Fatte tali premesse, è necessario rammentare che la rimozione del parroco (1740 CJC) è un provvedimento che può essere adottato solo dopo aver verificato con certezza alcune questioni.
Innanzitutto il Vescovo deve appurare che il ministero sia divenuto "nocivo o almeno inefficace".
Preso atto di questo, deve esortare il parroco a cambiare e ravvedersi o a far si che quelle problematiche vengano risolte. Nel diritto canonico ogni provvedimento deve essere adottato per il supremo bene delle anime e non può essere quindi solo sanzionatorio.
Il procedimento deve seguire una fase di raccolta della documentazione.
L'ordinario del luogo deve quindi appurare di avere a disposizione tutti gli elementi per addivenire alla verità e far seguire la rimozione.
Secondo il principio «quod abundat non vitiat», il vescovo può ricevere qualsiasi testimonianza, prova o dichiarazione che lo possa aiutare nella decisione. Possono essere diverse le esortazioni, consultazioni, rilevazioni condotte dal vescovo o da altri, senza danno per la procedura formale che seguirà.
Il vescovo, «indicati per la validità la causa e gli argomenti», deve invitare il parroco alla rinuncia (can. 1742 § 1).
Il punto più delicato attiene al vincolo di indicare «la causa e gli argomenti» per la rimozione. Molto spessi ci troviamo innanzi a vescovi che hanno paura di dire le vere cause per cui agiscono in questo modo. Rammento , che questa clausola è munita della sanzione di invalidità («ad validitatem»).
La giurisprudenza ribadisce che la causa non può essere quella generica, di cui al can. 1740, ma concreta, come quelle esemplificate nel can. 1741 CJC.
L'ordinario deve invitare il parroco alla rinuncia, di tale invito dovrà potersene dare prova in foro esterno.
Il parroco che riceve l'invito a rinunciare potrà reagire in tre modi: rinuncia, silenzio, contestazione.
Se il parroco rinuncia, la procedura termina, come previsto dal can. 1743 CJC.
La rinuncia dovrà essere accettata ad normam iuris (cf cann. 187-189 CJC).
Se il parroco «non risponde», si invita nuovamente alla rinuncia.
Se ancora «non risponde», si può emanare il decreto di rimozione (can. 1744 CJC).
Quando si dice che il parroco non risponde si intendono il silenzio e l'inerzia ma anche il rifiuto espresso, ma del tutto immotivato («nullis adductis motivis»: can. 1744 § 2 CJC).
Il vescovo deve tenere conto del fatto che il decreto di rimozione non può essere emanato se è a conoscenza di qualche impedimento del parroco a rispondere.
Se il parroco «risponde», la procedura continua (can. 1745 CJC).
Il vescovo «per agire validamente lo inviti a raccogliere in una relazione scritta, dopo aver esaminato gli atti, le sue impugnazioni, anzi ad addurre le prove in contrario» (can. 1745 § 1)
In questa fase è assolutamente necessario, al fine di garantire i diritti fondamentali, la inspectio actorum da parte del parroco (Can. 1598 - §1.) Tutte le motivazioni adottate per venire meno a questo obbligo sono assolutamente da ritenersi insignificanti. Il presbitero, come qualsiasi fedele, deve avere la possibilità di conoscere le motivazioni della sua accusa e di tutto ciò che viene posto a fondamento di un possibile provvedimento che vada a ledere la sua dignità di persona e di ministro sacro.