Al termine del Sinodo sulla Sinodalità, al quale ho preso parte anche io, ho riflettuto su ciò che stiamo vivendo nella Chiesa universale. Appena ordinato sacerdote ho subito dedicato molto tempo al sacramento della penitenza che ho sempre sentito come luogo privilegiato del rapporto fra noi uomini, bisognosi del Suo Amore, e Dio, Padre buono e misericordioso.
In questo contesto ho spesso raccolto la sofferenza di molte giovani e molti giovani che sentono di essere chiamati ad una radicalità, ad una scelta grande, ma si imbattono in diverse difficoltà: la famiglia, la loro stessa vita attuale, le debolezze, la paura, ecc… Negli ultimi anni, però, sento sempre più spesso questa frase: “Vorrei entrare in monastero [Convento, Seminario, Ordine, ecc] ma nei colloqui con i superiori di quella realtà sento di non essere a mio agio”. 
Certo, subito sono stato portato a pensare che questa giovane fosse un po’ superba ma ascoltando decine di giovani dire la stessa cosa ho dovuto interrogarmi. I vari incarichi, le varie vicissitudini ed, infine l’episcopato, mi hanno sempre più allontanato da questo luogo – il confessionale – che però ho sempre cercato di abitare. Non ho lasciato le anime che ho accettato di guidare in direzione spirituale.
Essendo alla guida di una diocesi relativamente piccola, mi sono chiesto: “Ma succederà anche nel nostro seminario?”. Ed ho dovuto prendere coscienza del fatto che la maggior parte dei giovani che bussavano alla porta del mio vescovado non fossero accompagnati dal rettore del seminario ma da un altro sacerdote, con un altro incarico in diocesi, che risultava molto più accogliente con chi manifestava il desiderio di seguire il Signore come sacerdote. Anche alcune giovani che, per fortuna, hanno poi scelto di iniziare il loro cammino formativo nei monasteri, seguendo i differenti carismi, della diocesi erano sempre accompagnate da questo prete. Ho riflettuto e anche durante il Sinodo ho ascoltato molte considerazioni sulla vocazione religiosa e sacerdotale.

Sono giunto alla conclusione che, troppo spesso, i giovani si sentono giudicati piuttosto che accolti. Si sentono “scannerizzati” (affermazione che ha fatto una ragazza quando eravamo a Santiago, l’estate scorsa). Insomma, con il rettore del seminario i ragazzi fanno difficoltà a parlare e a rapportarsi perché non lo percepiscono come un padre pronto ad aiutarli e a sostenerli ma, piuttosto, come un nemico pronto a scovare i loro errori, le loro debolezze e a giudicarli, per poi allontanarli, appena cadono.
Questo è un problema molto grande perché ai giovani chiediamo di essere sinceri, anche nel cammino di formazione, ma allo stesso tempo li “obblighiamo” a dover rapportarsi con noi con superficialità. Durante il Sinodo mi sono domandato: “Come mai siamo poco preoccupati delle vocazioni e come risposta alle poche ordinazioni pensiamo a clericalizzare i laici, piuttosto che rivedere questi problemi che sono il motivo per cui i ragazzi lasciano il seminario?
Non mi sono ancora dato una risposta ma ho capito che un problema molto importante è anche quello dell’utilizzo strumentale e malevolo della psicologia nell’ambito ecclesiastico. Ci ho pensato quando un sacerdote della mia diocesi mi è venuto a trovare a Roma durante il Sinodo e mi ha mostrato questo video.

Ora, lungi dal focalizzare la mia attenzione solo su don Bruno, penso sia importante chiedersi: «se questa “scenetta cringe” (come l’ha chiamata il giovane d’oratorio che a sua volta l’ha mostrata al curato che l’ha mostrata a me) fosse stata messa in atto da un prete ordinato negli anni 2000-2024, cosa sarebbe accaduto?». Molto probabilmente ciò che qualche mio confratello avrebbe fatto sarebbe stato proprio mandarlo da uno psicologo o da un prete-psicologo. Questo perché abbiamo deciso, non mi spiego il perché, che da un certo momento in poi i problemi li dobbiamo risolvere obbligando i preti a fare delle sedute di "psicoterapia forzata". In questo modo, purtroppo, abbiamo dato una immagine distorta della psicologia e della psicoterapia e questo porta il sacerdote che davvero ne potrebbe trarre giovamento a non rivolgersi assolutamente a nessuno.

I preti giovani, quindi, ci fanno notare: "ma davvero pensate che questo sia il modo corretto?" La paternità, il confronto, ecc… dove sono? Purtroppo, di fronte a queste considerazioni non posso far altro che tacere perché sono consapevole che abbiamo sbagliato e sbagliamo molto. Oggi se un sacerdote over 50 combina qualche pasticcio oppure si mette in ridicolo come nel video precedente, siamo portati a tacere e a dire: “Eh che ci vuoi fare”. Se le stesse cose le fa un prete 30enne sono guai. Anche questo agire senza giustizia ci porta ad avere preti scontenti, preti arrabbiati, i quali giustamente recriminano e dicono che i loro formatori o il loro vescovo non agiscono in modo corretto.

