Città del Vaticano – Domani, 4 novembre 2025, il Dicastero per la Dottrina della Fede renderà pubblico un documento che Silere non possum offre oggi ai propri lettori in esclusiva. Con la pubblicazione di questa Nota dottrinale, Mater Populi fidelis, l’ex Sant’Uffizio offre un’ampia e articolata riflessione su alcuni titoli attribuiti alla Vergine Maria nel corso della storia e sulle loro implicazioni teologiche e pastorali. Il testo, approvato da Papa Leone XIV e firmato dal cardinale Víctor Manuel Fernández, nasce dopo decenni di richieste e proposte giunte alla Santa Sede da teologi, movimenti e fedeli riguardo alla possibilità di riconoscere nuovi dogmi o nuovi titoli mariani.
La Nota - si legge nella Presentazione - risponde a «numerose domande e proposte giunte presso la Santa Sede negli ultimi decenni, in particolare su alcuni titoli mariani», e si propone di chiarire in che senso essi siano accettabili o meno, precisando «il posto di Maria nella sua relazione con i fedeli, alla luce del mistero di Cristo quale unico Mediatore e Redentore».
Il documento si radica in una preoccupazione teologica e pastorale insieme: mantenere il necessario equilibrio tra l’unicità della mediazione di Cristo e la cooperazione di Maria all’opera della salvezza, tutelando la fede del popolo cristiano e, al contempo, la sensibilità ecumenica.
Origine e scopo della Nota
La Mater Populi fidelis è il frutto di oltre trent’anni di studi e discussioni interne al Dicastero, di congressi e sessioni che hanno raccolto un “materiale abbondante e ricco”, oggi sistematizzato in questa sintesi. Come spiega il cardinale Fernández, lo scopo non è “correggere” la pietà del popolo di Dio, ma valorizzarla e purificarla, riconoscendo la sua bellezza e il suo valore mistagogico. Tuttavia, accanto alla genuina devozione popolare, esistono correnti, pubblicazioni e movimenti che «propongono nuovi sviluppi dogmatici» e che, attraverso i media, rischiano di confondere i fedeli più semplici.
Per questo il documento interviene per indicare quali titoli rispondono a una devozione ispirata al Vangelo e quali invece «devono essere evitati, perché non favoriscono un’adeguata comprensione dell’armonia del messaggio cristiano nel suo insieme».
Il fondamento: Maria madre dei credenti
Il titolo stesso, Mater Populi fidelis (“Madre del Popolo fedele”), esprime la prospettiva del documento. Maria è la Madre dei credenti, «manifestazione femminile di ciò che la grazia di Cristo può operare in un essere umano».
La sua cooperazione alla salvezza si manifesta prima nell’Annunciazione, poi nel suo “sì” rinnovato ai piedi della Croce, dove diventa madre del discepolo e di ogni credente. Il testo mostra come la maternità di Maria appartenga al compimento del piano divino e si fondi su una cooperazione pienamente libera, ma subordinata all’unica opera redentrice del Figlio. La cooperazione mariana, spiega la Nota, ha struttura trinitaria: è iniziativa del Padre, si compie nel Figlio e si realizza nella potenza dello Spirito Santo.
I titoli sotto esame
Il documento distingue i titoli tradizionali - come Madre della Misericordia, Avvocata, Aiuto dei cristiani - da quelli che implicano una partecipazione diretta all’opera redentrice, cioè Corredentrice e Mediatrice di tutte le grazie. Sono questi ultimi a richiedere, secondo il Dicastero, un chiarimento.
“Corredentrice”: un titolo da non usare
La Mater Populi fidelis ricostruisce la storia del titolo Corredentrice, comparso nel XV secolo come evoluzione del termine Redentrice (abbreviazione di “Madre del Redentore”).
Il documento ricorda che alcuni Papi del XX secolo lo usarono in modo non tecnico, ma il Concilio Vaticano II scelse di non adottarlo, per ragioni dottrinali, pastorali ed ecumeniche. Il cardinale Joseph Ratzinger, da prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, aveva già espresso un giudizio negativo: il titolo “si allontana troppo dal linguaggio della Scrittura e della patristica e causa malintesi”, perché “Maria è ciò che è grazie a Cristo”.
Anche Francesco ha ribadito che «la Madonna non si è mai presentata come corredentrice. Il Redentore è uno solo e questo titolo non si raddoppia».
Il documento recepisce queste posizioni e afferma in modo netto: «È sempre inappropriato usare il titolo di Corredentrice per definire la cooperazione di Maria. Esso rischia di oscurare l’unica mediazione salvifica di Cristo e può generare confusione e squilibrio nell’armonia delle verità della fede cristiana».
