«Nessun filo basta a sé stesso». Nel romanzo Dopo la festa don Alberto Ravagnani usa questa immagine per spiegare che le vite dei ragazzi che incontra sono un intreccio di storie e libertà, compresa quella di un giovane cantante indie «in arte OCCHI», il lodigiano Andrea Occhipinti, a cui il libro è «liberamente ispirato». Da quell’intreccio tra narrativa e biografia parte il viaggio di un ventunenne che dalla cattedrale di Lodi arriva al palco di Sanremo Giovani, senza smettere di portarsi dietro l’oratorio, gli amici, la fede e un’idea molto precisa di musica.
Andrea Occhipinti, “Occhi”
Andrea Occhipinti, classe 2004, sceglie di farsi chiamare semplicemente Occhi. Lo considera un manifesto: «Gli occhi sono la parte più espressiva del corpo; Occhi vuole essere il viaggio che Andrea fa per scoprire sé stesso».
In quel nome c’è già tutto: il desiderio di raccontarsi per intero e la consapevolezza che la musica, per lui, è prima di tutto sguardo sulla realtà. A sei anni canta nel coro di voci bianche della Cattedrale; nello stesso periodo l’aiuto-insegnante di don Piero Panzetti, Maria Notaranni, gli chiede se vuole provare il pianoforte. «Io ho risposto “sì” e da lì non ho mai smesso». Da allora studia, si forma, affiancato da figure che diventano punti di riferimento: «Maria, che è stata la mia figura di riferimento, affiancata poi da Claudio Milano e Alberto Braida, mi hanno aiutato a cercare di diventare un artista a 360 gradi. Ho fatto un anno di art training, ho studiato le basi dell’armonia e la storia della musica popolare».
Dietro l’apparente spontaneità del nickname, c’è un lavoro serio e paziente, che Dopo la festa trasforma in romanzo attraverso il personaggio di Francesco, ragazzo di provincia con il sogno della musica che si trasferisce a Milano, abita in parrocchia, incontra un giovane prete e inizia a muovere i primi passi nell’industria discografica.
Dall’oratorio di Lodi a Milano, passando per Modena
Le radici di Occhi sono chiarissime: Lodi e il suo oratorio. Nell’intervista rilasciata alla vigilia di Sanremo Giovaniricorda che frequenta l’oratorio «da sempre» e che la sua musica nasce spesso lì, «in una stanzina» dove prova al pianoforte e sperimenta nuovi giri di accordi. È in quell’ambiente che matura la decisione di scrivere, a quattordici anni, i primi testi. Ma il salto avviene quando qualcuno gli dice: «Sei pronto, è ora di trovare dei produttori». Da gennaio 2022, racconta, comincia a scrivere ogni giorno ai vari produttori, «con perseveranza, ma anche con un po’ di follia». L’episodio chiave, nella sua narrazione, è il concerto “Love Mi” di J-Ax & Fedez in piazza Duomo a Milano. Andrea parte con gli amici, resta in piedi diciassette ore, si piazza in prima fila con dieci chiavette USB in tasca: dentro c’è la sua musica. È lì che formula il motto che lo accompagna ancora oggi: «l’importante è seminare, anche sull’asfalto perché non si potrà mai sapere quando arriverà il vento che sposterà i semi dall’asfalto alla terra fertile». Quel vento, racconta, ha il volto di una ragazza che gli chiede cosa contengano le chiavette, ascolta la risposta («la mia musica») e lo mette in contatto con uno studio di Modena. Nasce così la collaborazione con il Take Away Studios, dove registra la prima canzone, Kandinsky, tenendo tutto «nella dimensione dell’amicizia»: video e copertina sono affidati ad amici, perché «se non partiamo dal basso e non riportiamo le relazioni e le vere amicizie al centro l’arte poi si spegne».
Nel romanzo di Ravagnani quell’episodio diventa letteratura: il protagonista, davanti a un palco gigantesco in piazza Duomo, sente di poter “toccare con mano” il proprio sogno. Il palco è descritto come più grande della piazza del suo paese, illuminato da luci e ledwall, e il concerto di un grande evento pop si trasforma nel simbolo di un passaggio di vita: entrare nel mare aperto della città, con la musica come bussola.

