Città del Vaticano - Papa Leone XIV ha trascorso i mesi estivi dedicandosi all’ascolto e all’osservazione, per maturare con calma le prime decisioni. Questo metodo, fondato sulla pazienza e sul discernimento, resta il tratto distintivo del suo pontificato. Ma al tempo dell’ascolto si accompagna ora la necessità di compiere scelte di governo: negli ultimi giorni sono state infatti rese note alcune delle decisioni adottate da Prevost.

Tra queste spicca la nomina del secondo segretario personale, compito affidato al reverendo don Marco Billeri, sacerdote della diocesi di San Miniato, canonista e già titolare di diversi incarichi di responsabilità. Una decisione che non appare affatto casuale. In questa intervista al settimanale diocesano, don Marco condivide come sta vivendo il nuovo incarico, le attese e le rinunce che lo accompagnano, offrendo uno sguardo personale e spirituale su questo passaggio decisivo della sua vita e del suo ministero.

Giornalista: Don Marco, come sta vivendo questo momento?

Don Marco Billeri:
«Vivo questo tempo con grande trepidazione, secondo l’etimo stesso della parola ovvero alternando le opposte sollecitazioni della speranza e del timore. Infatti, da una parte sono pieno di commozione, stupore e gratitudine verso il Santo Padre per questa richiesta, nella speranza che possa essere maggiormente di aiuto al suo ministero, ma dall’altra parte intravedo la gravità del servizio. Mi sovvengono in mente anche tanti altri pensieri, tanti volti soprattutto, di persone che in qualche modo sarò maggiormente limitato a vedere e frequentare, contesti da lasciare e in generale anche tante domande sulle cose materiali legate all’imminenza del trasferimento presso la Santa Sede. Ammetto che talvolta mi accorgo del rischio di perdermi dietro a questi pensieri e allora subito mi viene alla mente la domanda che il Maestro rivolge ai discepoli nel ventiduesimo capitolo del Vangelo di Luca: “quando vi ho mandato [a due a due senza portare niente con voi]… vi è forse mancato qualcosa? ed essi risposero: nulla”. Poi anche le parole del Manzoni quando dice: “Dio non turba mai la gioia dei suoi figli se non per prepararne loro una più certa e più grande”: so che non ho cercato niente di tutto questo, che se il Signore lo permette, evidentemente da questa strada può venirne un bene e una crescita e questo pensiero mi consola. Capisco che non è una risposta esauriente, ma si alterna un po’ questo nella mente».

Giornalista:
Quali sono le sue aspettative per questo servizio?

Don Marco Billeri: «Come ho detto, vivo tutto con trepidazione. Credo che molte delle fatiche che ci saranno verranno ripagate, oltre che dal Signore, anche dalla vicinanza al Pontefice: dal poterlo ascoltare, vedere la sua sollecitudine per la Chiesa universale e per il bene di tutti gli uomini del mondo. Consolazione mi viene inoltre dal sapere che egli dispone di altri validissimi collaboratori; in primo luogo, il suo primo segretario particolare e i molti che nella Santa Sede, a diverso titolo, con dedizione collaborano alla missione della Chiesa nel mondo».


Giornalista: Pensando agli incarichi che dovrà lasciare quali sono le prime sensazioni?

Don Marco Billeri:
«Innanzitutto in questo momento sento una gratitudine grande verso Dio per i contesti in cui finora mi è stato dato di poter stare e allo stesso tempo sento il desiderio di affidargli le tante persone e realtà che mi è stato dato di poter incontrare e servire. Poi direi che la prima realtà concreta che mi viene in mente è il lavoro presso il Tribunale Ecclesiastico Regionale, un lavoro molto delicato ma anche molto pastorale, come è proprio del diritto canonico e di ogni azione della Chiesa; in quel contesto, a contatto con la sofferenza e il dolore, si è posti in un luogo davvero singolare da dove poter aiutare le persone in un momento difficile della loro vita perché, attraverso un percorso di verità con la propria storia, si possa ritrovare la pace perduta. Inoltre lì ho avuto modo di collaborare con molte persone e anche di approfondire questioni che si sono rivelate proficue per il ministero. Sento quindi di dover ringraziare per il grande dono che è stato finora questo servizio. Mi viene in mente, poi, il servizio alla liturgia diocesana, innanzitutto come Cerimoniere vescovile e poi collaborando strettamente con l’Ufficio liturgico. Qui ho avuto modo di poter approfondire il tesoro della liturgia e anche poter contare sulla collaborazione di molte persone, specie di giovani, che mi hanno rincuorato con la loro dedizione e serietà: il pensiero e la gratitudine in questo momento va anche a loro. Certamente poi ho in mente molte altre cose, legate ad altri incarichi… non posso non menzionare la parrocchia dove sono adesso in quanto sento il dovere e il bisogno di affidare il loro cammino a Dio, certo che ogni percorso buono poi ci riunisce in Cielo. Porto nel cuore specialmente alcune situazioni di sofferenza, di malattia, di solitudine o di lutto. Credo che ci saranno anche dinamiche che un po’ mi mancheranno, come le benedizioni delle famiglie, che da noi si fanno ancora porta a porta, in ogni strada… un po’ impegnative in effetti, ma ammetto che ogni anno avevo piacere di arrivare a quel momento per incontrare tante storie. Ricordo con affetto anche tante altre realtà parrocchiali dove, per un motivo o un altro, sono stato e poi certamente vorrei menzionare e ringraziare la diocesi di Volterra con cui c’è stata una proficua e preziosa collaborazione. Nel ricordare le cose dette e le persone incontrate, non posso fare a meno anche di domandare perdono per le mancanze e per gli errori senz’altro commessi: taluni di cui ho avuto contezza, altri che nemmeno ho visto».

