Il caso Zanchetta - Alcune precisazioni sulle indagini
Mentre oltre Tevere si sceglie di processare le persone scomode, il Sommo Pontefice sceglie di dare rifugio ad un vescovo amico. Il metodo è sempre lo stesso, chi è nel cerchio è salvo, chi è fuori è fuori. Mons. Perlasca ha fatto il salto dentro, Zanchetta era amico di lunga data. L'accusa per Mons. Gustavo Oscar Zanchetta è quella di aver molestato dei seminaristi quando era ancora vescovo in Argentina e, nello specifico, nella città di Salta, dove la magistratura sta indagando. Non solo ma si parla anche di cattiva gestione economica. Il Papa lo aveva chiamato a Roma, prima che lo scandalo scoppiasse, assegnandogli un ruolo che non esisteva, ovvero “assessore” all’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Quando i giornali iniziarono a parlare del caso il Papa aveva deciso di metterlo in standby.
La Santa Sede aveva riferito:
Sulla base di queste accuse e delle notizie emerse di recente sui media, il vescovo di Orán ha già raccolto alcune testimonianze che devono ancora arrivare alla Congregazione per i Vescovi. Qualora venissero confermati gli elementi per procedere, il caso sarà rimesso alla commissione speciale per i vescovi. Durante l’investigazione previa, monsignor Zanchetta, si asterrà dal lavoro.
Poi l’amicizia ha prevalso e il vescovo è tornato al suo posto. Vive a Santa Marta con Bergoglio e nessuno si sogna di dire nulla. Ma come sappiamo, i preti chiaccherano. È stato celebrato un procedimento canonico al termine di una indagine previa della Congregazione ma ovviamente, come spiegheremo più avanti, l’esito non è reso pubblico. L’unico momento in cui il Papa è tornato sull’argomento è in una intervista (una fra le tante che ora concede a destra e a manca) di Valentina Alazraki, concessa all’emittente messicana Televisa.
Parlando sempre della mancanza d’informazione o del fatto che non arriva tutto, in Argentina, per esempio, i media dicono che avevano informato circa monsignor Zanchetta, che voi qui in Vaticano sapevate. Lei lo ha portato qui, lo ha messo in un posto che ha creato praticamente dal nulla per lui. Questo la gente non lo capisce.
Santo Padre – No, ma bisogna spiegarlo alla gente.
Per questo mi piacerebbe che lei lo spiegasse.
Santo Padre – Vuole che lo spieghi ora? Lo faccio volentieri.
Se lei vuole…
Santo Padre – Sì. allora, c’era stata un’accusa e, prima di chiedergli la rinuncia, l’ho fatto venire subito qui con la persona che lo accusava. Un’accusa con telefono.
Immagini…
Santo Padre – Sì, ma alla fine si è difeso dicendo che lo avevano hackerato, e si è difeso bene. Allora di fronte all’evidenza e a una buona difesa resta il dubbio, ma in dubio pro reo. Ed è venuto il cardinale di Buenos Aires per essere testimone di tutto. E l’ho continuato a seguire in modo particolare. Certo, aveva un modo di trattare, a detta di alcuni, dispotico, autoritario, una gestione economica delle cose non del tutto chiara, sembra, ma ciò non è stato dimostrato. È indubbio che il clero non si sentiva trattato bene da lui. Si sono lamentati, finché hanno fatto, come clero, una denuncia alla Nunziatura. Io ho chiamato la Nunziatura e il Nunzio mi ha detto: “Guardi, la questione della denuncia per maltrattamenti è seria”, abuso di potere, potremmo dire. Non l’hanno chiamata così, ma questo era. L’ho fatto venire qui e gli ho chiesto la rinuncia. Bello e chiaro. L’ho mandato in Spagna a fare un test psichiatrico. Alcuni media hanno detto: “Il Papa gli ha regalato una vacanza in Spagna”. Ma è stato lì per fare un test psichiatrico, il risultato del test è stato nella norma, hanno consigliato una terapia una volta al mese. Doveva andare a Madrid e fare ogni mese una terapia di due giorni, per cui non conveniva farlo tornare in Argentina. L’ho tenuto qui perché il test diceva che aveva capacità di diagnosi di gestione, di consulenza. Alcuni lo hanno interpretato qui in Italia come un “parcheggio”.
E l’hanno criticata perché ha detto che qui si era comportato bene e lo ha messo nell’Apsa.
