Città del Vaticano - Parole cariche di gratitudine, memoria e profezia. Papa Leone XIV ha accolto questa mattina i partecipanti al Capitolo Generale della Congregazione Vallombrosana dell’Ordine di San Benedetto, al termine dei lavori che hanno visto la riconferma dei principali incarichi: Dom Giuseppe Casetta come Abate Generale, Dom Pedro Savelli come Procuratore Generale, Dom Marco Mizza come Economo. Il capitolo ha anche scelto Dom Andrea Benedetto Ferri come Segretario Generale e Prefetto degli Studi.

Il Pontefice ha voluto anzitutto ringraziare i monaci per la loro testimonianza silenziosa ma eloquente, capace di ricordare alla Chiesa intera il primato di Dio come fonte di gioia autentica e principio di trasformazione personale e sociale.

Chi sono i vallombrosani?

I monaci vallombrosani costituiscono una congregazione benedettina nata nel 1039 per iniziativa di San Giovanni Gualberto, nel luogo allora chiamato Acquabella, vicino a Vallombrosa, in Toscana. Appartenenti all’Ordine di San Benedetto (sigla O.S.B. Vall.), i vallombrosani si sono distinti storicamente per la loro lotta contro la simonia, la corruzione e la mondanità ecclesiastica, e per l’introduzione della figura dei monaci conversi. Sono celebri anche come monaci forestali, poiché hanno gestito con tecniche avanzate la foresta di Vallombrosa dal Medioevo fino all’Ottocento

Tra i principali centri emergono l’Abbazia di Vallombrosa, elevata a basilica minore nel 1950, e numerosi altri insediamenti in Toscana e nel Nord Italia, tra cui quelli di San Mercuriale a Forlì e di Astino a Bergamo. La loro tradizione perdura ancora oggi, con comunità che mantengono viva la regola benedettina e l’impegno per la spiritualità, la cura dell’ambiente e la vita monastica contemplativa.

Abitare le sfide del presente

Nel suo discorso, Leone XIV ha richiamato la vocazione originaria di San Giovanni Gualberto, fondatore della Congregazione, il quale – animato da una sete di autenticità evangelica – diede vita a un “novum institutum”, capace di tornare alle fonti genuine della vita cristiana. Lo stesso invito il Papa lo rivolge oggi alla Congregazione e, per suo tramite, a tutta la Chiesa: non cedere al rimpianto del passato, ma abitare con fedeltà e profondità le sfide del presente.

«Siamo spesso meno forti che in passato, meno giovani, meno numerosi – ha ammesso il Pontefice – ma il Vangelo accolto sine glossa non cesserà mai di diffondere il profumo della propria bellezza». Parole che non nascondono le fatiche del tempo presente, ma che svelano una chiave decisiva per il futuro: non difendere una struttura, ma lasciarsi rinnovare dal Vangelo.

Ricordando San Paolo VI il Papa ha inserito questo invito in un solco ecclesiale ben preciso: quello del Concilio Vaticano II, il cui spirito – ha ricordato Leone XIV – chiede ancora oggi di superare l’autoreferenzialità e di rafforzare i legami di comunione, specialmente tra le diverse famiglie benedettine.

Emblematica l’ultima esortazione: «Nulla vi trattenga dall’originaria esigenza di riformare, di rinnovare e di rendere semplice, a beneficio di tutti, quella vita cristiana che ancora può allargare gli orizzonti e il respiro di ogni esistenza umana». In questa frase si racchiude tutto il cuore del messaggio del Papa: una riforma non strutturale ma spirituale, che renda nuovamente “fermento e lievito” la vita consacrata per il mondo di oggi.

Infine, l’invito a custodire la fedeltà concreta ai luoghi e alle cose di ogni giorno, là dove la spiritualità benedettina può continuare a offrire la sua forza mite e rivoluzionaria. «Siatene testimoni attenti e ospitali», ha detto il Papa, prima di impartire la sua benedizione.

Papa Leone spiega: «Siamo spesso meno forti che in passato, meno giovani, meno numerosi, talvolta feriti dai limiti e dagli errori umani, ma il Vangelo accolto sine glossa non cesserà mai di diffondere il profumo della propria bellezza. Nulla vi trattenga dall’originaria esigenza di riformare, di rinnovare e di rendere semplice, a beneficio di tutti, quella vita cristiana che ancora può allargare gli orizzonti e il respiro di ogni esistenza umana». 

È un incoraggiamento forte e limpido: per i Vallombrosani, ma anche per tutti coloro che, nella Chiesa, cercano oggi una “nova conversio” capace di coniugare preghiera, lavoro e gioia nel cuore inquieto del nostro tempo.

Santa Prassede: il decadimento

Dispiace constatare che i monaci vallombrosani abbiano scelto di riconfermare Dom Pedro Savelli come Procuratore Generale. La sua condotta all’interno dell’Ordine, così come le scelte pastorali e gestionali portate avanti in questi anni, suscitano più di una perplessità. Un esempio emblematico è la situazione della Basilica di Santa Prassede a Roma, dove risiede e guida una comunità ormai ridotta numericamente e segnata da un evidente declino, frutto di una gestione che appare inefficace, ideologica e confusa.

La basilica, gioiello di arte e spiritualità, meriterebbe ben altro. Dovrebbe brillare per la presenza discreta ma eloquente di una comunità monastica radicata nella preghiera, nella liturgia curata e nella sobrietà benedettina. Invece, ciò che si percepisce è un progressivo svuotamento del carisma originario. La visione ecclesiale che anima tale realtà sembra riflettere ancora le derive ideologiche di un certo post-concilio, più attento a battaglie culturali che alla fedeltà alla Regola e allo spirito di San Benedetto.

Non è la prima volta, nella storia, che Santa Prassede si trova in difficoltà per la mediocrità di chi è chiamato a custodirla. Già nel XII secolo, quando fu affidata ai canonici regolari di Santa Maria del Reno di Bologna, la cattiva amministrazione costrinse Papa Celestino III a revocarne l’affidamento. Nel 1198, Innocenzo III affidò la basilica ai monaci vallombrosani, fiducioso nella loro fedeltà alla preghiera e nella qualità della loro vita liturgica.

Oggi, purtroppo, sembra che quella fiducia sia tradita. La presenza vallombrosana in Santa Prassede avrebbe potuto essere un segno forte di rinnovamento spirituale e testimonianza monastica nel cuore della cristianità. Invece, appare come un’occasione mancata, segnata da logiche autoreferenziali e da una visione di Chiesa poco aderente al genuino spirito benedettino.

d.A.B.
Silere non possum