Il sacramento della penitenza, o riconciliazione, rappresenta uno dei pilastri più sacri e inviolabili della nostra vita di fede. In esso il fedele, con cuore contrito, si accosta al confessionale per riconciliarsi con Dio attraverso il ministero del sacerdote. In quel momento, ogni parola pronunciata, ogni dolore condiviso, ogni peccato confessato, si consuma nel foro interno, in un ambito assolutamente segreto, protetto dal sigillo sacramentale, la cui violazione costituisce uno dei crimini più gravi contemplati dal diritto canonico. Eppure, nonostante l’altissima dignità di questo sacramento, oggi ci troviamo costretti ancora una volta a denunciare un fatto che desta profonda preoccupazione e scandalo, soprattutto per le sue implicazioni spirituali e canoniche.
Un episodio inquietante in un ordine religioso
Recentemente, all’interno di un ordine religioso, si è verificato un episodio increscioso che mette in discussione il rispetto del foro interno da parte dell’autorità ecclesiastica stessa. Un frate sacerdote ha ricevuto in confessione un novizio, il quale ha confessato di aver compiuto un peccato contro il sesto comandamento con un confratello. Gravemente, il confessore – nonostante l’obbligo assoluto di mantenere il segreto su quanto appreso in confessione – ha indirettamente violato il sigillo sacramentale riferendo ad alcuni superiori che “un fatto simile” era accaduto all'interno del noviziato. Sebbene non abbia esplicitamente rivelato il nome del penitente, è evidente che tale comportamento rappresenta una violazione del canone 1386 §1 del Codice di Diritto Canonico, che punisce chiunque “viola direttamente o indirettamente il sigillo sacramentale”. Ma ciò che è ancora più sconcertante è la reazione dei superiori. Invece di denunciare alla Penitenzieria Apostolica il confessore per la violazione del sigillo, hanno ordinato al maestro dei novizi di interrogare l’intera comunità, chiedendo: “Chi ha parlato con questo sacerdote?” L’obiettivo? Ricostruire la catena di eventi per scoprire l’identità del penitente e dell'altro novizio.
Un clima di sospetto che avvelena la vita religiosa
Il Codice di Diritto Canonico è estremamente rigoroso su questo tema: tanto che il canone 985 vieta esplicitamente al maestro dei novizi di ascoltare le confessioni dei propri novizi, proprio per evitare pericolose confusioni tra foro interno e foro esterno. Negli ultimi anni, Silere non possum ha più volte sottolineato la necessità di rafforzare le norme che garantiscono una netta separazione tra questi due ambiti, consapevole che ogni commistione può facilmente sfociare in abusi spirituali e di coscienza. E allora dobbiamo porci una domanda fondamentale: cosa può spingere un sacerdote a compiere una violazione così grave? E, ancor più sconcertante, perché i superiori scelgono di accanirsi sul maestro dei novizi, costringendolo di fatto a collaborare in un’azione che lo espone anch’egli al rischio di compiere un delitto canonico?
Questo tipo di comportamento non solo mina la fiducia nel sacramento della confessione, ma introduce un clima di sospetto e paura incompatibile con la vita evangelica. I religiosi, i novizi, i fedeli stessi – possono ancora avvicinarsi al confessionale con la certezza che ciò che viene detto lì resterà tra l’anima, il sacerdote e Dio? Ci troviamo purtroppo in un’epoca in cui la Chiesa, anziché proteggere con rigore e amore le anime, sembra essere attraversata da una caccia alle streghe, dove ciò che riguarda il foro interno viene utilizzato nel foro esterno per colpire coloro che vengono identificati come "nemici". Quelle che sono gelosie e ambizioni di potere diventano carneficine per persone che non centrano nulla, ovvero coloro che sono in formazione.
La Chiesa non può permettersi tali ambiguità
Le implicazioni di questi atti sono gravissime. Non solo si tradisce la fiducia del penitente, ma si calpesta uno dei sacramenti più intimi e delicati della Chiesa, riducendolo a strumento d’indagine o controllo. Si rischia così di scoraggiare i fedeli e gli stessi religiosi dall’avvicinarsi al sacramento della riconciliazione, con danni incalcolabili per la vita spirituale delle persone e per la credibilità della Chiesa stessa. Ci meravigliamo e facciamo battaglie contro i governi che vorrebbero entrare nella vita della Chiesa legiferando sul "sigillo sacramentale" e poi agiamo così in questioni interne?
Il diritto canonico è chiaro: il sigillo sacramentale è inviolabile. Nessun fine – neppure quello di “fare chiarezza” – può giustificare la sua violazione. Lo affermiamo, giustamente, anche quando il peccato confessato è un delitto! È urgente che si inizi a riflettere sulla sacralità del sigillo sacramentale, piuttosto che fare considerazioni sterili sulla sinodalità. Le autorità ecclesiastiche ripristinino con fermezza il rispetto assoluto per il foro interno, e che ogni abuso venga riconosciuto, denunciato e corretto. Perché senza giustizia, senza verità, e senza rispetto per i sacramenti, la Chiesa rischia di perdere ciò che di più prezioso custodisce: la fiducia delle anime.
p.D.A.
Silere non possum