Santo Padre – Non è stato così. Economicamente era disordinato, ma non ha gestito male economicamente le opere che ha fatto. Era disordinato ma la visione è buona. Ho iniziato a cercare un successore. Una volta insediato il nuovo vescovo, a dicembre dello scorso anno, ho deciso di avviare l’indagine preliminare delle accuse che gli erano state mosse. Ho designato l’arcivescovo di Tucumán. La Congregazione dei Vescovi mi ha proposto vari nomi. Allora ho chiamato il presidente della Conferenza Episcopale Argentina, l’ho fatto scegliere e ha detto che per quell’incarico la scelta migliore era l’arcivescovo di Tucumán. Chiaro, metà dicembre in Argentina è come metà agosto qui, e poi gennaio e febbraio come luglio, agosto. Ma qualcosa hanno fatto. Circa quindici giorni fa mi è ufficialmente arrivata l’indagine preliminare. L’ho letta, e ho visto che era necessario fare un processo. Allora l’ho passata alla Congregazione per la Dottrina della Fede, stanno facendo il processo. Perché ho raccontato tutto questo? Per dire alla gente impaziente, che dice “non ha fatto nulla”, che il Papa non deve pubblicare ogni giorno quello che sta facendo, ma fin dal primo momento di questo caso, non sono rimasto a guardare. Ci sono casi molto lunghi, che hanno bisogno di più tempo, come questo, e ora spiego il perché. Perché, per un motivo o per l’altro, non avevo gli elementi necessari, ma oggi è in corso un processo nella Congregazione per la Dottrina della Fede. Cioè non mi sono fermato.
Penso che sia stato importante raccontare tutto ciò, non crede?
Santo Padre – L’ho raccontato ora. Ma non posso farlo ogni momento, ma non mi sono mai fermato. Adesso, che il processo sta per concludersi, lo lascio nelle loro mani. Di fatto, come vescovo, devo giudicarlo io, ma in questo caso ho detto no. Facciano un processo, emettano una sentenza e io la promulgo.
Due pesi e due misure?
Ma come è possibile? Alessandro Diddì ha rimproverato Perlasca dicendo che era assurdo credere alle parole di Mincione, quando si difendeva dalle accuse dei giornali, ed ora il Papa crede alla storia del telefono raccontata da Zanchetta? Quando il Cardinale Barbarin e il Cardinale Pell sono stati accusati, li ha inviati nei loro Paesi a farsi giudicare, togliendo loro qualsivoglia "protezione" diplomatica, ed ora ha dato "asilo politico" ad un vescovo argentino? Come può acquisire credibilità? Il Papa è parte di un sistema di familismo amorale di questo tipo? È chiaro che in Vaticano non abbiamo mai visto una cosa del genere ed è veramente incredibile che questo avvenga. La tolleranza zero deve essere verso tutti e non eccetto la piccola cerchia regale.
ALCUNE PRECISAZIONI SULLA VICENDA
Fermo restando quanto sopra, dobbiamo dire che abbiamo letto alcune ricostruzioni della vicenda che purtroppo non corrispondono a verità. Alcuni blog, errando, hanno riportato quanto detto dai giornali argentini, ovvero che il processo sarebbe stato rimandato in attesa dei fascicoli del procedimento canonico celebrato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede. Diverse persone hanno scritto che quei fascicoli erano stati richiesti dalle autorità argentine. Bene, questa richiesta non può trovare accoglimento. Non è corretto citare il Rescritto del Santo Padre Francesco con cui si promulga l’Istruzione Sulla riservatezza delle cause perchè lì si parla di segreto pontificio. Il segreto pontificio, come spiega il Sommo Pontefice Paolo VI nel Rescritto Secreta continere del 4 febbraio 1974, è un particolare grado di riservatezza che è richiesto per questioni particolarmente importanti.
Quod autem ad Curiam Romanam attinet, negotia, quae ab ea in universalis Ecclesiae servitium tractantur, communi secreto ex officio obteguntur, cuius moralis obligatio vel ex superioris prae- scripto vel ex rei natura et momento dimetienda est.
Pertanto, il Santo Padre Francesco, con il rescritto pocanzi citato, ha solo eliminato il "segreto pontificio" su quelle materie, ovvero quelle previste all’articolo 1 del Motu proprio Vos estis lux mundi. Resta però il segreto d'ufficio, come lo chiama Paolo VI, ovvero quella riservatezza comune a tutte le cause che caratterizza ogni procedimento innanzi a qualsiasi tribunale ecclesiastico. Si badi bene, per il diritto canonico neppure le parti hanno diritto di avere copia degli atti dei procedimenti matrimoniali, ad esempio, ma solo gli avvocati. Queste tutele sono poste proprio per garantire la riservatezza delle parti e onde evitare che la documentazione canonica divenga un modo per far valere qualche altra richiesta nei procedimenti civili.
Il vademecum della Congregazione
Per quanto riguarda il procedimento canonico a carico di presbiteri accusati di aver abusato di minori bisogna attenersi a quanto stabilito dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel Vademecum del 16 Luglio 2020.
Anche qui, purtroppo, abbiamo letto ricostruzioni del tutto errate. In questo documento non è assolutamente previsto che il vescovo diocesano (o addirittura la Congregazione) forniscano le copie del procedimento canonico alla pubblica accusa dello Stato in cui si apre il procedimento.