Un romanzo, tre canzoni e un personaggio
Non è un caso che nei crediti finali di Dopo la festa compaiano tre brani firmati da Andrea Occhipinti: Kandinsky, Analcolica e Dopo la festa. Don Ravagnani chiarisce in nota d’autore che «i fatti raccontati sono liberamente ispirati alla storia di Andrea Occhipinti, in arte OCCHI, un giovane cantante indie, ma soprattutto un amico». La storia è romanzata, ma il nucleo è reale: il desiderio di un ragazzo che vuole vivere di musica, la fatica di tenere insieme fede, amicizia, successo, la seduzione delle notti milanesi e il vuoto che rischia di aprirsi «dopo la festa». Ci sono pagine in cui il protagonista si sveglia stordito, dopo una serata in cui ha esagerato, e un amico - Filippo - lo richiama brutalmente al patto con sé stesso e con il sacerdote che lo ospita in parrocchia: il problema non è solo quanto uno si diverte alla festa, ma chi resta quando le luci si spengono.
Il filo che unisce romanzo e biografia è proprio questo: la convinzione che la musica non possa essere solo intrattenimento, ma ricerca di senso. Non a caso, nella nota iniziale Ravagnani scrive che intreccia i fili delle storie dei ragazzi «per offrire ai giovani nuovi fili a cui legarsi e quindi essere più liberi: di inseguire i propri sogni, di scegliere il bene, di amare».
Una musica che è “maniera di stare al mondo”
Se nel libro la musica è il linguaggio con cui Francesco cerca di dare forma alla sua inquietudine, nelle parole di Occhi è qualcosa di altrettanto radicale. Qualche giorno fa Occhi ha spiegato che crescendo ha capito che per lui la musica è un modo di stare al mondo, un esercizio di attenzione a ciò che gli accade intorno, un modo per viverlo e “ri-metterlo” nelle canzoni; un diario, non strettamente autobiografico, capace di restituire «gli attimi che non si vedono» e le persone che nessuno nota.
Per questo, già nel racconto delle sue prime canzoni, insiste sul legame tra esperienza vissuta e scrittura: «Tutte le canzoni partono da un sentimento autobiografico; la realtà che vivo e ho intorno nella scrittura si trasforma in un mix di emozioni. Mi metto davanti al pianoforte e scrivo; cerco di mettere dentro quello che ho vissuto davvero e arriva dal cuore. Solo così c’è il salto in più, lo scarto tra un lavoro artistico e uno fatto a tavolino».
In filigrana c’è anche l’oratorio: non solo come luogo fisico dove nasce anche Ullallà, ma come ambiente di relazioni. I suoi amici “più vicini” sono «geolocalizzati vicino a me» e spesso «hanno a che fare con l’oratorio»; la rete di amicizie allargate, costruita negli anni tra campi, attività, gruppi, diventa il vero capitale umano da cui attingere storie e immagini.
Dall’esordio con “Kandinsky” alla sera di Sanremo Giovani
La prima tappa “ufficiale” è Kandinsky, registrata ai Take Away Studios di Modena. Lì si consolida il metodo di lavoro: Andrea compone nel suo spazio intimo, piano e voce, poi insieme ai professionisti dello studio cerca «il vestito e l’anima giusti» per ogni brano.
Il 2025 è l’anno della svolta: l’ammissione tra i 24 concorrenti di Sanremo Giovani con il brano “Ullallà”, andato in onda su Rai2 nella serata di martedì 2 dicembre. Occhi porta sul palco del talent show il suo valzer fuori formato, scritto “contro” le regole del cantautorato pop moderno. Quando arriva la notizia, Occhi è a lezione di Macroeconomia. Racconterà di aver percepito che l’audizione era andata bene, ma senza immaginare di entrare tra i 24: scopre la selezione leggendo l’elenco dei nomi sul telefono, mentre un compagno di corso lo riprende in video. Tra Lodi e Sanremo, nel frattempo, c’è la vita normale di uno studente universitario, il gruppo WhatsApp autoironico - “Quei maturati senza tipa” - e il sogno di un disco e di un tour tutto suo.
