiva, il lavoro che i magistrati svolgono per garantire l’esercizio della giustizia offre un contributo necessario e pienamente legittimato per la soluzione dei problemi di carattere civile e penale, ulteriori e diversi rispetto a quelli di competenza dei Tribunali Apostolici e canonici. Si tratta di un lavoro destinato ad aumentare in una stagione di riforme come quella da qualche tempo avviata, che è proseguita anche nel corso dell’ultimo anno, con alcune rilevanti novità sia in ambito economico e finanziario, sia nel settore della giustizia. Riforme che intendono corrispondere, da un lato, ai parametri sviluppati dalla comunità internazionale in diversi ambiti, come quello economico, e, dall’altro, all’esigenza propria e principale della Chiesa di adeguare tutte le sue strutture a uno stile sempre più evangelico. Riguardo al primo versante, sono state introdotte disposizioni per favorire il processo di contenimento della spesa, [Cfr Lett. Ap. in forma di “Motu Proprio” circa il contenimento della spesa per il personale della Santa Sede, del Governatorato dello Stato della Città del Vaticano e di altri Enti collegati (23 marzo 2021).] reso purtroppo ancora più urgente dalle difficoltà causate dalla pandemia, e per rafforzare ulteriormente la trasparenza nella gestione della finanza pubblica,[Cfr Lett. Ap. in forma di “Motu Proprio” recante disposizioni sulla trasparenza nella gestione della finanza pubblica (26 aprile 2021)] che, in una realtà quale la Chiesa, dev’essere esemplare e irreprensibile, soprattutto da parte dei soggetti che ricoprono importanti ruoli di responsabilità. Riguardo al settore della giustizia, si è voluto rispondere, mediante mirate modifiche e integrazioni, ad alcune esigenze di aggiornamento del quadro normativo che richiedevano il superamento di assetti ormai inadeguati. La ricerca della giustizia reclama anche riforme strutturali che permettano la sua giusta applicazione.
Fra le novità più rilevanti desidero sottolineare, ai fini di una sempre più piena e condivisa attuazione, in particolare quelle che, modificando la legge sull’ordinamento giudiziario, hanno stabilito che l’ufficio del Promotore di giustizia eserciti il proprio ruolo nei tre gradi di giudizio [ Lett. Ap. in forma di “Motu Proprio” Modifiche in tema di competenza degli organi giudiziari dello Stato della Città del Vaticano (30 aprile 2021), art. 3]. In tal modo si è inteso rispondere alla prioritaria esigenza che nel sistema processuale vigente emerga l’uguaglianza tra tutti i membri della Chiesa e la loro pari dignità e posizione, senza privilegi risalenti nel tempo e non più consoni alle responsabilità che a ciascuno competono nella aedificatio Ecclesiae [Discorso di inaugurazione dell’anno giudiziario del Tribunale SCV, 27 marzo 2021]. Ulteriori esigenze di aggiornamento della normativa vaticana, soprattutto nell’ambito della procedura penale e della cooperazione internazionale, potranno trovare risposta in interventi mirati di riforma che già sono allo studio, al fine di rafforzare gli strumenti di prevenzione e contrasto dei reati e di rispondere alla crescente domanda di giustizia che si registra anche nel nostro Stato. Al riguardo, si può ricordare che nel corso dell’ultimo anno sono giunte a decisione alcune complesse vicende giudiziarie, relative a reati in ambito finanziario ovvero a reati contro i buoni costumi, che hanno fatto emergere sia comportamenti delittuosi puntualmente sanzionati, sia condotte inappropriate che hanno sollecitato l’intervento dell’autorità ecclesiastica competente.
Lo svolgimento della dinamica processuale deve consentire di ristabilire l’ordine infranto e perseguire la via della giustizia, via che conduce a una fraternità sempre più piena ed effettiva, in cui tutti sono tutelati, specie i più deboli e fragili. La legge e il giudizio devono infatti essere sempre a servizio della verità e della giustizia, oltre che della virtù evangelica della carità. Come affermato da San Giovanni Paolo II nel discorso per la presentazione ufficiale del nuovo Codice di diritto canonico, nel servire la causa della giustizia il diritto dovrà sempre ispirarsi alla legge-comandamento della carità.
In quest’ottica, che esclude ogni visione autoreferenziale della legge, la giustizia proposta da Gesù Cristo non è tanto un insieme di regole da applicare con perizia tecnica, ma piuttosto una disposizione della vita che guida chi ha responsabilità e che esige anzitutto un impegno di conversione personale. Chiede una disposizione del cuore da implorare e alimentare nella preghiera e grazie alla quale possiamo adempiere i nostri doveri coniugando la correttezza delle leggi con la misericordia, che non è la sospensione della giustizia, ma il suo compimento (cfr Rm 13, 8-10).
Carissimi, vi auguro di custodire sempre questa consapevolezza nell’esercizio delle vostre importanti responsabilità a servizio della giustizia. Con viva riconoscenza per il vostro impegno generoso, vi benedico e vi assicuro la mia preghiera.
E anche voi, per favore, non dimenticatevi di pregare per me. Grazie!