Si faccia seria attenzione ai termini: collaborare non significa fornire documenti. Togliamoci dalla testa che questo possa avvenire, con Mons. Zanchetta o con qualunque altro procedimento canonico. Il vescovo deve denunciare, può essere sentito, tutti gli ecclesiastici possono testimoniare ma non dovranno essere forniti documenti. A meno che non vi sia un ordine esecutivo, come vedremo.
Recita il vademecum:
I cann. 1717 § 2 CIC e 1468 § 2 CCEO, e gli artt. 4 § 2 e 5 § 2 VELM fanno riferimento alla tutela della buona fama delle persone coinvolte (accusato, presunte vittime, testimoni), così che la denuncia non possa generare pregiudizi, ritorsioni, discriminazioni. Chi svolge l’indagine previa deve dunque avere questa specifica attenzione, mettendo in atto ogni precauzione a tal fine, dato che quello alla buona fama è un diritto dei fedeli garantito dai cann. 220 CIC e 23 CCEO.
La Congregazione per la Dottrina della Fede ci tiene poi a specificare anche al fedele che non Le sarà possibile garantire la riservatezza in modo assoluto, sopratutto qualora l'autorità giudiziaria facesse irruzione, in curia o in episcopio, per sequestrare la documentazione stessa o ne ordinasse la consegna.
Inoltre le persone coinvolte siano informate che qualora intervenisse un sequestro giudiziario o un ordine di consegna degli atti di indagine da parte delle autorità civili, non sarà più possibile per la Chiesa garantire la confidenzialità delle deposizioni e della documentazione acquisita in sede canonica.
È chiaro che un'azione di questo tipo provocherebbe comunque un problema diplomatico di non facile risoluzione. L'ordinamento canonico e quello statale sono due differenti realtà e procedono in modo del tutto differente. L'uno, pertanto, non deve intervenire sull'altro con alcun tipo di ingerenza.
La collaborazione fra diocesi e Stato
La Congregazione per la Dottrina della Fede poi affronta la delicata questione della denuncia alle autorità statali.
Sempre a tale proposito, bisogna accennare alla sussistenza o meno, a carico dell’Ordinario o del Gerarca, dell’obbligo di dare comunicazione alle autorità civili della notitia de delicto ricevuta e dell’indagine previa aperta. I principi applicabili sono due:
- si devono rispettare le leggi dello Stato (cf art. 19 VELM);
- si deve rispettare la volontà della presunta vittima, sempre che essa non sia in contrasto con la legislazione civile e — come si dirà (n. 56) — incoraggiando l’esercizio dei suoi doveri e diritti di fronte alle autorità statali, avendo cura di conservare traccia documentale di tale suggerimento, evitando ogni forma dissuasiva nei confronti della presunta vittima. Si osservino sempre e comunque a tal proposito le eventuali convenzioni (concordati, accordi, intese) stipulate dalla Sede Apostolica con le nazioni.
Tale collaborazione quindi riguarda la testimonianza, la denuncia o l'invito ad aprire un fascicolo da parte della diocesi allo Stato. La trasmissione dei documenti quindi non è prevista se non per ordine impartito dall'autorità giudiziaria. Si tratta di ordine esecutivo e non di "collaborazione". Ciò significa che se non vi è un obbligo non c'è un invito a fornire la documentazione proprio per i motivi sopra descritti. Nessuna volontà di nascondere ma tutela delle persone coinvolte.
Qualora le Autorità giudiziarie civili emanino un ordine esecutivo e legittimo richiedendo la consegna di documenti riguardanti le cause, o dispongano il sequestro giudiziario degli stessi documenti, l’Ordinario o il Gerarca dovrà cooperare con le Autorità civili. Qualora vi siano dubbi sulla legittimità di tale richiesta o sequestro, l’Ordinario o il Gerarca potrà consultare esperti legali circa i rimedi disponibili nell’ordinamento locale. In ogni caso è opportuno informare immediatamente il Rappresentante Pontificio.
A conferma di quanto detto si specifica che l' ordine esecutivo può anche essere impugnato, dice la Congregazione. Bisogna quindi verificarne la legittimità in base anche agli accordi fra quello Stato e la Chiesa Cattolica.
L'autorità ecclesiastica, al contrario, potrà invece richiedere gli atti dell'autorità civile. Prevede sempre il Vademecum:
Può essere opportuno raccogliere testimonianze e documenti, di qualunque genere e provenienza (comprese le risultanze delle indagini o di un processo svolte da parte delle autorità civili), che possano risultare veramente utili a circostanziare e accreditare la verisimiglianza dell’accusa.
Pertanto i fascicoli del caso Zanchetta non sono "legittimamente previsti" e l'autorità statale deve procedere con i propri mezzi, anche perchè nel caso di specie l'ordine esecutivo non potrà affatto essere emesso, avendo la Congregazione sede in uno Stato estero.
F.P.
Silere non possum