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Città del Vaticano - Nelle ultime ore, l’attenzione mediatica e ecclesiale si è nuovamente accesa attorno all’associazione “Templari Oggi”, in seguito a quanto rivelato da Silere non possum. Il caso ruota attorno alla loro partecipazione alla celebrazione eucaristica del 22 maggio nella basilica di San Giacomo Maggiore a Bologna, presieduta dal cardinale Matteo Maria Zuppi. Un fatto che, di per sé, non sarebbe di particolare rilievo, se non fosse per una coincidenza tutt’altro che trascurabile: solo pochi giorni prima, proprio la Conferenza Episcopale Italiana – presieduta dallo stesso cardinale – aveva diffuso una lettera riservata in cui metteva in guardia i vescovi italiani dall’intrattenere rapporti con tale realtà associativa.

L’apparente contraddizione non ha tardato a sollevare interrogativi. Com'è possibile che un'associazione ufficialmente soppressa, e per la quale lo stesso Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita ha ritenuto necessario sollecitare un intervento della Conferenza Episcopale Italiana affinché mettesse in guardia tutti gli ordinari diocesani, venga accolta sull'altare durante una celebrazione liturgica pubblica presieduta proprio dal presidente della CEI?

Perché il cardinale Zuppi, al centro di questa evidente discrepanza, non ha sentito il bisogno di offrire una spiegazione pubblica? Le domande sono rimaste, finora, senza risposta. Intanto, sui social, i Templari hanno iniziato a difendersi a colpi di post e commenti, rivendicando la liceità delle proprie attività e sottolineando il loro impegno “trasparente al servizio della Chiesa.

Tuttavia, la situazione ha presto assunto toni ben più gravi. In risposta ad alcune critiche, sulla pagina Facebook ufficiale dell’associazione è apparso un commento che ha destato enorme sconcerto: "In quanto associazione di promozione sociale, non rispondiamo al governo ecclesiastico, bensì rispondiamo alle leggi dello Stato italiano. In quanto fedeli, invece, rispondiamo a Cristo, alla Vergine Maria e ai Pastori della Chiesa. Ma certo, non rispondiamo a taluni pedofili conclamati che si vestono da preti e che ci accusano falsamente e mai direttamente, ma sempre per interposta persona."

Parole durissime, offensive, che travalicano ogni limite di rispetto nei confronti dei pastori della Chiesa. Un commento che, nel suo attacco indiscriminato e nella solita accusa – tanto ricorrente quanto sterile – della pedofilia generalizzata, finisce per infamare l’intero episcopato. Eppure, come ha dichiarato un vescovo italiano a Silere non possum, “questo conferma il loro modo di agire”.

Già in passato, infatti, l’associazione aveva manifestato un atteggiamento apertamente ostile verso l’autorità ecclesiastica. Il caso più emblematico è quello che ha coinvolto la diocesi di Verona dove i Templari sono nati come associazione di fedeli per volontà di S.E.R. Mons. Giuseppe Zenti. Lo stesso ordinario, però, il 2 febbraio 2022 dovette procedere a soppressione ufficiale dell'associazione “Templari Cattolici d’Italia”, dopo un lungo e complesso procedimento canonico.

Il decreto – che Silere non possum ha potuto esaminare e che avrebbe volentieri fatto a meno di pubblicare – ricostruisce nei dettagli il comportamento della dirigenza dell’associazione, che si è costantemente sottratta a ogni forma di dialogo e verifica.

Dopo un primo riconoscimento come associazione privata di fedeli nel 2019, il vescovo Zenti aveva avviato una commissione per la revisione dello statuto, evidenziando diverse discrepanze tra quanto dichiarato nei documenti e il reale stile di vita del gruppo. Le perplessità espresse erano condivise anche dal Dicastero per i Laici, la Famiglia e la Vita, che aveva invitato a procedere con una visita canonica.

Ma qui si è consumata la rottura definitiva. La visita, che avrebbe dovuto rappresentare un’occasione di discernimento e di confronto, fu rifiutata in blocco: né il presidente né il consiglio direttivo dell’associazione accettarono di incontrare il Visitatore nominato dal Vescovo. Anzi, in risposta al decreto vescovile, i Templari continuarono le proprie attività nella diocesi di Verona, nonostante il divieto esplicito. Non solo: trasferirono unilateralmente la sede dell’associazione a Parma, in aperta violazione delle indicazioni ricevute. Tutti segnali, come scriveva il vescovo Zenti, di una “ferma opposizione e distanziamento dalle linee date”, che provocavano “scandalo e divisione all’interno e all’esterno dell’associazione”.

In questa luce, anche l’episodio recente di Bologna non può essere letto come un semplice fraintendimento liturgico. È il riflesso di un problema ecclesiologico più profondo. L’associazione rivendica una doppia identità: da un lato, si presenta come realtà laica che opera secondo le leggi dello Stato; dall’altro, come gruppo di fedeli cattolici impegnati nella Chiesa. Tuttavia, quando le due sfere entrano in tensione, il criterio scelto non è mai quello della comunione con i pastori, ma quello dell’autonomia, dell'accusa e della rivendicazione.

Il Vangelo, però, non conosce una fedeltà a “Cristo senza la Chiesa”. La Tradizione insegna – e lo ricorda il Concilio Vaticano II – che chi ascolta i pastori della Chiesa ascolta Cristo stesso (cfr. Lumen Gentium, 20-21). Rivendicare una spiritualità templare senza obbedienza alla gerarchia ecclesiastica è una contraddizione in termini. I cavalieri del Medioevo giuravano fedeltà e obbedienza ai loro superiori ecclesiastici; i Templari di oggi, al contrario, si trincerano dietro lo status giuridico per rifiutare ogni forma di verifica.

In tutto questo, resta il silenzio del cardinale Zuppi. È legittimo chiedersi perché il presidente della CEI abbia permesso che un’associazione soppressa da un suo confratello e per cui il Dicastero della Curia Romana competente aveva chiesto una lettera circolare a tutti gli ordinari, oggi venga pubblicamente coinvolta in una celebrazione liturgica.

E ancora: perché, di fronte a domande precise, il cardinale preferisce tacere?

In mancanza di chiarimenti ufficiali, cresce il disagio tra i vescovi italiani e anche tra i sacerdoti che ogni giorno hanno a che fare con queste persone che si presentano con i loro abiti nelle chiese. E la vicenda mostra, ancora una volta, quanto sia necessario un discernimento serio, non solo sulle forme associative, ma anche sulle modalità con cui la Chiesa gestisce la disciplina e la comunione interna. Perché ciò che è in gioco è la credibilità stessa della Chiesa, chiamata ad essere “una, santa, cattolica e apostolica” anche nel modo in cui tratta chi, pur dichiarandosi fedele, agisce nei fatti come corpo separato.

d.T.G.
Silere non possum