Giornalista: Lascerà tutto di nuovo…

Don Marco Billeri:
«Era già avvenuto quando sono entrato in seminario e poi, se pur in un modo diverso, quando mi è stato chiesto di andare a Roma per lo studio del diritto… ed è un po’ ancora la sensazione che vivo in questi giorni, sì. Ma ho già parlato di questo prima. In fin dei conti mi vengono in aiuto le parole di Giobbe, che sono un ottimo insegnamento: «Nudo uscii dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore». Comunque a guardare bene, ha delle consolanti peculiarità questo “lasciare”: ne ho in mente almeno quattro. La prima tiene in considerazione che ogni cosa con cui abbiamo a che fare, specie nel ministero sacerdotale, ci vede amministratori e non proprietari: oltre la volontà, non abbiamo in mano veramente qualcosa di nostro che poi dobbiamo “lasciare”: tutto è di Dio e noi siamo chiamati a custodire queste realtà per un certo tempo e poi riconsegnarle a Lui, che ne dispone secondo il Suo progetto. Siamo quindi chiamati a tenere sempre a mente che un giorno dovremo passare le consegne, lavorando al meglio, tenendo in ordine quanto affidato e non facendo deteriorare quello che si amministra ma piuttosto fruttare, secondo il monito della nota parabola dei talenti. In definitiva è l’immagine della stessa vita. Tra l’altro, coi dovuti adattamenti, questo discorso vale anche per i fratelli che incontriamo lungo la strada.

In secondo luogo, spero di poter mantenere qualcosa di ciò che seguo adesso; penso per esempio al prezioso lavoro con la rivista di “Quaderni di Diritto Ecclesiale”, di cui sono membro, che mi ha permesso di studiare e approfondire molti aspetti restando, per così dire, nell’ambito accademico. Se è vero che non so se e in quali forme questo potrà essere ancora fatto in avvenire, la speranza c’è.

La terza peculiarità è che non me ne vado definitivamente dalla Toscana e dalla diocesi. Quello che inizio è un servizio che ha un termine. Non si tratta di qualcosa di definitivo; resto un sacerdote figlio di questa terra, giuridicamente qui incardinato e quando il Santo Padre lo riterrà opportuno, rientrerò in diocesi prendendo gli impegni che il Vescovo vorrà assegnarmi e il posto che ora vado ad occupare lo prenderà qualcun altro, proprio secondo quanto ci insegna la Scrittura, in un modo che descrive anch’esso la nostra vita. Questo agire, a ben vedere, è consolante: ci sgrava dall’idea dell’inadeguatezza a risolvere ogni singolo problema esistente e dall’altra parte mostra che solo Gesù Cristo resta. Infine, noi andiamo verso l’eternità e quindi in realtà non lasciamo, non perdiamo veramente, ma seminiamo, in attesa del raccolto finale».

Giornalista:
Cos’altro vuole dire ai lettori?

Don Marco Billeri:
«Chi è chiamato a svolgere questo genere di incarichi, meno parla meglio è. Forse sembrerà un po’ fuori contesto detto al termine di un’intervista, ma in fin dei conti ho solo parlato di quanto ho svolto finora e raccontato la mia fiducia in Dio.

Forse però a conclusione potrei aggiungere un invito a pregare per il Santo Padre Leone XIV, chiamato a guidare la Chiesa in un momento storico davvero singolare. E assieme a lui, pregare anche per tutti coloro che lo aiutano, in varie forme, in questo ministero. La mia persona e vicenda è poca cosa: svolgerò questo servizio per un tempo limitato, ma se questa mia vicenda ravviva in taluni l’affetto e il ricordo nella preghiera per il Santo Padre e per chi collabora con lui, allora è stata senz’altro già utile a qualcosa».