Temi che molto spesso questo portale affronta, quali la formazione sacerdotale e le vocazioni, devono tenere conto di tutto questo. Perché un giovane dovrebbe abbandonare tutto e seguire Gesù in una Chiesa che offre questo? Certo, qualche devoto potrebbe dire: “Dovete seguirlo per Gesù Cristo”. Questo è fuori discussione ma bisogna essere anche un po’ pragmatici e rendersi conto che nel cammino – il quale è già complesso di suo – insorgono molte difficoltà e se l’ambiente non è d’aiuto ma piuttosto è mortificante, è molto più probabile che vi sia chi si scoraggia ancor prima di iniziare. Del resto, come Chiesa abbiamo il compito di aiutare tutti a raggiungere la santità, non quello di mettere i bastoni fra le ruote.

Durante l’Assemblea Generale del Sinodo abbiamo sentito spesso dire: “Bisogna coinvolgere i laici, collaborare con i laici”. Mi chiedo: “Dove li vedono tutti questi laici pronti a collaborare ed essere coinvolti?” Io, sinceramente, ascolto anche i miei preti che ogni giorno mi riferiscono di non avere neppure chi apre la Chiesa, figuriamoci quando cercano qualcuno per entrare nel consiglio pastorale. Nulla di nulla. Le considerazioni nell’aula Paolo VI erano tante ma molte del tenore: “Vedete che i preti sono sempre meno, bisogna ordinare le donne, bisogna ordinare gli uomini sposati”. Come vescovo non ho potuto parlare molto, perché quando parlavi ti guardavano tutti con sospetto ma ho chiesto: “Siamo sicuri che la soluzione sia ordinare donne e uomini sposati? Una sorta di ripiego? Ma siamo sicuri che i giovani che vogliono essere preti non ci siano?”

Sono state molte le considerazioni un po’ teoriche, aleatorie, utopiche. Qualcuno diceva che come Chiesa abbiamo il compito di essere in comunione con le altre confessioni. Certo, sarebbe positivo ma quanti sono i pastori, le pastore, e i rappresentanti delle diverse confessioni, anche cristiane, che durante la loro predicazione parlano solo male della Chiesa Cattolica? Certo, la comunione sarebbe un sogno ma non possiamo non tenere in considerazione problemi reali. Anche per quanto riguarda le vocazioni, quindi, credo che sia necessario un cambio di rotta. Il seminario e le case di formazione hanno certo il compito di discernere e quindi valutare, con sincerità e trasparenza, se quel desiderio della candidata o del candidato derivi realmente da Dio. Questo, però, può avvenire in diversi modi. Possiamo continuare così, dove i giovani hanno paura dei formatori e sono costretti a stringere i denti per 7/8 anni (ormai sempre di più) per poter raggiungere “il traguardo” oppure rendere queste realtà dei luoghi accoglienti, familiari e dove i formatori non hanno la presunzione di essere gli unici interpreti della volontà di Dio. Questa interpretazione, poi, non deve avere un unico metro di giudizio: me medesimo. Deve avere un respiro ampio. Negli ultimi anni assistiamo, ed anche questo è stato lamentato al sinodo dai pochi teologi presenti, ad una vera e propria repressione del “pensiero discordante”. Non si tratta di affermare eresia, sia chiaro, ma mi riferisco a coloro che hanno una sensibilità liturgica piuttosto che un'altra. Penso a chi offre una interpretazione teologica piuttosto che un'altra. Chi ritiene fondamentale il sinodo e chi no...ecc...E molti giovani lo accusano nella confessione, nella direzione spirituale, quando raccontano la loro sofferenza. Spesso in seminario procede chi la pensa come il rettore. Liturgia, teologia e a volte anche idee politiche. In questo modo offriamo anche uno spaccato molto triste e non veritiero di quella che è la Chiesa. Anche questi sono esempi di manipolazione e abusi psicologici. Obbligare qualcuno ad andare dallo psicologo è un abuso di potere. Se il seminario o i progetti di formazione permanente del clero giovane fossero, come auspico, delle realtà familiari e accoglienti, non ci sarebbe bisogno di obbligare nessuno ma si riuscirebbe a far capire alle persone che spontaneamente (e senza controlli o rendiconti di sorta) possono rivolgersi a specialisti che li possano supportare nei momenti di maggiore difficoltà. Agire senza giustizia è un abuso. Se ho di fronte due presbiteri che commettono lo stesso errore, dovrò agire con entrambi in modo uguale, altrimenti alimenterò gelosie e rivendicazioni. Ciò non toglie che in foro interno ognuno avrà bisogno di differenti strumenti per poter “crescere” e comprendere l’errore commesso. Ma io, come loro vescovo e superiore in foro esterno, ho il dovere di agire in egual modo.

Consegno questa riflessione, che condivido dopo averla maturata in cuor mio, per rassicurare anche i molti giovani e le molte giovani che in questo periodo sono indecisi/e se iniziare il loro cammino in seminario o in convento. La Chiesa sta affrontando un periodo difficile, soprattutto al suo interno. Questo non vi scoraggi mai. Trovate sacerdoti che siano per voi guide sicure e paterne, ricordatevi dell’importanza degli amici e non abbandonate la via stretta sulla quale il Signore vi guida. Le ideologie, i personalismi e le ambizioni passeranno, ciò che rimarrà è la sola Croce di Cristo. Stat crux dum volvitur orbis