Conversano – «Maria è veramente libera, libera perché sa obbedire… Maria è la donna veramente più libera del mondo e dovremmo dirlo a qualche femminista…». Nelle ultime ore è bastato questo passaggio, estrapolato e rilanciato a frammenti, per innescare una campagna socialcontro S.E.R. Mons. Giuseppe Laterza, Nunzio Apostolico nella Repubblica Centrafricana e in Ciad, intervenuto ieri, sabato 20 dicembre 2025, nella cattedrale di Conversano durante la Novena in preparazione al Natale. La predicazione è stata trasmessa integralmente e resta accessibile: chi vuole capire può ascoltare l’omelia qui.
Il meccanismo è ormai consolidato: una frase viene isolata, privata di tono, contesto e sviluppo argomentativo; poi diventa “prova” di ciò che si vuole dimostrare. A cascata arrivano titoli e commenti confezionati per l’indignazione, non per l’informazione. Il risultato è un processo sommario dove la sentenza precede l’ascolto, e l’ascolto viene considerato un fastidio.
Qui la questione è onestà intellettuale. Criticare un’omelia richiede di ascoltare l’omelia; invocare il fact checkingimpone di partire dalla fonte primaria; fare informazione significa ricostruire il contesto prima di costruire un titolo. Invece, da tempo, una buona parte del giornalismo italiano lavora per replica: copia e incolla, estrapola due righe, le incastra dentro una cornice già pronta e le fa passare per “notizia”, spesso appoggiandosi a un post su Facebook o X senza alcuna verifica sostanziale.
Il paradosso è che questa prassi viene adottata anche da chi si presenta come presidio di “verifica”. Open, fondato da Enrico Mentana, non è nuovo a pezzi impostati più sulla viralità dei social che sull’analisi del materiale completo: articoli costruiti su post di X o Facebook, senza ascoltare integralmente gli interventi, senza contattare i diretti interessati, senza consultare i documenti citati. Se questo è il “fact checking” in Italia, allora la parola ha perso significato e resta solo un’etichetta buona per il marketing editoriale.
L’omelia e la parola che fa paura: obbedienza
Nella lettura frettolosa che circola online, alimentata da qualche analfabeta femminista, l’obbedienza viene tradotta automaticamente come subalternità, come se la tradizione cristiana non avesse mai distinto tra l’obbedire a un abuso e l’obbedire alla Verità. È una riduzione ideologica: comoda, aggressiva, costruita per indignare, incapace di reggere anche un’analisi minima del lessico biblico. Quanto al contorno, il livello è quello che ci si aspetta da questo sottobosco: insulti, dileggio, insinuazioni, fino all’invocazione di “provvedimenti” da parte della Santa Sede contro l’Arcivescovo. Non vale neppure la pena riportarli: non aggiungono nulla alla comprensione dei fatti, dicono molto invece del metodo - la pretesa di cancellare una predicazione trasformandola in capo d’accusa, senza ascolto, senza contesto, senza onestà. Cosa significa che Maria era obbediente? L’etimologia aiuta, ma non basta da sola: ob-audire richiama lo stare “davanti” e l’“ascoltare”. Nel linguaggio cristiano l’obbedienza nasce dall’ascolto e approda a una risposta personale; chiede intelligenza e coscienza, non automatismi. E infatti il racconto evangelico non presenta Maria come una figura passiva travolta dagli eventi: ascolta, si turba, domanda, valuta, decide. Il fiat è un atto che coinvolge tutto l’umano, e proprio per questo la tradizione lo ha letto come gesto di libertà credente, non come resa psicologica. Quando Laterza afferma che Maria è “più libera” perché ha saputo obbedire, non sta facendo l’elogio della passività. Sta indicando un punto netto: la libertà come capacità di riconoscere un bene e di aderirvi con lucidità, non come semplice evaporazione di ogni legame. È un impianto teologico e antropologico antico, certo, ma proprio per questo solido: non si piega alle mode, non chiede il permesso alle ideologie, non si lascia ridurre a slogan.
