Nella trasmissione televisiva Diritto e Rovescio, condotta da Paolo Del Debbio, il Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana è intervenuta per parlare, fra le altre cose, della riforma del premieranno. 

Tralasciando le diverse affermazioni fatte, le quali sinceramente poco ci importano, è bene soffermarsi sulle dichiarazioni di Giorgia Meloni in merito alla Conferenza Episcopale Italiana. Il conduttore, che ha condotto l'intera puntata sviolinando il premier, si è permesso di commentare: «Non pensavo che i presuli italiani fossero esperti di riforme istituzionali». Innanzitutto, è bene rammentare che, a differenza di Del Debbio, ci sono diversi vescovi italiani che hanno ottenuto lauree in diritto e in diverse materie in università serie, non l'Urbaniana. Se le affermazioni di persone autorevoli, che rappresentano ancora gran parte dell'elettorato italiano, non piacciono a determinate forze politiche è bene che l'attacco venga fatto sul merito, non su una presunta "non ingerenza". Abbiamo visto in questi anni che, sia destra che sinistra, hanno giovato e puntato molto sull'intervento dei vescovi italiani. Nel 2024 è abbastanza ridicolo dover stare a spiegare a ridicoli conduttori lucchesi che la libertà dello Stato e della Chiesa non si esplicita in un silenzio obbligato. I vescovi sono cittadini come tutti gli altri e godono dei medesimi diritti e doveri. Le preoccupazioni che sono state avanzate dovrebbero trovare una risposta da parte della politica che sia volta a rassicurare e non ad attaccare l'istituzione. 

Sulla medesima scia, dimostrando ancora una volta la completa ignoranza dei soggetti che vengono eletti dal popolo italiano, è intervenuto il presidente del Consiglio. Se l'attacco arriva da un analfabeta conduttore televisivo il problema non si pone, ma se arriva dal presidente del Consiglio dei Ministri di uno Stato, la quale peraltro si dice cattolica, questo è ben più grave. 

La risposta di Giorgia Meloni è stata imbarazzante: «La riforma del premierato non interviene nei rapporti fra Stato e Chiesa ma mi consenta anche di dire con tutto il rispetto che non mi sembra che lo Stato Vaticano sia una Repubblica Parlamentare, quindi, insomma, nessuno ha mai detto che si preoccupava per questo e quindi facciamo che nessuno si preoccupa». Non è ben chiaro come mai Meloni queste cose non le ha dette a Papa Francesco quando si trovavano entrambi sul palco dell'Auditorium della Conciliazione per gli Stati Generali della Natalità. 

Meloni, infatti, sembra non aver considerato che lo Stato Vaticano con i vescovi italiani c'entra come i cavoli a merenda. Mentre questo Stato non ha alcuna giurisdizione su un vescovo, lo Stato italiano la ha eccome. È quindi giusto che i presuli parlino ed esprimano le loro idee e preoccupazioni. Il sacerdote e il vescovo, infatti, non sono dei burattini che devono intervenire solo e soltanto quando si parla di qualcosa che è strettamente attinente al sacro. Guai a coloro che utilizzano la liturgia per esprimere idee politiche ma al di fuori dell'ambito liturgico i chierici sono cittadini e come tali hanno il diritto, e come pastori anche l'obbligo, di parlare di tutto. Quando la Chiesa difende la famiglia a Meloni piace e quando parla in merito a immigrati e premierato no? Se le idee sono diverse si discute sul merito e non si fanno attacchi di questo genere. Sarebbe forse il caso che l'Ambasciatore italiano presso la Santa Sede si facesse un giro in Terza Loggia e riporti a palazzo Chigi i malumori che le uscite da bullo del premier hanno creato. 

d.A.L.

Silere non possum