“Ullallà”: un valzer in un bar di provincia
“Ullallà” nasce in quella famosa stanzina dell’oratorio: Occhi ricorda di essere partito da un giro di accordi e di aver pensato a un valzer, aprendo il testo con un invito dal sapore rétro: «Non sparate sul pianista, gentili signori». Il brano si svolge in un bar di provincia dimenticato, mentre la nazionale gioca in Tv e il protagonista, al pianoforte, prova a guadagnarsi qualche moneta per «la mia bella». Attorno, pensionati distratti, una barista che «potrebbe essere mia madre», il senso di sentirsi fuori posto. Poi, l’ingresso di una ragazza che ha «negli occhi una città che non si vuole addormentare» e che ha camminato a lungo solo per ascoltarlo suonare. Il ritornello è un botta e risposta:
«Vuoi ballare? Ullallà
Io devo crescere, Ullallà
Non so neanche l’amore come si fa».
Dentro quella leggerezza c’è tutta la tensione dei vent’anni: la voglia di innamorarsi e, insieme, la fatica di crescere, l’incertezza sul futuro. Non mancano le immagini letterarie - «Nei Promessi sposi noi saremmo lazzaroni dentro i lazzaretti» - e la decisione di “prendere la vita a morsi, anche se cadono i pezzi”, gridando le canzoni per sentirsi «meno persi».
È un mondo che inciampa, si perde, ma non rinuncia a cercare il bello, neppure in un bar defilato dove tutti sono venuti a vedere la partita, non a sentire un pianista sconosciuto.
Oratorio, fede, amicizia: il retro-palco di Occhi
Sia il romanzo sia le interviste restituiscono un dato decisivo: la storia di Occhi non è la favola di un talento spuntato dai social, ma il frutto di una trama di relazioni. Don Alberto Ravagnani scrive che la sua responsabilità, come prete e narratore, è intrecciare i fili delle vite dei ragazzi perché nessuno resti «raggomitolato su se stesso». Nella vita di Occhi l’intreccio passa per: l’oratorio di Lodi, dove Andrea cresce, scopre la musica, impara a stare in mezzo agli altri; i maestri che lo formano al pianoforte e gli insegnano armonia e storia della musica; i sacerdoti che lo accompagnano e a cui è legato e gli amici, che restano il suo pubblico più esigente e più fedele.
Quando gli chiedono cosa augura a “Occhi”, Andrea risponde di voler «rimanere sempre sé stesso», perché il pubblico non cerca un personaggio, ma una persona genuina. È la stessa sfida che attraversa Dopo la festa: rimanere sé stessi quando l’adrenalina dei concerti si spegne, quando le luci di Milano lasciano il posto all’alba rosa contemplata da una terrazza insieme agli amici, quando l’unico modo per non perdersi è riconoscere che «nessuno si salva da solo».
Un filo che continua
Oggi, chi guarda Occhi sul palco di Sanremo Giovani vede un ragazzo che «prova il microfono come Sfera Ebbasta e sogna Frah Quintale», immerso nel suo mondo musicale fatto di Frah, Coez e Pinguini Tattici Nucleari. Ma dietro il soprannome e dietro il valzer di “Ullallà” ci sono anni di cori parrocchiali, stanze d’oratorio, studio serio, occasioni colte al volo, chiavette USB distribuite con ostinazione, una storia abbastanza forte da poter ispirare i coetanei. In fondo, il filo che Ravagnani ha intrecciato in Dopo la festa non si è fermato alla pagina: continua a scorrere tra Lodi, Milano e Sanremo, negli occhi azzurri di un ragazzo che canta per dare voce «agli attimi che non si vedono» e alle persone che nessuno guarda.
d.L.V.
Silere non possum