Ed è proprio per questo che dà fastidio a qualcuno: a chi si proclama libero perfino di non obbedire alla Verità, ma finisce per essere schiavo di un’ideologia che non tollera obiezioni, non ammette ascolto e impedisce perfino l’esercizio elementare del ragionamento. Un’ideologia che non discute, non comprende, non rispetta: reagisce, etichetta, condanna. E, nel farlo, rivela la sua reale natura. In una modernità liquida, dove ogni vincolo viene percepito come sospetto e ogni appartenenza come minaccia, questa prospettiva diventa una pietra d’inciampo. Basterebbe, però, ascoltare l’intera omelia per capire dove Laterza porta il discorso: quella libertà non viene consegnata a uomini ma contrapposta ai padroni del mondo. L’Arcivescovo lo dice esplicitamente: i padroni umani rendono schiavi; Dio - unico “padrone” - è Colui che rende liberi. Qui sta il senso, e qui sta la malafede di chi taglia il video prima che arrivi il cuore del ragionamento.
«Maria non fa dei calcoli umani, Maria è veramente libera, libera perché sa obbedire. Eh, vedete Maria è la donna veramente più libera del mondo e dovremmo dirlo a qualche femminista. Maria è la donna più libera del mondo perché ha saputo obbedire. Maria è la donna più libera perché soltanto Dio è l'unico padrone che non rende schiavi. Eh, tutti i padroni del mondo rendono schiavi, dio è l'unico padrone che ci rende liberi» ha detto.
Dal frammento alla caricatura
La polemica che ne è seguita funziona perché trasforma un discorso religioso in un bersaglio politico-culturale. Il metodo è semplice: si taglia il video finché resta soltanto il frammento più utile a scatenare rabbia, poi su quel frammento si incolla una griglia interpretativa già pronta - “patriarcato”, “oppressione”, “arretratezza” - e infine lo si presenta come prova autoevidente, così da evitare la fatica di ascoltare l’intero intervento. Il risultato è che Maria smette di essere una persona concreta del Vangelo e diventa un cartello da manifestazione: la si usa contro qualcuno o la si difende contro qualcuno. In entrambi i casi la fede viene ridotta a materiale da rissa, e il linguaggio religioso a provocazione da piazza digitale.
Il paradosso del bersaglio: un Nunzio in terre dove la schiavitù è reale
C’è poi un dato che molti ignorano con disarmante leggerezza: Laterza non è un opinionista da salotto. È Nunzio Apostolico in Paesi dove la parola “sfruttamento” non è metafora e dove la vulnerabilità di donne e minori non è un tema da talk show, ma una ferita quotidiana. Proprio lì la Chiesa - con tutte le difficoltà che qualcuno finge di ignorare – spesso regge pezzi di tutela sociale che altri attori non garantiscono. Questo non mette automaticamente al riparo da critiche, ma impone un minimo di serietà prima di organizzare la gogna.
Il vero scandalo: la pigrizia travestita da virtù
Il caso di queste ore, diventato “notizia” anche perché a ridosso del Natale molte redazioni sembrano non sapere più cosa raccontare, è un promemoria impietoso sullo stato di una parte del circuito - o, più onestamente, del circo - mediatico italiano. Il copione è sempre lo stesso: uno pubblica, gli altri si accodano; il titolo vale più del contenuto; l’indignazione genera clic, i clic fanno cassa e il contesto viene trattato come un fastidio. Nel frattempo, chi si presenta come paladino della “verifica” finisce troppo spesso per verificare una sola cosa: l’umore della propria bolla, così da servirla calda e pronta. Non è un caso che basti scorrere le firme per capire dove ci si trova: in una catena di montaggio fatta per interesse personale. Silere non possum lo documenta da anni: quando si rinuncia alla fonte primaria non si sta informando. Si sta amplificando. Si sta facendo da megafono all’interpretazione più rumorosa, trasformando la reputazione altrui in un bene consumabile, da usare e gettare nel ciclo quotidiano della polemica.
Se si ascolta l’intervento per intero, l’asse portante non è la provocazione sulle femministe ma il nesso tra libertà e appartenenza a Dio: “Dio è l’unico padrone che ci rende liberi”. È un’affermazione scandalosa per chi confonde la libertà con l’autodeterminazione assoluta, e incomprensibile per chi riduce ogni discorso religioso a controllo sociale.
Marco Perfetti
Silere non possum