Di conseguenza, il titolo di “Corredentrice” non deve essere utilizzato né promosso in alcuna forma - liturgica, catechistica o devozionale - poiché non aiuta a comprendere correttamente il posto di Maria nel mistero della salvezza.
“Mediatrice di tutte le grazie”: titolo da evitare
Il documento affronta poi la questione della Mediazione universale di Maria, sviluppata tra XIX e XX secolo, in particolare dalla scuola di Lovanio. Pur riconoscendo il valore spirituale dell’idea di intercessione materna, la Nota rileva che il termine “Mediatrice di tutte le grazie” non trova fondamento chiaro nella Rivelazione e comporta difficoltà teologiche. La Scrittura è esplicita: «Uno solo è il Mediatore tra Dio e gli uomini, l’uomo Cristo Gesù» (1Tm 2,5).
Alla luce di questo, la Nota distingue due livelli:
Il titolo Mediatrice può essere ammesso solo se compreso in senso subordinato e analogico, come intercessione e cooperazione alla grazia.
L’espressione Mediatrice di tutte le grazie va evitata, perché suggerisce un passaggio necessario della grazia “attraverso” Maria, creando l’idea di una distribuzione indipendente o parallela rispetto a Cristo .
In realtà, spiega il testo, solo Dio dona la grazia, e lo fa per mezzo dell’umanità di Cristo. Maria non è la sorgente della grazia, ma la “piena di grazia” che dispone i cuori ad accoglierla. Attribuirle una funzione di “canale necessario” o di “depositaria” della grazia significa contraddire la dottrina cattolica della mediazione unica di Cristo.
Titoli ammessi e significato autentico
La Mater Populi fidelis conferma invece i titoli tradizionali già riconosciuti dalla Chiesa: Madre di Dio, Madre della Chiesa, Madre della Misericordia, Avvocata, Aiuto dei Cristiani, Regina della Pace, Madonna del Buon Consiglio.
Essi «esprimono in modo equilibrato il ruolo materno e intercessorio di Maria, senza intaccare l’unicità della mediazione di Cristo». Il documento chiarisce anche il significato corretto di “Mediatrice”: si tratta di una mediazione materna e partecipata, non di una mediazione sacerdotale o causale. Maria non è “fonte di grazia”, ma segno e strumento dell’amore di Dio, una presenza che dispone, accompagna e intercede.
La teologia della grazia: nessuna creatura è dispensatrice universale
Le pagine più dense della Nota sviluppano una riflessione sulla grazia santificante. Citazioni di Sant’Agostino, San Tommaso d’Aquino e San Bonaventura mostrano che solo Dio può conferire la grazia, perché solo Lui “penetra nel cuore dell’uomo” e lo trasforma. Nessuna creatura - nemmeno Maria - può essere causa della giustificazione o della santificazione.
Il testo è esplicito: «Nessuna persona umana, nemmeno gli Apostoli o la Santissima Vergine, può agire come dispensatore universale della grazia. Solo Dio può donarla e lo fa per mezzo dell’umanità di Cristo» .
La maternità spirituale: la via corretta
La cooperazione di Maria all’opera della salvezza trova la sua forma autentica nella maternità spirituale: ella «intercede, accompagna, educa», e la sua funzione è dispositiva, non causale. Come a Cana, Maria non determina l’azione di Cristo, ma la provoca con la sua fede: “Non hanno più vino”. Così nella vita della Chiesa, la sua intercessione “dispone i cuori all’azione di Cristo nello Spirito Santo”.
È questo il senso profondo del titolo Mater Populi fidelis: Maria non è “tra” Dio e l’uomo come intermediaria, ma accanto all’uomo, come Madre che orienta verso il Figlio.
Un testo di continuità
La Mater Populi fidelis non introduce novità dottrinali, ma ricompone la teologia mariana nel suo equilibrio tradizionale:
Cristo è l’unico Redentore e Mediatore.
Maria è Madre, interceditrice e modello della Chiesa.
Ogni titolo mariano deve condurre a Cristo, non sostituirlo.
Il documento conclude con un richiamo alla sobrietà teologica e pastorale: “Non si fa onore a Maria attribuendole una qualsiasi mediazione nel compimento dell’opera divina”. La vera devozione, afferma il testo, «è quella che riconosce in Maria la discepola perfetta del Signore, la serva del mistero, colei che dice: “Fate quello che vi dirà”».
d.T.A.
Silere non possum